tributi: pagarli tutti per pagare meno, anche in musica

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Qualche giorno fa, ricorreva il quindicesimo anniversario della morte di Fabrizio De André, riflettevo sul fatto che ciò che ci rende meno facilmente sopportabile l’assenza di cantanti che non ci sono più, ma anche gruppi che si sciolgono, è il proliferare di tributi artistici. Nella mia casella di posta, mea culpa il fatto di non essermi mai disiscritto – ricevo ancora le comunicazioni di tutte le organizzazioni, enti, etichette discografiche, management in ambito musicale di quando cercavo di fare il musicista – nei giorni precedenti a quella ricorrenza ho ricevuto la comunicazione di almeno una decina di eventi, iniziative, o anche semplici auto-promozioni artistiche di concerti-tributo allo scomparso cantautore genovese.

Quello del riunirsi intorno a un comune denominatore con finalità celebrative è un aspetto della nostra indole di animalità sociale (in qualche caso socialista ma questo è un altro discorso) a partire dall’andare a messa ogni domenica fino alle community del Pan di Stelle sull’Internet. E probabilmente chi sa suonare lo fa a modo suo e se uno riesce persino a cavarci qualche lira, tanto di guadagnato, è proprio il caso di dirlo. Buon per lui. Ma come la religione ha un suo risvolto intimo e personale, così la percezione dell’interpretazione di una serie di cover all’interno di un progetto tributario, passatemi il termine inappropriato ma che ci sta bene, ti fa rimpiangere spesso il fatto di non essere rimasto in casa a mettere su con i tuoi cari i dischi originali, che sono sempre molto meglio.

I concerti commemorativi sono poi riconducibili a un mutuo guardarsi negli occhi pensando tutti insieme che sì, Fabrizio De André ci manca, era meglio se non moriva, con la variante “caspita il chitarrista esegue alla perfezione l’arrangiamento di Mussida nella versione della PFM” degli addetti ai lavori, corrispondente a un auto-compiacimento del turnista di turno, appunto, sul palco, che è lì solo perché è amico del cantante che voleva fare il tributo a De André e ha coinvolto un po’ di mercenari super-tecnici che, almeno nella versione della PFM, possono mostrare ai quattro gatti convenuti il proprio valore nelle svise e negli assoli e magari, perché no, rimorchiare qualche malinconica fan di De André lì per caso. Per non parlare dei boriosi pseudo-De André che fanno la stessa cosa chitarra voce, emulando persino l’effetto timbrico cavernoso-maudit. Ho fatto l’esempio di Faber, ma potete utilizzare questi spunti a vostra discrezione e a seconda delle occasioni. Tra i morti e i vivi, Lucio Dalla come i Pooh, Freddy Mercury come i REM.

Ci sono comunque millemila modi di sublimare il proprio entusiasmo per questo o quell’artista quanti sono gli adepti di ognuna delle singole religioni e delle pop-reliquie. Uno dei modi che preferisco è la promiscuità digitale, meglio conosciuta come arte del sampling che ultimamente è un po’ desueta e fuori moda, alcuni sostengono che i campionamenti hanno rotto giustamente il cazzo o, meno volgarmente, hanno fatto il loro tempo. Per esempio, sentite questo pezzo in cui Beck utilizza egregiamente una battuta di “The Death Dies” dei Goblin, inutile raccontarvi chi sono, vero? La colonna sonora di “Profondo Rosso”, mica paglia.

Beck, che probabilmente riconosce nel film in questione e nella sua soundtrack l’effettivo valore culturale, il momento di rottura cinematografica e di inizio di qualcosa, un punto di riferimento citando il quale è sufficiente uno sguardo con gli amici e sodali e un tacito assenso con il mento che va su e giù, a indicare che i Goblin in quel disco hanno suonato roba assolutamente insuperabile, dicevo che Beck ha santificato un’assenza rubando in buona fede qualche secondo strumentale del brano (che poi è tutto strumentale) per usarlo tra gli ingredienti di un suo album. Lo so, si tratta di una pratica che era all’ordine del giorno anche solo per fini puramente commerciali, come Puff Daddy con “Every Breath You Take” che leggevo tempo fa sul Post che garantisce non so quante migliaia di dollaroni al giorno a Sting di diritti. I Goblin sono dei signori – forse un po’ strani – e probabilmente si sono accontentati del fatto che dall’altra parte dell’oceano e a quarant’anni di distanza c’è ancora gente che lamenta il fatto che non suonano più insieme. Anche perché, diciamocelo, ormai avranno anche una certa età e se non fosse per certi nerd del progressive o per i fan di Tarantino non se li filerebbe più nessuno almeno dal 1977.

E comunque stamattina, fortuitamente, ho ascoltato a un programma radiofonico un brano vincitore di una vecchia Canzonissima che, oltre a essere un pezzo che spacca, ha un inizio che sarei felice di poter campionare per utilizzare in una nuova composizione, sentite qui:

questo per dire che anche se non ho sufficiente devozione per farmi carico di un tributo a Gigliola Cinquetti ma solo perché vive e lotta insieme a noi, ruberei quell’intro volentieri per donarla a una composizione originale. Ma non avendo un gruppo mio da anni né un progetto solista e che iddio me ne scampi, lo lascio a chiunque di voi la pensa come me sul modo di ringraziare i padri fondatori del pop con le citazioni, come facevano i latini con i greci. Se vi riesce il colpaccio, spero che ne traiate profitto e non vi chiederò nessuna quota dalle vendite, ve lo giuro. Mi basta un’attestazione di stima nel booklet.

C’è stato un momento però in cui mi sono divertito un sacco con questo genere di cose. Quello che vedete sotto per esempio è una specie di remix di “Siamo Meridionali” di Mimmo Cavallo, chissà se eravate già maggiorenni e vaccinati quando era in auge il suo stile un po’ figlio dei fiori scanzonato e napoletanissimo. Ecco. Questo è il mio tributo a Mimmo Cavallo, vivente anche lui, di cui sentiamo un po’ la mancanza, una versione superatissima con il suo big beat anni 90 che contiene anche un po’ di autocelebrazione. Già, con le macchine di quel tipo posso dire che me la cavavo dignitosamente.