Ci sono quei maledetti cento metri a due corsie con un unico senso di marcia prima del semaforo. Sulla sinistra si costeggia una fila di parcheggi di fronte la casa di riposo per svoltare in direzione di Milano e anche della stazione delle Ferrovie Nord del mio paese, facile immaginare che sia la corsia a maggiore densità di transito soprattutto la mattina quando la società si appresta a dare il proprio contributo all’economia globale ma rigorosamente in auto.
Sulla destra c’è, appunto, la corsia di destra, poi un’altra fila di parcheggi davanti alla scuola materna delle suore, e se ti incanali da quella parte ovviamente non puoi più girare più a sinistra ma al semaforo devi tirare dritto anche se la tentazione di posizionarsi comunque sul quel lato è forte. La corsia, al contrario di quella a fianco, nell’ora di punta è deserta perché porta da tutt’altra parte. Uno volendo può dare lo gnorri e poi, in fondo al semaforo, gettarsi sulla sinistra gabbando quelli che a sinistra si fanno regolarmente la fila. A volte succede ma non è questo che mi urta.
Capita che mia moglie mi dia uno strappo in stazione, così percorriamo proprio quei dannati cento metri a due corsie parallele. Lei si mette sulla destra, la corsia libera, perché poi dopo il semaforo tira dritto, ha la fortuna di lavorare fuori dalla metropoli dove si dirigono tutti a produrre, anche se subisce la sfortuna dei pessimi collegamenti pubblici tra i paesi dell’hinterland e così è costretta a usare l’auto. Quindi percorriamo i cento metri sulla corsia di destra, poi al semaforo si ferma, io mi getto giù dal sedile del passeggero e compio l’ultimo breve tratto verso la stazione a piedi.
Il problema di quei maledetti cento metri quindi non è né la casa di riposo sulla sinistra, né la scuola materna delle suore sulla destra, né il traffico dell’ora di punta, almeno tutto ciò non costituisce alcun problema per me. Il problema è che le due corsie parallele non sono proprio due corsie autostradali dal punto di vista della larghezza. Ma il problema è anche che siamo in tanti a pensare che per sopravvivere nella giungla dell’occidente inesplorato come il nostro occorra dotarsi di veicoli enormi in grado di superare tutte le avversità degli ambienti selvaggi e ad alto tasso di rischio causato dall’asperità del terreno, della fauna selvaggia pronta ad assalire il genere umano per istinto di sopravvivenza e dalla flora di tipo amazzonico che soverchia con la sua irregolare prosperità gli spazi che l’uomo faticosamente si ritaglia a forza di villette a schiera e casette abusive per attrezzi per il fai-da-te.
A bordo di queste navi da combattimento, dall’alto delle loro cabine di controllo super-accessoriate, gli esploratori della suburbia padroneggiano il territorio occupando in eccesso molto di più dello spazio che è stato pensato per il loro transito dalla programmazione urbanistica. Così ogni mattina le comuni utilitarie di passaggio sulla corsia di destra sono costrette a subire la colonna di veicoli da assalto – in gergo dispregiativo noti come cassoni – che dalla corsia di sinistra traboccano oltre la linea divisoria, mentre se la gente si comprasse automobili normali, anche moderne ma di dimensioni più accettabili, la corsia di destra consentirebbe una viabilità scorrevole.
Mia moglie ed io, quando succede, li guardiamo dal basso verso l’alto come si fa quando in mare con il pedalò al largo si passa vicino ai ferri da stiro da miliardari con le veline in topless sopra che prendono il sole. Ma dentro a questi carrarmati da strada ci sono facce poco rassicuranti. Mia moglie li manda comunque affanculo, tanto i finestrini sono chiusi e poi se gli specchietti si scontrano superandoli comunque chi se ne frega, il nostro è già tenuto su con il nastro adesivo.