vietate per legge finalmente le cover disco di brani composti con ben altri intenti

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Il rischio di plagio incombe continuamente su noi musicisti e più si va avanti e più aumenta. Le combinazioni melodia – armonia – ritmo si esauriranno prima o poi, considerando anche il fattore del tempo che passa e della mole di composizioni prodotte, un processo insomma accelerato anch’esso dalla tecnologia. Se c’è un matematico in sala prego favorisca il valore alla ennemilesima di quanto margine ci resta per scrivere pezzi originali senza avere la SIAE alle calcagna. Ma da musicista o ex-tale posso capire la facilità con cui la creatività attinge al già sentito che ti rimane nelle corde o anche quanto sia comune mettere in fila note e accordi su standard culturali ben radicati. Chi dice che la musica è matematica non ha tutti i torti, se vivi in Europa certe soluzioni armoniche sono inevitabili perché i calcoli inconsapevoli che facciamo sommando le vibrazioni di una manciata di note ci portano inevitabilmente a risolvere in sequenze complementari per arrivare a una somma appagante dal punto di vista dell’ascolto. Lo so, non ci ho capito molto nemmeno io. Resta il fatto che le vie dello scopiazzamento sono infinite e vanno dal copia e incolla alla citazione e all’ispirazione presa di sana pianta dall’artista di riferimento. Per farvi un esempio, avevo un amico compositore che scriveva pezzi che avevano i titoli di canzoni già famose. Gli stessi. Brani di U2, Lou Reed, Bowie per di più inglese. Quindi leggevi la scaletta prima dei concerti e pensavi di trovarti al cospetto di una cover band. Poi invece i vari “Perfect day” o “Stay” erano canzoni che non c’entravano per niente con quelle più celebri. A me piacerebbe invece che fossero messe all’indice le versioni dance di pezzi che dance non lo sono. Il problema è che la musica si divide in due macro-categorie: ballabile e non ballabile. Ci sono poi i puntacazzisti che vanno sostenendo che qualunque musica è a suo modo ballabile e hanno anche ragione ma vi sfido allora a muovervi al ritmo di “Generale” della PFM, cosa che facevamo da ragazzini per scherzo e per prendere in giro i nerd che ascoltavano progressive dall’alto delle nostre casse in quattro molto pop ma che comunque ci consentivano un canale di comunicazione preferenziale con le ragazze sul dancefloor del nostro club preferito la domenica pomeriggio al ritmo delle ultime novità del post punk mondiale. Ma per far ballare anche il pubblico più esigente l’industria musicale a un certo punto – quando era ancora un’industria – ha immesso sul mercato le versioni tun za tun za di canzoni nate con altri intenti. Si tratta si una considerazione latente di cui uno prende consapevolezza quando alla radio passano cose come la trasposizione dance di “The sound of silence” o altre versioni assurde di pezzi come la cover di “Fast Car” di Tracy Chapman che gira adesso su MTV che è così brutta, ma talmente brutta, ma talmente brutta che mi sono sentito in dovere di andare subito ad ascoltare la versione originale per ripristinare l’equilibrio dell’universo.