un moderno post-weekend

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Se c’ĆØ un episodio che mi piacerebbe vedere reso su pellicola, o per essere piĆ¹ realistici su youtube, anche perchĆ© nel primo caso sarebbe difficile trovare attori credibili per renderlo credibile a sua volta, ĆØ un qualsiasi viaggio di ritorno a Milano di T. e dei suoi fedelissimi compagni di abitacolo, nonchĆ© colleghi, B. e A. A bordo della Punto del babbo di B. fanno tutta una tirata da Questo Posto (cosƬ chiamerĆ², per motivi di rispetto della privacy, la cittadina ligure da cui provengono i tre giovani) a Quest’altro Posto (cosƬ chiamerĆ², per motivi di rispetto della privacy, la cittadina alla periferia est di Milano dove condividono un miniappartamento. Spero abbiate colto la citazione, sebbene annacquata tra gli incisi nelle parentesi tonde. Vi darĆ² un indizio: continua con “non ĆØ la stessa cosa, gli americani ci fregano con la lingua, non ĆØ la stessa cosa. Un, du, tri, quater…” a cui segue una canzone blues). Ma torniamo al viaggio, 200 chilometri di autostrada tra Liguria, Piemonte e Lombardia nella formula pendolarismo quindicinale e non di piĆ¹, per non gravare sul bilancio di questo nucleo familiare anomalo e mettere in difficoltĆ  tre amici (due maschi, T. e B. e una femmina, A.) che come me e come mettetevoilacifra altri ex-giovani liguri si sono trasferiti qui. Il forte legame con le radici che non si spezza, nemmeno a colpi di Navigli. Parlo per loro, of course. Non tornerei indietro nemmeno sotto tortura.

Ecco: piĆ¹ che un film potrebbe essere un format televisivo, se giĆ  non esistesse. T. ĆØ un ex-promettente cantante, promettente sempre nell’ambito dei gruppi sconosciuti dell’underground locale, dove la promessa non ĆØ mai mantenuta, se non da qualche add in piĆ¹ su myspace, oggi (anzi, fino a qualche mese fa, visto l’inarrestabile caduta del principale concorrente di FB), e da qualche distratto applauso nelle birrerie di periferia, ai tempi. T. perĆ² si ĆØ mantenuto interlocutore fantastico, nel senso che lui parla mentre A. e B. per lo piĆ¹ ascoltano, poi mi riferiscono e io prendo appunti. Poche domande, qualche espediente da programmazione neurolinguistica da tanto-al-tocc per dirottare la conversazione su temi che sanno stare a cuore di T., e una valanga di spunti che consentirebbero a chiunque di approfondire i piĆ¹ appassionanti argomenti antropologici in monologhi pour parler come questo.

T. ĆØ un maestro di storytelling. Sa quali tasti schiacciare, quale corde pizzicare. Ed ĆØ “solo” un vocalist, pensate se suonasse uno strumento polifonico. L’azienda in cui nostri tre frequent driver lavorano – T. come montatore video, A. e B. come… boh.. grafici? Web designer? – risente di una pessima gestione, cosƬ mi dicono. Ma, si sa, chi lavora talvolta coglie solo marginalmente le strategie aziendali del management. “Non dire str*****e, chiunque coglierebbe la limitatezza di C.” C. ĆØ l’amministratore unico che, in una azienda di marketing, si occupa anche di filtrare tutto ciĆ² che deve uscire verso i clienti adattandolo a sua immagine e somiglianza. Il che ha senso. Voglio dire, l’azienda ĆØ tua, puoi farci quel che vuoi. “SƬ, ma hai idea di quanto tempo perdiamo? E perchĆ© diamine mi hai assunto se non ti fidi di me e pensi che delegandomi responsabilitĆ  creative il prodotto non sia sufficientemente in linea con l’azienda“. VabbĆØ, non voglio approfondire temi e dinamiche giĆ  trattate altrove, soprattutto giudicare aziende altrui. Ma non ĆØ solo questo che li mette fortemente a disagio.

Sono le persone a dare un tono inappropriato all’ambiente. T. mi fa l’esempio di S., lavora nella selezione e gestione del personale. “Ho superato un test per entrare qui. LƬ ho conosciuto S.,Ā  proprio con lei ho fatto il primo colloquio“. T. mi racconta che S. si sposta sfrecciando in monopattino lungo il corridoio su cui si affacciano le varie cellette. “Non la biasimo, il lato lungo dellā€™ufficio ĆØ almeno 500 metri“. Non si tratta di un’esagerazione, nella Lambrate che sta crescendo sormontata dalle gru. Siamo in piena archeologia industriale, stabili nuovi che si alternano a spazi ristrutturati in ex stabilimenti di chissĆ  che cosa. Uffici ricavati dalla polverizzazione degli open space in minuscole celle operative occupate da 4 massimo 5 postazioni di lavoro.

Dicevo del test.
Q. Elenca le 5 cose che sai fare meglio.
A. Mi sono sincerato della effettiva atmosfera da web 2.0 e mi sono lasciato andare:
#scrivere
#comporre e arrangiare musica
#avere pazienza
#ascoltare
#superare i test come questo.
Q. Con quale nome ti vorresti chiamare se non ti chiamassi con il tuo vero nome?
A. S. ,che ho scritto per accattivarmi le simpatie della selezionatrice.
Q. In 10 righe insegnami ad allacciare le scarpe, non una riga di piĆ¹“.
A quel punto T. prende l’iphone e mi fa vedere una foto. Un foglio con la seguente lista:
Faccio notare a T. che mi sembra un modo originale di affrontare i test. Soprattutto visto che ĆØ stato assunto, anche se con contratto a progetto. “Dopo qualche settimana mi hanno chiamato e sono salito a quota 6 aziende in 10 anni. Ancora una volta con un co.co., un contratto comico“. Ancora una volta accontentarsi. “Fortuna che il posto ĆØ davvero trendy. Entri e cā€™ĆØ la reception. Poi un muro fatto di cubi di cartone, la rappresentazione delle success story aziendali“. Penso che non cā€™ĆØ altro modo per materializzare i prodotti virtuali se non mettendoli in scatole che, pur vuote, solo cosƬ diventano tangibili e riconoscibili in un packaging con tanto di etichetta. Stavo per scrivere brandizzate ma mi sono fermato in tempo. Ops. “LƬ di fronte c’ĆØ uno schermo LCD, che trasmette una successione di quote a sintetizzare la vision aziendale. Cheppalle, ho pensato appena l’ho visto, alla fine ci cascano tutti, anche i meno convenzionali. E giĆ¹ pillole di Martin Luther King alternate a Goethe e Groucho Marx, Gandhi a Thomas Millian, Kennedy a Naomi Klein, Terzani al Cluetrain Manifesto“. Anche qui, mi viene da pensare. il cluetrain giĆ  arrivato in ritardo ĆØ bello che perso.

T. non lesina nei particolari sull’organizzazione degli spazi. “Entri nellā€™open space frazionato in cellette, ognuna costituisce una Practice. Cā€™ĆØ la Practice Visual, la Practice R&D, la Practice ADV, la Practice ADM, la Practice PM, la Practice VM. Ecco, lƬ nella Practice vuemm, Video&Multimedia, ci sono io. Taglio e monto riprese, alternandole a grafica 2D e 3D“.Ā  T. si isola ascoltando musica, quando non ĆØ necessario indossare le cuffie per l’audio del montaggio. “Alla fine di ogni pezzo ĆØ come se mi svegliassi e penso: di nuovo all’inferno“. Il guaio di essere, come T., molto nuvoloso tendente al peggioramento, dentro.

Usiamo la chat, per comunicare tra colleghi. Magari distanti qualche minuto di monopattino. Messaggistica istantanea, non mi avrai mai. Quando uno ti scrive ‘che cosa??’, ‘che cosa volevi che ti dicessi??’, e altre domande che passano alla storia per il doppio punto interrogativo, fa domande incalzanti? Anzi, incalzanti?? Per non parlare allora dell’alzare la voce con l’uso delle MAIUSCOLE, reale o frainteso perchĆ© magari hai lasciato premuto un tasto di troppo“. Ecco, inevitabilmente T. svela a B. e A., a fine giornata, cosa lo spinga a chiudersi in playlist a tinte scure e uscire dall’ufficio per tornare a casa. “Sfido chiunque a riconoscermi. Non ĆØ tanto la nebbia, ĆØ perdersi, anzi perdermi, in una cittĆ  che non ĆØ piĆ¹ la mia, mentre fuori di qui, cioĆØ di me, tutto precipita. Occhi chiusi, orecchie coperte da cuffie, passi a caso“. In auto, coperti dal rumore del motore, si cerca di sdrammatizzare, allora. “Via da questo trailer tra l’hollywoodiano e Moccia. Torniamo a un sano minimalismo, please“. Troppo tardi. Il film va avanti.

Tra di loro hanno passato giornate intere in chat, ed ĆØ come se lsi ritrovassero sempre dentro ai loro mac, a riascoltarsi e a rileggersi, per poi riparlarne durante i viaggi. “Tra noi basta una sola parola, al massimo due, che descrivono tutto il resto. E allora occorre comprendere l’intenzione, il significante, il significato, il tempo impiegato da ogni verbo per giungere a destinazione. A quel punto i giochi sono fatti“. Stare soli in tre ĆØ meglio che stare soli punto. “Parlare, in auto, ĆØ un’oasi di ristoro e leggersi, in chat, leggere qualsiasi cosa, ĆØ scoprire altre forme di vita su un pianeta sconosciuto. Ma i pericoli, in giornate come questa, ritornano. Minacciosi no, solo un po’ cattivelli. Pronti a far rovesciare la birra sui pantaloni altrui. O a farci inciampare sulle scale della Feltrinelli“.

Tutto questo perchĆ© A. presto cambierĆ  lavoro, una deflagrazione nelle loro dinamiche. “Che dire? CosƬ, tra suoni ovattati e pavĆØ nell’ora di punta, la malinconica beatitudine di una Menabrea ĆØ un sottoinsieme dell’averla vista uscire alla fine del primo tempo della nostra vita. Spero che la sua soddisfazione assuma le sembianze di un accordo. Minore, naturalmente“.

il lavoro rende liberi di aspettare

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Sotto l’ufficio di S., al piano terra, c’ĆØ una di quelle agenzie duepuntozero molto gheddaun e hipster, peraltro in attivitĆ  da una decina d’anni, questo a prova che l’essere gheddaun e hipster nel mondo della creativitĆ  e della comunicazione digitale ĆØ comunque un sistema di sopravvivenza. E molto probabilmente non si tratta di gheddaunness e hipstership (dio mio, ma come sto scrivendo?) omologate, ma di una vera e propria alternativa al mood alternativo. Sapete, comunque, di cosa S. sta parlando. Open space, distesa di mele con il computer intorno, cataste di Wired in abbonamento all’ingresso e via dicendo. Caratteristiche estetiche che, spesso, nella sostanza distraggono il prospect dall’alto turn over e dai contratti stilati con inchiostro simpatico a gggiovani collaboratori e stagisti, con lauree brevissime in tutto quanto fa comunicazione.

L’organigramma, sono parole di S., ĆØ una cascata di geek e indie e indie/geek con qualche rara voce fuori dal coro: il rasta che non fa pausa sigaretta perchĆ© fa pausa canna, il nerd programmatore che appena puĆ² si sistema in Accenture e via dicendo. In questo scenario, S. mi racconta di una ragazza di cui non conosce il nome – chiamiamola E. – con cui si incrocia ogni mattina nell’androne. E., da qualche mese, ĆØ in forza all’agenzia gheddaun e hipster. S. entra infreddolito (siamo in inverno) e chiama l’ascensore, la cui porta si trova a fianco dell’ingresso dell’agenzia gheddaun e hipster. Canticchia, fischietta o, ĆØ lui a confessarmelo, a volte borbotta da solo (questo ĆØ il risultato di 15 anni di esperienza nel campo dei new media, trecentosessantacinque giorni l’anno a confrontarsi solo e unicamente con intelligenze artificiali. Parlare da soli ĆØ una delle piĆ¹ comuni conseguenze: ĆØ profondamente ingiusto biasimare i creativi).

Poi avverte la presenza e si gira. Sdraiata sul muretto, sotto la finestrona che dĆ  sul cortile, c’ĆØ lei: E. Un concentrato di tutto quello a cui puoi associare il concetto di agenzie geddaun, ovvero (dall’alto verso il basso): taglio a caschetto con ciuffone tendente all’emo, auricolari conficcati nelle orecchie tra lobi ricolmi di anellini i cui cavi portano a i-phone di ordinanza tra pollici in continuo fermento (skippare brani dalla playlist, rispondere a messaggi e commentare commenti degli amici su FB) e che talvolta lascia il posto a un libro, giacca blu scuro con spillette di gruppi inesistenti, foulard, pantalone stretto sulle caviglie e all-star pelose e nere. EtĆ : tra i venti e trenta.

Cosa ci fa la nostra indie-girl alle otto e quarantacinque del mattino, in un portone della city? Aspetta che l’agenzia gheddaun e hipster apra i battenti, non prima delle nove se non nove e trenta. Si, avete letto bene. I soci dell’agenzia, probabilmente gli unici ad avere a disposizione le chiavi e il codice dell’allarme, entrano con la dovuta calma. Magari stanno facendo colazione al bar delle modelle, all’angolo, e se ne fottono. La nostra E., proveniendo da chissĆ  dove con chissĆ  quale treno a chissĆ  quale ora in chissĆ  quale stazione, non ha scampo: quella ĆØ l’unica ora utile a cui arrivare per non rischiare il ritardo. E, in modo intelligente, anzichĆ© guardare nel vuoto, consumare il proprio rimborso spese nei bar del centro o respirare smog fresco di giornata passeggiando in circonvallazione, ha fatto dell’androne il suo riparo temporaneo prima di immolarsi al marketing digitale.

Il pippotto di S., spropositamente lungo, lascia trapelare un po’ di tenerezza verso quella giovane adulta costretta a prolungare la propria adolescenza oltre i livelli di guardia a causa della peggiore situazione economica del dopoguerra, che ha lasciato l’imprenditoria in mano a una generazione di fanfaroni. PerchĆ© S. ĆØ certo che tra qualche mese, quando ineluttabile sorgerĆ  il sole sul giorno della scadenza del suo contratto farlocco firmato da ambe le parti con l’inchiostro simpatico di cui sopra, E. tornerĆ  nel suo cyberspazio fatto di newsletter di offerte di lavoro, lavorifighipuntocom e cosƬ via. A nulla sarĆ  valso quel sacrificio, il dedicare quotidianamente ore della sua vita in quell’anticamera della produttivitĆ  senza un mazzo di chiavi utile ad anticipare la sua giornata lavorativa, di conseguenza la fine della stessa, di conseguenza il ritorno a casa, di conseguenza a vivere la sua vita privata decorosamente.

Ho suggerito a S. cosƬ di costituire un club di solidarietĆ , tutti i creativi e i web designer e i flash developer e gli art director e gli online strategist e i video producer e i social media content manager uniti, se occorre mi rendo disponibile in prima persona per un dj set visto che i copy sono piĆ¹ che ridondanti, alle otto e quaranticinque con tĆØ caldo e biscotti nell’androne di quel palazzo anni cinquanta, ad aspettare i soci proprietari dell’agenzia hipster-gheddaun. Una sorta di flash mob contro chi, dei flash mob, si riempe la bocca e i powerpoint e cerca di venderli alle multinazionali. E dĆ tele un mazzo di chiavi, che diamine. Barboni.