La cosa più sorprendente dell’Internet è che è piena zeppa di cose gratuite e in questo aspetto va individuato uno dei motivi principali del suo successo. Soprattutto noi nativi analogici, quando invece era sempre tutto un mettere mano al portafoglio per questo o per quello, abbiamo fatto dell’Internet il nostro modello di paragone con il resto dei servizi e dello scibile in genere, tant’è che andiamo sempre a vedere il prezzo nel cartellino di quello di cui abbiamo bisogno e siamo i primi a dire che in rete non comporterebbe alcun costo aggiuntivo. Vi faccio un esempio un po’ sciocco ma che è piuttosto rappresentativo. Proprio ieri leggevo una battuta di quelle che oggi si usa scrivere su immagini da condividere e che è una pratica che ancora non capisco, dal momento che scriverle in testo si fa prima e poi si può più facilmente rintracciare con i sistemi di ricerca. Ma, a parte questa polemica, la battuta diceva una cosa tipo “da qualche parte del mondo esiste la mia anima gemella che come me è già in pigiama sul divano ma che non conoscerò mai proprio perché nessuno dei due ha voglia di uscire”. Ecco, avrei voluto rispondergli che no, non è vero, perché con Internet e senza spendere una lira – a parte corrente e connessione – basta scrivere come sei e che persona vorresti al tuo fianco da qualche parte che in un battibaleno qualcuno che sta provando lo stesso contrasto interiore tra solitudine e pigrizia la trovi. Una delle piattaforme che ci consente tutto questo si chiama Facebook, è potentissima e agli utenti, che credo nel 2016 siano tantini, non costa un centesimo. Ci sono migliaia di programmatori da qualche parte nel mondo che smanettano giorno e notte per far sì che io, in pigiama sul divano, possa scrivere che ho voglia di conoscere qualcuno come me e magari migliorare la mia esistenza, pagati però da qualcuno che non sono io.
E io che sono una capra in economia non ho mai capito perché miliardi di donne e uomini sul pianeta, da qualche anno a questa parte, passano il tempo in grandi multinazionali o nella quiete della loro cameretta in un sobborgo di periferia a mantenere tutto questo ambaradan senza chiedermi il becco di un quattrino. Pensate solo a tutte le informazioni di Wikipedia, anche le più banali che sanno i bambini dell’asilo. Ogni fottutissima parola o concetto formulabile su Wikipedia ha la sua definizione scritta nero su bianco, grazie allo sforzo di gente che lo fa per diletto. Oppure c’è gente che sa suonare il pezzo dal dei tali alla perfezione così registra il video, fa un tutorial e lo carica su youtube a disposizione di chi vuole impararlo risparmiandogli i soldi di un maestro. Per non parlare poi dei soliti macro-argomenti delle serie tv, dei film e delle canzoni che si trovano in ogni anfratto del web e che hanno decretato il crollo dell’industria culturale come la conoscevamo.
La domanda che noi nativi analogici ci poniamo spesso non riguarda chi sfrutta tutte queste risorse gratuite, ma chi le mette a disposizione. Perché lo fanno? O meglio, posso capire che digitalizzare un film, condividere la ricetta dell’anatra all’arancia come solo la sappiamo fare noi, scrivere la definizione di polinomio e prodigarsi per la comunità globale con tutti gli strumenti che altrimenti non avrebbe a disposizione così facilmente dà un’enorme soddisfazione, ci fa sentire protagonisti del nostro tempo. Ma perché abbiamo consapevolmente contribuito a distruggere ciascuno con il proprio pezzo un intero sistema economico che, tutto sommato, fino al secolo scorso era piuttosto rodato e a parte certe questioni irrisolte (guerre, fame nel mondo, malattie epidemiche, buco dell’ozono e questione palestinese ecc.) faceva la sua sporca figura e funzionava benino? E sempre io, la stessa capra in economia di prima, credo che la risposta vada individuata nel fatto che oggi, al tempo di tutte le cose che abbiamo gratis grazie a Internet, ce ne sono altre che prima invece non pagavamo ma ora la musica è cambiata. Pensate alla tv, che se oggi non hai uno straccio di parabola sei condannato a vederti quella moltitudine di canali inutili sul digitale terrestre contro i tre di una volta quando bastava il canone per avere programmi e informazione di altissima qualità. O alla sanità pubblica che è sempre più cara, a tutte le componenti dello stato sociale che sono diventate privilegio dei ricchi. Noi poveracci però possiamo accontentarci delle briciole di questo nuovo modo di mandare avanti il mondo. Ci basta una connessione veloce e, almeno sul piano virtuale, possiamo usufruire di quello che vogliamo.