Tra gli oggetti di culto della mia generazione un posto d’onore è riservato ai bootleg, vinili e cassette ai limiti della legalità che circolavano in copie esclusive per i fan più accaniti e che raccoglievano, spesso con registrazioni di qualità imbarazzante, le testimonianze live dei nostri beniamini. I bootleg circolavano nelle zone grigie dei negozi di dischi più specializzati o nelle vendite per corrispondenza, l’antesignano dell’e-commerce, spesso avevano copertine anonime coni titoli scritti a pennarello, ma la passione per questa o quella band e l’emozione dell’esperienza live anche se in qualità discutibile facevano passare tutto in secondo piano. Non sono molto informato ma credo che oggi quella dei bootleg sia una pratica desueta, sostituita dai video ripresi con lo smartphone e condivisi su Youtube, e spero di essere smentito.
Ma se devo essere sincero a me i dischi dal vivo, bootleg o ufficiali, non sono mai piaciuti particolarmente. Il motivo? Intanto il concerto ha senso se vissuto di persona e quando sei lì e sei dentro la musica in tempo reale l’esibizione è un tutt’uno con i brani, che se sono diversi rispetto alla versione originale non è un problema. Nei dischi dal vivo invece l’esperienza concerto è in differita, e a me sentire le canzoni che suonano diverse dai dischi non sempre piace.
Ma è chiaro che non bisogna generalizzare. Ci sono dischi live in cui se i pezzi sono uguali o eseguiti in un altro modo non importa perché trasmettono tutta la potenza e la forza di chi è sul palco. Poco fa, per esempio, mi è venuta voglia di riascoltare “Under a Blood Red Sky” che è una cosa che non faccio spesso perché gli U2 mi hanno stufato sin dai tempi di “With or without you”, e a parte qualche episodio felice successivo come “Until the end of the world”, “Stay”, “Electrical Storm” o la colonna sonora di Batman di cui in questo momento mi sfugge il titolo, dopo non li ho mai seguiti più di tanto. Non vi dico invece quante volte ho visto il video di “Pride” nei miei programmi musicali preferiti, ma dopo “Unforgettable fire” Bono e soci e io abbiamo preso due strade diverse, punto e basta.
Comunque “Under a Blood Red Sky”, un po’ perché mi ricorda l’ottantatre e la videocassetta dello stesso album che con gli amici vedevamo cenando con farinata e vino da Stravinskij, inutile vi spieghi cos’era, un po’ perché in effetti rende molto l’idea di come erano gli U2 ai tempi, è uno dei pochissimi dischi dal vivo che vale davvero la pena, e attenzione perché non c’è una sola traccia che possa essere saltata.