E comunque i soldi devono essere finiti sul serio, questa volta. Nessuno compra più niente. Ed è paradossale perché quest’anno ne passano molti di più degli altri anni e tutti sembrano ancora più carichi di merce inutile. Dev’essere un comma di una legge dell’economia: cala la domanda e aumenta l’offerta, ci si gioca il tutto per tutto. Il mercato sommerso ha lavorato a bestia tutto l’inverno per far arrivare cianfrusaglie e abbigliamento contraffatto dai paesi protagonisti del nuovo boom della miseria mascherata da export, sono stati assoldati ancora più agenti di commercio dall’Africa per spartirsi le briciole dell’occidente opulento e industrializzato in vacanza al mare, ma si è trattato di una mossa suicida. Anzi, omicida, perché le organizzazioni della mala mica ci rimettono, è tutto a scapito dell’ultimo gradino di questa struttura piramidale di cui tutti siamo complici, me compreso che ho acquistato a 35 euro un piumino Moncler tarocco per mia figlia un paio di estati fa. Qualità assolutamente ineccepibile, molto meglio della fuffa che trovi agli outlet dove ti rifilano legalmente la terza, quarta e quinta scelta dei prodotti avanzati dal mercato nero. Anzi, dei neri. Comunque vi giuro che non lo farò più. Qui ne passa uno ogni minuto (cronometrati) ma, sarà che la stagione è agli sgoccioli, non si fermano più e non sfoderano nemmeno quell’insistenza folcloristica che li ha resi celebri. Ti sventolano un telo che è lo stesso dell’anno scorso e dell’anno prima, si fermano tra i crocchi di bambini che passano in rassegna collane e braccialetti ma al momento dell’acquisto subiscono senza fare una piega il no deciso dei genitori, illustrano l’utilizzo di strumenti domestici di artigianato subsahariano a casalinghe oramai assuefatte alla qualità Ikea, ma non c’è nulla da fare. Nessuno compra più niente. Nessuno si gioca nemmeno più la carta della simpatia, ciapa lì ciapa là è arrivato mustafà, oggi saldi domani no, tutto bello tutto a poco. I cenni dei potenziali clienti sono più che inequivocabili, nessun venditore prova a rilanciare, non c’è nemmeno il gioco a tirare giù il prezzo. Anche mumbu tumbu, che chissà cosa vuol dire nel suo idioma arcaico, si inginocchia di fronte alle famiglie raccolte sotto l’ombrellone con i pranzi al sacco, altro che ristorante, e prova a vendere il suo mumbu tumbu, che chissà poi cosa è battute a parte. Ridacchia un po’ con le signore che di straforo gli osservano i bicipiti, poi si alza e se ne va senza un centesimo in più di prima. Passa di nuovo quello dei piumini, quest’anno Colmar anziché Moncler, e va diretto da una donna che si era dimostrata interessata il giorno prima ma prima di comprare deve aspettare il marito. Mentre va a cercarlo alla spiaggia attrezzata del villaggio a fianco, l’ambulante si siede con tutti quei capi invernali in bella mostra sulla rena, un bel contrasto con la bella stagione. Arriva il marito ma si scopre che l’acquisto dovevano farlo per il figlio che ora non c’è, sarà in acqua o a giocare a tennis. Il marito ne prova uno in sua vece ma è largo, ne prova un secondo ma è nero, il terzo sembra andare bene ma è corto così la moglie gli fa una foto con lo smartphone e la invia al figlio, che se è in acqua o sta giocando a tennis comunque non ha lo smartphone sotto mano e non può vederla ma nel frattempo l’africano resta lì, in tempi di crisi meglio attendere anche invano che sprecare una vendita. Poi si vede che la coppia desiste, si allontana lei con una scusa, lui gli dice magari un altro giorno. L’africano scazzato decide di mollare il colpo, rimette tutto nella sua borsa che è un sacco blu da spazzatura, comunque la roba che vende ne è abbastanza degna, per il resto traiamo tutti insieme la morale della storia.
venditori ambulanti
più per scelta che per caso
StandardC’è la volta in cui si incontrano gli uomini, ed è la casistica più frequente e in una gamma di orari più varia. Tutti insieme, tutti più o meno abbonati, un posto per ciascuno e un posto per la mercanzia nei sacchi neri e blu di nylon, quelli della spazzatura. E poi borsoni e zaini di volumetrie e peso inimmaginabile e li vedevi, in estate, trasportare tutta quella roba avanti e indietro, avanti e indietro fino allo sfinimento. Il nostro, perché come per noi è difficile distinguerli, per loro è lo stesso, capire se da quell’ammasso di lardo o quello sciancato tutto bianco e informe ti sei già fermato a proporre cappelli, teli da mare, collanine, libri di poeti africani, aquiloni e tutta la gamma di passatempi da spiaggia in plastica per bambini capricciosi. Loro invece mica si stancano. Tutta quella roba che sono chili alla mattina e probabilmente poco meno al ritorno, perché non abbiamo idea di quello che riescono a vendere. Le borse tarocche, i giubbotti che non sai che strada facciano, se dalla Cina a Napoli o viceversa passando per la casa di moda che comunque qualcosa ci guadagnerà da tutto ‘sto sottobosco di contraffazione, altrimenti il mercato più nero di tutti sarebbe già stato debellato come i coloranti velenosi degli alimenti. Poi passi per le strade e vedi questi temporary store sui marciapiedi e c’è un sacco di gente che si ferma e chiede, cercando di abbassare i prezzi e di portarsi a casa il capo griffato di dubbia scelta, probabilmente la penultima prima di finire all’outlet. E lo stesso mentre prendi il sole e vedi quello a fianco che per una manciata di euro vince il venditore per sfinimento e fa indossare con orgoglio alla moglie i Prada fasulli con le lenti di plastica che è già tanto se non ti rovinano gli occhi con le lenti di plasticaccia, ma con il ciclo di vita per cui sono stati fabbricati è già tanto che sembrino veri. Ci sono orari in cui sui treni ce ne sono davvero tanti e se capiti tra quelli giusti c’è anche da divertirsi. Trovi quello che tira fuori una chitarra e canta una versione contraffatta di “Stir it up”, con parole tarocche ma chi se ne importa, e il socio che rolla e nello scompartimento tu sei l’unico viso pallido che fuma (gratis) al ritmo di reggae.
C’è la volta in cui si incontrano le donne, ed è più facile che accada in particolari orari. L’andata più o meno all’ora di cena, tutte belle e intente nel rito del trucco e parrucco a ridere e a parlare con il loro modo incredibilmente sguaiato. Quelle già veterane, perché poi ci sono quelle più giovani o neofite della vita sulla strada che invece seguono il corso degli eventi con un’espressione di infelicità che non ha paragoni. Una differenza difficile da cogliersi al ritorno con i primi localissimi del mattino, tutte addormentate al buio che già loro, così scure, non si vede proprio nulla se non i vestiti sgargianti di alcune. E che poi uno che vive nell’occidente del mondo fa un ragionamento, e cioè che questa suddivisione di mestieri tra maschi e femmine dell’Africa che hanno qui sia un sottoprodotto della nostra economia. Con poco ti puoi comprare un surrogato di qualunque cosa, piacere compreso. Il che significa che se noi non avessimo determinate esigenze di consumo, dai capi in pelle al sesso a pagamento, probabilmente mancherebbero interi punti di riferimento della contemporaneità. Sapere che tutto è così accessibile e che tutto si può contrattare, tanto è finto.