Al quarto o quinto tentativo mi rendo conto che i minuti che si dedicano a trovare un punto utile sulla superficie del nastro adesivo da usare come appiglio per srotolarne la porzione necessaria è proprio tempo buttato via. Ma questo è l’inesorabile contrappasso destinato a chi mette via il rotolo stesso senza aver ripiegato con cura un paio di centimetri di nastro su se stesso per facilitarne l’uso alla volta successiva, per poi dimenticarsi pure di riporlo nel posto giusto. Così ogni prossima volta sarà sempre come questa volta: al bisogno di avere a disposizione velocemente un pezzo di scotch intanto non lo si troverà nel posto in cui dovrebbe stare, a ciò seguiranno reiterati tentativi di trovare invano l’inizio del nastro. Senza contare che la vista con l’età peggiora e nemmeno la luce del sole ci è più di aiuto, così ci si fida a tentoni dei polpastrelli improvvisando una sorta di lettura braille dello scotch al fine di percepire una malformazione o asperità sintomo di taglio, che è poi dove si andrà a esercitare con le unghie il tentativo successivo. La linguetta colorata che la fabbrica mette per infondere ottimismo sull’ergonomia del prodotto si perde al primo uso, e mentre rifletto su questa verità mi accorgo che c’è qualcuno che mi osserva mentre compio quell’operazione paradossale. Un po’ per la tenacia con cui non mi dò per vinto, un po’ per il fatto che mi trovo in un luogo ad alta densità di passaggio come Piazza della Scala e sono dietro a una telecamera in compagnia di un collega operatore. Stiamo facendo un’intervista per una specie di servizio tra il giornalismo e il marketing – ora non vi sto a spiegare per filo e per segno – a un manager pubblico e il pezzo di scotch che cercavo faticosamente di guadagnare mi serviva proprio per fissare a lato della telecamera un foglio con un promemoria di tutti i punti che l’intervistato dovrà toccare. Ma quella del nastro adesivo, in questo genere di attività che comprende riprese video in spazi pubblici, non è certo la maggiore difficoltà. Ben più difficile è riuscire a portare a termine il proprio lavoro senza qualcuno che passi davanti alle telecamere, si volti verso l’obiettivo e si senta autorizzato a tentare la strada del successo arrogandosi il ruolo di protagonista. Anni di deficienti che registrano le loro versioni di “Italiaunooooo” o di subnormali del calibro di Paolini o del suo stagista (quel rubicondo demente con i capelli rossi che potete vedere nei pressi dei palazzi del potere romani ogni sera in tutti i tiggì) hanno diffuso la percezione che chi usa la telecamera non sta lavorando e quindi in sua presenza ci si può comportare come cazzo ci pare. Perché nel caso di interviste come la mia, con interlocutori poco avvezzi a parlare in video, il problema è che per un cretino che passa dietro e fa un verso credendosi divertente poi ci tocca rifare tutto da capo, e magari quella che il cretino ha mandato in fumo era la volta buona, così l’interlocutore poco avvezzo perde ancora di più quel po’ di sicurezza che con i miei modi garbati ero riuscito a infondergli, con il rischio che dovendo ripetere da capo non riesca più a dire quel che deve dire senza balbettare, senza guardare in camera, senza fare versi con il naso eccetera eccetera, moltiplicando i tempi di lavorazione. Ora questi megalomani delle telecamere mi chiedo perché non facciano lo stesso interrompendo un carpentiere che sta trapanando l’asfalto con un martello pneumatico, o un lottatore di sumo mentre disputa una finale di campionato, o un pilota di un aereo di linea in quota sopra l’oceano pacifico. La possibilità di apparire da qualche parte, che sia un talk show in prima serata o un pubbliredazionale da una manciata di clic su youtube come il mio è una tentazione troppo forte. Comunque poi tutto questo andirivieni di gente inopportuna alla fine mi innervosisce, il rotolo di scotch di dimostra più coriaceo e così il foglio con il promemoria è meglio che lo tenga in mano.
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il mondo del lavoro sta cambiando
StandardGran bello spot di INCA CGIL.