Io lo so che ciascuno di voi ha una qualità un po’ particolare e apparentemente secondaria che tiene nascosta rispetto alla sua professione o attività o hobby o passione principale che è invece quella che sbandierate con foto e condivisioni e considerazioni su Facebook. Lo so perché a voi va tutto sempre bene, funziona tutto a meraviglia, succedono le cose più incredibili della storia dell’umanità, avete botte di culo da competizione e salite due a due i gradini della scalinata della vita verso i piani più alti della carriera lavorativa e, più in generale, della soddisfazione esistenziale. Ma poi ogni tanto succede che qualcosina va storto e nella vostra vita da manuale vi si apre una falla, un buco nella recinzione della vostra quotidianità ed e così che quando tutti sono pronti a spiare la vostra vera essenza ecco che quella qualità che tenete latente e sopita ma non per questo poco allenata, questa sorta di rifugio antiatomico o piano b di sopravvivenza estrema, questa cosa che non si sa bene né come né quando siete riusciti a coltivare con una resa che ha dell’incredibile e senza che nessuno fuori se ne accorgesse si impadronisce di voi – voi la impadronivate già da prima ma, appunto, come batteria di riserva – e vi fa fare bella figura, vi salva la vita, vi consente di sbarcare il lunario, vi rende umani e sensibili agli occhi di chi vi riteneva solo macchine da profitto o carriera o anche sesso o persino potere, mette a repentaglio i vostri nemici e spiazza i vostri detrattori, vi consente di ricominciare o anche solo di riprendere fiato, vi guarisce e vi mette al riparo, vi accompagna lungo una riabilitazione, vi fa mettere in aspettativa con tutto quello che avete fatto prima. Il bancario che è anche apicoltore, il direttore delle poste che è anche psicologo, il taxista che fa l’osteopata, la guardia giurata che è un bravissimo acrobata. L’avvocato coiffeur e il commercialista cuoco, l’imprenditrice surfista e il giornalista maratoneta, la farmacista talmente esperta di Dante che potrebbe sbancare un programma come Rischiatutto e la madre di disabile che dipinge come non avete mai visto. L’ingegnere che suona la chitarra in una band heavy metal e il vigile urbano che allena le ragazzine di una squadra di volley. Ecco, ora continuate l’elenco con le vostre e poi parliamo un po’ di me.
umanità
quando le scorte finiscono
StandardSono giunto a una considerazione che non esiterei a indicare come definitiva poco fa, dopo essermi complimentato con un tizio che passeggiava con un cane tenuto da uno di quei guinzagli per il corpo equipaggiato con un lampeggiante per la nebbia, nonché colpito dalla presenza di un automobilista addormentato sulla sua utilitaria a un incrocio con il semaforo verde, per fortuna erano le sette meno un quarto della vigilia di Natale e non c’era tutto sto traffico in giro, e dopo aver visto una lepre in un parco di quella periferia milanese che ci consente di battere tutti i record di densità abitativa. Giuro, una lepre mi ha attraversato la strada – correvamo entrambi – e non ho fatto a meno di notare la coincidenza con il periodo festivo e con il fatto che poteva essere una buona idea per un secondo di carne al tradizionale pranzo del venticinque.
Comunque ho pensato che calcolando le combinazioni di mix di tutte parole di tutte le lingue, dialetti e idiomi esistenti sul nostro pianeta, unite a tutte le variabili di rappresentazione artistica di ogni tipo, a partire dalle possibilità di alternare accordi in sequenza e catene di note in melodia fino ai gradi di sfumatura di colori e intensità con cui un pennello dipinge una tela e i millimetri quadrati di ogni tipo di forma rappresentabile eccetera eccetera, insomma ci siamo capiti, e incrociando questi dati – una roba altro che da sistemi di grid computing – con la quantità di uomini e donne in vita sulla terra, il delta di crescita della popolazione mondiale e la granularità di diffusione degli strumenti di espressione, ecco sono pronto a scommettere che a partire dal 2050 non esisterà più alcuna probabilità produrre o creare qualcosa di originale, di mai visto, di mai sentito, di mai provato. Non dovreste essere così stupiti da questa affermazione perché già adesso siamo in piena era di riciclo contenutistico e di scopiazzature selvagge.
Ora, per me la cosa non costituisce un problema, considerate che nel 2050 – se sarò ancora vivo – avrò più di ottant’anni e magari mi sarò già liberato di qualunque velleità di fare lo scrittore o il musicista o la star del’Internet. Ma pensate ai nostri figli, perché se nel 2050 a differenza delle previsioni dei catastro-grillisti ce la passeremo più o meno come ora, saranno loro che subiranno tutte le conseguenze di una consolidata sterilità estetica. La mia proposta è quindi di iniziare da oggi a resettare certi classici, tutte le loro copie, tutte le citazioni e le rappresentazioni in cui vi si fa riferimento e di metterci tutti d’accordo affinché i bambini che nasceranno a partire dal primo gennaio prossimo non ne possano mai sentir parlare. Diamo una mano di bianco ai soffitti della Cappella Sistina, cancelliamo le registrazioni del White Album dei Beatles, smontiamo la Torre Eiffel e così via, in modo da allestire qualche spazio di manovra per le prossime generazioni. La sfida è vedere quanto tempo ci impiegheremo a ottenere qualcosa di tutto questo, un aspetto su cui sono in molti a manifestare uno spinto scetticismo. Non vorrei invece dare il via a un sentimento di panico diffuso, e come quando la gente svuota i supermercati nel timore dell’approssimarsi di un evento tragico speriamo che nessuno corra ad accaparrarsi tutto quel poco di bello che ci rimane da dare ai posteri. Io non sono tra questi, non ne sarei in grado, potete quindi annoverarmi tra quelli che invece non hanno problemi a lasciare la propria porzione di torta a chi ha più appetito.
non siamo soli
StandardCosa hai da guardare? Anche a un’operaia tessile può succedere che dopo il turno debba fermarsi un istante, con la sigaretta in bocca di fronte ai cancelli, a controllare le chiamate e i messaggi persi sullo smartphone e che ci sia un figlio a cui dare una risposta, un amante da accontentare, un anziano genitore a cui fornire conforto, un problema a cui trovare una soluzione o di cui capire la gravità per muovere la prima mossa. Anche al personale delle pulizie che sgombra i rifiuti dai numerosi contenitori della differenziata dei vostri studi professionali nei quali avete passato una giornata ad aggiornare lo status su Facebook può squillare il cellulare con una melodia con cui difficilmente potreste familiarizzare. Una ballata pop dell’Ecuador, un canto popolare delle Filippine, una danza di un’ex repubblica sovietica che scambieremmo senza indugi per un inno militare buono per una parata di guerra in tempo di pace, con i soldati tutti uguali che voltano il viso di tre quarti per rendere omaggio al segretario del partito in un tripudio di bandiere rosse. E che alla risposta, oltre lo scatto della compagnia telefonica più conveniente, segua una conversazione privata. C’è la vita oltre il lavoro anche per chi pensiamo ci debba essere il lavoro e basta, persone delle quali abbiamo una percezione solo per quello che fanno. Chi vende fiori o libretti di poesie di altri continenti, chi smista volantini o lava le scale, chi controlla macchinari in fabbrica o si accerta che nessuno se la svigni senza aver pagato la camicetta made in India. Ci sono case, famiglie e storie dietro chiunque, e ci dovrebbe sorprendere il contrario.