Il proprietario del bar latteria posa lo straccio con cui ha appena asciugato un paio di tazzine rimaste umide dalla lavastoviglie, quindi nota l’uomo che per la terza volta in poche ore svuota un altro borsone pieno di bottiglie di birra di varie marche nella campana adibita a raccoglitore differenziato per il vetro che si trova proprio di fronte alla porta di ingresso. Esce spazientito, pronto a riprendere l’uomo: di questo passo non ci sarà più spazio nel contenitore e lui, a fine giornata, dovrà caricarsi i suoi vuoti in spalla e portarli in un’altra campana. I raccoglitori per la differenziata sono di tutti, ma da sempre quello dinanzi alla sua bottega lo usa solo lui, è l’unico bar latteria su quel lato dell’isolato.
L’uomo è un trentenne di nazionalità ucraina, da pochi anni in Italia, l’esigenza di lavorare l’ha reso bilingue, almeno per il minimo necessario a cavarsela. Ma per fornire spiegazioni al proprietario del bar, è sufficiente un cenno del capo verso l’alto. Entrambi spostano lo sguardo all’ultimo piano del palazzo di fronte, da una finestra del quale il signor Elvio osserva la scena. Il signor Elvio aspetta che l’ucraino abbia completato il suo giro, quindi si reca presso il mobiletto del telefono, cerca sulla guida il numero del bar e chiama per giustificare quel che sta succedendo.
L’ucraino si sta occupando di un lavoro per lui e la moglie, la signora Ines. I due, entrambi ottantenni, hanno chiesto ad Andrea, marito di Dana che è la signora che va due volte la settimana a fare le pulizie in casa loro, di svuotare la stanza della loro figlia secondogenita, Marina. Marina ha quasi cinquantanni ma vive ancora con i genitori. Lavora nella cucina di un ristorante pizzeria da qualche anno. L’unico giorno della settimana che le rimane libero, il mercoledì, Marina lo trascorre così. Si porta a casa la sera prima qualche bottiglia di birra e piano piano trascorre la giornata di riposo scolandosi i litri di benefit aziendale che un lavoro umile come quello le concede. Ostentando una sorta di alcolismo a giorno fisso, che le consente l’alibi di scarsa affidabilità, muove ciclicamente il suo corpo barcollante tra la cucina, il divano di fronte all’abbonamento sky e l’ex camera della sorella maggiore, suo nuovo quartier generale.
Ma butta alla rinfusa i vuoti in quella che era la sua stanza, e che ora è solo un buco nero pieno di vestiti dismessi a causa degli innumerevoli cambiamenti di taglia, assorbenti, polvere, carte e fogli e riviste, oltre alle bottiglie. Una camera piena fino a scoppiare dell’antimateria della solitudine e della disperazione, chiusa poi a chiave ogni giorno, chiave che ha sempre con sé. Nessuno sa che livello di macerie e spazzatura sia stato raggiunto, ma lo si può facilmente immaginare.
Marina ha assistito impotente ma non troppo all’escalation del suo sdoppiamento di personalità, che ora manifesta 6 giorni stordendosi di lavoro, dalle 9 del mattino a mezzanotte, benvoluta da tutti i colleghi e dai proprietari del ristorante. Il giorno dii chiusura, il mercoledì, è invece dedicato alla battaglia sempre più aspra contro i suoi genitori, l’obiettivo è fargli pesare il fatto di essere invecchiati, di non essere più all’altezza di affrontare e risolvere i problemi di una figlia adulta sofferente. Così la guerra psicologica, tutti sperano che rimanga sul piano dei sentimenti, si combatte una volta alla settimana, l’unica in cui Elvio e Ines possono assistere al decorso umano di una dei tre figli, quella che ha avuto maggiori difficoltà e delle cui difficoltà ora ha deciso di vendicarsi con i legami più prossimi e deboli. Bevendo birra di fronte agli unici spettatori interessati.
Ma avere una stanza in quelle condizioni, piena di sporcizia e inaccessibile, è diventato per gli anziani genitori un cruccio insopportabile, quasi quanto il muro che Marina costruisce mercoledì dopo mercoledì intorno a sé. Ed è Dana che fa a Ines la proposta. Suo marito accetta qualsiasi incarico pur di guadagnare qualcosa. Potrebbe venire, approfittare di una o più delle giornate piene che Marina trascorre nella cucina del ristorante. Smontare la porta chiusa a chiave non è un problema. Quindi potrebbe svuotare tutto, buttare via quasi venti anni di rancori e restituire una parziale serenità a Elvio e Ines. Almeno quella di non doversi preoccupare di avere il magazzino di una folle tendente al borderline in casa. E poi uno shock potrebbe giovare alla staticità della situazione.
Andrea quella mattina ha iniziato presto, non appena Marina si è recata alla fermata dell’autobus. Nè Ines nè Elvio se la sono sentita di riconoscere lo stato di follia della loro figlia, quando l’ucraino ha scardinato la porta. Ma la sua espressione, e dire che ne deve aver visto tante, è state eloquente. A fine giornata, ha contato 15 viaggi tra l’appartamento e i contenitori della spazzatura, e ha detto di essere a metà. Ha rimesso a posto la porta, per non destare sospetti in Marina la sera quando sarebbe rincasata, quindi si è ripresentato il mattino successivo. Il programma sarebbe stato lo stesso. Il barista di fronte non si sarebbe lamentato. Conosce il signor Elvio, per lui è disposto anche a sobbarcarsi la fatica di un centinaio di metri a piedi con un paio di sacchi di bottiglie in spalla.
Il pomeriggio del secondo giorno l’impresa è compiuta. Andrea ha avvertito Dana, insieme hanno pulito e disinfettato la stanza di Marina, finalmente vuota; è stato anche necessario gettare il materasso, è facile immaginare le condizioni in cui si trovava. Non si è salvato nulla. La signora Ines e il marito hanno così rimesso piede in quella camera che ormai davano per irrecuperabile. Entrambi seduti sulla rete del letto, in silenzio, ora osservano sbigottiti lo spazio di cui si sono riappropriati, domani inizierà un nuovo corso. Ma nessuno dei due ha idea di come dirlo a Marina. Già, domani è mercoledì.
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