Qualche sera fa mi si rincorrevano nella mente certi versi in quel modo in cui capita che sovvengano i passaggi di cose imparate agli albori della giovinezza. Vi ricordate? Ei fu siccome immobile, sempre caro mi fu quest’ermo colle, vides ut alta stet nive candidus, dammi il tuo vino leggero che hai fatto quando non c’ero e qui immaginate uno di quegli effetti sonori tipo paperissima di freni e poi un fragoroso impatto di vetri e altre cose rumorose che si schiantano per terra. “Dammi il tuo vino leggero che hai fatto quando non c’ero” che lirica è?
Qui non c’entra nessun poeta italiano perché, lo avrete riconosciuto, è un passaggio tratto da “Ti amo” di Umberto Tozzi e a onor del merito, messo così tra un Saba e un Ungaretti non stona nemmeno tanto. Il problema è il contesto. “Fammi abbracciare una donna che stira cantando”, passaggio con cui fa il paio, è un’altra frase che non si può leggere e che ci fa vergognare per l’autore. Abbiamo scritto più volte come è difficile scrivere testi convincenti in italiano. Un esempio?
La descrizione di un attimo (mi piace)
le convinzioni che cambiano (ok dimmi di più)
e crolla la fortezza del mio debole per te (imbarazzante)
e qui è ancora peggio perché era il già il duemila e di acqua sotto i ponti di certe porcherie della più becera canzone italiana ne era già a passata a ettolitri. Posso capire un Umberto Balsamo che scioglieva le trecce ai cavalli nel 79, ma i Tiromancino, con quella smanceria lì, hanno dimostrato la veridicità del modo dire nomen omen giocandoci davvero un tiro mancino.
Quindi qual è il problema? Semplice: fino a un certo punto della canzone italiana gli autori avevano campo libero perché il nostro immaginario pop era tabula rasa e quindi potevano permettersi di scrivere e cantare quello che gli pareva e piaceva. Di esempi del genere, su youtube, ne trovate a milioni. Il nostro impegno potrebbe essere quello di fare di tutto affinché i nostri figli non entrino in contatto con certa merda che a noi non è mai stata risparmiata, a partire dall’Umberto Tozzi di Ti amo e tu dabadan dabadan.
Ma l’impresa è oltremodo impossibile. Abbiamo visto in famiglia Stella, il gradevolissimo film di Sylvie Verheyde del 2008 centrato su certe tematiche dell’adolescenza, e se volete ripetere l’esperienza anche voi – e qui faccio uno spoilerone – fate attenzione perché c’è una scena di una festa di ragazzini in cui il momento dei lenti è proprio girato sulle note terzinate di “Ti amo”. Pensavo di averla scampata e invece, poco tempo dopo, mia figlia mi ha chiesto informazioni su quella canzone. Da allora sono riemerse tutte le parole che come le preghiere a catechismo sono rimaste qui dentro latenti come una malattia esantematica. Io ce l’ho ancora davanti agli occhi Umberto Tozzi che la canta all’Arena di Verona fresco del titolo di vincitore del Festivalbar. Comunque siete ancora in tempo per proteggere i vostri, di figli. Anzi, correte a dare un’occhiata agli altri pezzi che hanno partecipato a quell’edizione in modo da mettervi al riparo da pericoli forse ancora più gravi.