L’ambulatorio audiologico condivide la sala d’attesa con lo studio dello specialista in problemi della memoria, un particolare che noto immediatamente vista la situazione di mio papà. E mentre aspetto il mio turno per conoscere di quali frequenze mi sto privando da un po’ di tempo a questa parte, osservo un paziente che ciondola leggendo i poster di comunicazione medica che tappezzano la stanza, quei messaggi che sono a metà tra la divulgazione volta alla prevenzione e scientology. Si apre la porta e il neurologo chiede se è già arrivato il signor Ligieri. Siamo in tre, seduti, e ci guardiamo tra di noi per vedere se qualcuno risponde alla domanda del dottore. La sua voce ha catturato anche l’attenzione dell’uomo in piedi che si volta a osservarlo un po’ inebetito. “Il signor Ligieri?”, ribadisce il dottore. L’uomo allora legge la sua impegnativa che tiene tra le mani, e dopo qualche secondo risponde, ma poco convinto, “Eh? Ah, sì, sono io”. Sembra una gag perfetta, infatti il resto delle persone lì in attesa, me compreso, si guarda facendo quell’espressione un po’ divertita ma anche di pena, perché potrebbe essere solo un caso in cui il paziente chiamato era sovrappensiero ma anche no, e d’altro canto chiunque, tra noi rimasti dopo che l’uomo si è accomodato nello studio, potrebbe soffrire di analoghi disturbi e si corre il rischio di offendere qualcuno. Io prendo subito qualche appunto, sembra la situazione ideale per una storiella da divulgare on line.
E poi arriva il mio turno, per fortuna entro nell’altra stanza, quella di chi ha disturbi all’udito, e quando la dottoressa mi chiama mi viene voglia di dirle “EEh? Scusi ma non sento!” ma allo stesso modo mi sembra poco serio e oltremodo cinico scherzare sulla salute, tanto più la mia. Terminato l’esame, esco per rientrare in ufficio e ripenso al signore che non si ricorda nemmeno il suo nome e penso anche a mio papà, ma vengo distratto dalle vetrine di un negozio, anzi, di una boutique di arredamento. Siamo in pieno centro, zona Cadorna, e in vetrina sotto una lampada Arco di Castiglioni, a fianco di un divano Molteni e su un tappeto Minotti, di fronte a un porta tv su cui svetta una Brionvega modello Algol, seduti su sedie Eero Saarinen intorno a un tavolo dello stesso designer, due coppie di giapponesi consultano un catalogo in cui probabilmente c’è schematizzato secondo la tipologia di ambiente tutto quel ben di dio che hanno intorno, vista la loro espressione di beatitudine. Uno solo di quei pezzi costa probabilmente tanto quanto tutto l’arredamento di casa mia. Ma l’insieme dell’eccellenza di natura morta di interni con clientela facoltosa dell’estremo oriente è deliziosa, loro sì che hanno il buon gusto e il potere d’acquisto adatto a vivere tra tanta bellezza.
E sono talmente preso da quella visione che non mi accorgo subito del telefono che squilla, anzi forse non sento più le frequenze della suoneria standard che ho selezionato ed è quello che mi è stato diagnosticato. Mi sta chiamando il laboratorio di analisi di prima, mi avvisano che ho dimenticato di ritirare fattura e referto alla fine della visita, come mi era stato detto. E quel “come mi era stato detto” mi fa venire in mente che non mi ricordavo che me l’avessero detto, e infatti proprio non me lo ricordo e glielo dico e a quel punto mi si dipana una rete di collegamenti con tutto quel che sta succedendo, forse potevo dire all’impiegata che visti i miei problemi di udito non ho sentito quando mi è stato detto, perché magari lei pensa che sono stato lì invece per problemi di memoria. Il tutto senza gesticolare, solo continuando a osservare le due coppie di giapponesi che nel frattempo non consultano più il catalogo ma guardano me, ma oggi è così, mi sembra che mi guardino tutti.