intervieni numeroso

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Organizzare un reading in orario mattutino è un’idea vincente perché quando il pubblico è sveglio da poco tutti hanno quella faccia come se fossero sorpresi di essere ancora vivi e lo manifestano nei modi più disperati, avete letto bene e non è un refuso. Disparati è una parola che uso raramente, piuttosto scrivo diversi, mentre lo sconforto ha tutta una sua gamma di condivisione con il prossimo. Uno scrittore può decidere quindi l’uso strumentale di questo stato d’animo pre-lavorativo altrui a proprio piacimento perché c’è chi si alza e va a correre con il buio facendo lo slalom tra i mezzi per la pulizia delle strade e i camion della rumenta, chi si cimenta nel soffritto all’alba per portarsi una schiscetta dignitosa e su misura con i gatti che tentano gli assalti ai fornelli completamente frastornati dall’odore anomalo per le sei del mattino, e chi – guarda un po’ – si immola alla cultura e accetta i miei eccentrici inviti.

[A questo punto lo scrittore pensa di adattare il post a cui sta lavorando in forma di sceneggiatura di soap opera, quindi aggiungendo i dettagli di ogni scena in modo che, oltre ai dialoghi e ai pensieri dei protagonisti, anche un’eventuale regia possa comprendere al meglio le riprese da utilizzare contestualmente.]

Lo scrittore scende dal palco improvvisato con due tavolacci di compensato su un pallet e si avvia a confrontarsi e a ringraziare i tre o quattro lettori fidelizzati che sono intervenuti al reading, dimostrando un’abnegazione addirittura superflua se non fuori luogo che, in parte, lo mette a disagio. Sugli altri spiccano Katia che è arrivata con un treno locale da un paese dell’Emilia, Miss Fletcher, una nota blogger che con il suo lavoro di ricerca sta mettendo a lustro Genova, e persino l’amico scrittore Speakermuto, di cui si erano perse le tracce. L’autore cerca di dare almeno a loro una giustificazione attendibile su alcune scelte discutibili riguardo alla conduzione del reading appena concluso.

– Spero almeno abbiate apprezzato la formula: leggere tante volte lo stesso racconto è meglio che sceglierne tanti se non troppi che poi nessuno se li ricorda.

[Da qui invece, consapevole che sta facendo casino, riprende a scrivere come sempre]

Il pezzo scelto dall’autore è il vecchio post dell’Alberto che è fuori come un balcone e va ad attendere l’arrivo dei suoi genitori nello stesso punto dove li aspettava da piccolo, un racconto che ha una sua morale che è che bisogna fare i figli solo se uno è pronto a cedere il primato nella sua vita a loro. Passare il testimone. Che poi è anche uno dei miei paradigmi genitoriali anche se dubito che queste cose che scrivo lo trasmettano. Per il prossimo reading pensavo a quest’altro, leggetelo anche voi così verrete belli preparati.

La manciata di spettatori rimasti a congratularsi con l’autore si avvia a cominciare la propria giornata produttiva. Ci sono le solite due impiegate che lavorano nel palazzo di fronte al mio ufficio, non so come abbiano fatto a sapere dell’iniziativa ma comunque meglio così, sento che discutono su qualcosa inerente la perdita della propria libertà in un contesto in cui poi ti chiudi otto ore a svolgere il lavoro di contabile o anche un mestiere apparentemente più creativo, come il grafico pubblicitario, un nome altisonante per una professione che forse non esiste nemmeno più.

spero che questo vi piaccia

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Le donne che piacciono agli uomini o che piacciono alle donne a cui piacciono le donne spesso si accoppiano attraverso soluzioni a breve, medio o lungo periodo con uomini del genere che piace alle donne o del genere che piace agli uomini a cui piacciono gli uomini, e viceversa.

Se non vi siete persi, gli appartenenti a tutte queste categorie è facile riconoscerli perché, generalmente, pensi che ti possano piacere e non dici, invece, che ti piacciono e basta. Avete afferrato? C’è un passaggio culturale che mette in imbarazzo chi è stato abituato al senso critico a priori. Comunque meglio lasciarli stare, tanto a noi a cui piacciono le persone, i progetti, i pacchetti all inclusive o anche le facce e i corpi stessi ma a seguito di una sorta di presa di coscienza o anche di una folgorazione, di queste categorie non sappiamo che farcene.

Quindi voi donne che siete abituate a piacere agli uomini o a piacere alle donne a cui piacciono le donne, ma anche voi uomini che siete abituati a piacere alle donne o a piacere agli uomini a cui piacciono gli uomini, continuate pure a spippolare sui vostri smartcosi ostentando una finta insofferenza al cospetto di uomini o donne della stessa categoria che cercano di farvi accorgere della loro pratica di seduzione, ma non disturbate il resto del mondo abituato al senso critico a priori a cui quindi non solo non piacciono le persone che piacciono alle persone a cui piacciono le persone, ma che non piacciono alle persone a cui piacciono le persone che piacciono alle persone.

Il subappalto a seconda di come lo giri ha tutte le caratteristiche per diventare una delle piaghe a causa delle quali ci estingueremo

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Ma allora perché non subappaltare l’esercizio del culto e la divulgazione della parola di Dio. Se la Chiesa non ce la fa potrebbe ricorrere a una cooperativa come per gli asili nido o il personale delle biblioteche o le stesse mense. Personale fornito a seconda delle necessità alle parrocchie per confessare i fedeli, andare a benedire le abitazioni sotto Natale o dire messa al cospetto delle persone che non si possono muovere, come malati o gente normale ma che deve stare in casa per cucinare il pranzo della domenica a decine di invitati. Il subappalto a seconda di come lo giri ha tutte le caratteristiche per diventare una delle piaghe a causa delle quali ci estingueremo, come le citazioni sbagliate su Facebook, le gallette di riso o lo zafferano venduto al supermercato nei dispositivi anti-taccheggio. Volete un esempio accaduto realmente?

Ok. Guardate quei due tizi, l’uomo e la donna là in fondo vestiti entrambi con quella divisa blu che da lontano potrebbero anche essere una hostess e uno steward di qualche compagnia aerea nordeuropea. Peccato però che tengano in mano un blocco per le contravvenzioni e da come stanno gesticolando sembrano spartirsi i due lati opposti della strada da controllare e cercare auto in fallo da multare. Ma le cose, si sa, a volte non sono come sembrano, soprattutto se con l’età non sei più un falco con la vista. L’altra mattina, per dire, stavo correndo lungo una stradina poco frequentata del mio paese che per di più non è certo la patria dell’accoglienza quando ho visto due energumeni avvicinarsi a una villetta a schiera, ho subito pensato a due slavi in ricognizione se non già pronti al furto con scasso. Quelli sì che sono stereotipi, mentre i due ausiliari del traffico hanno persino un berretto mai visto, ed è per l’uniforme eccessivamente rigorosa per un compito così meschino che ho pensato alla Polizia Locale che, non potendo più assumere personale interno a supporto di questo tipo di controlli, ha dato tutto in outsourcing e c’è qualche imprenditore che si è montato la testa e, visto che non può più travestirsi da ferroviere per far girare i trenini elettrici Lima all’infinito sul suo plastico realizzato nei minimi dettagli, ha esagerato con l’aspetto estetico per coprire competenze lacunose in ambito codice della strada.

Un po’ come quando sei al Mediaworld e nessuno ti sa dare informazioni tecniche perché il personale tecnico, e non solo al Mediaworld, non esiste più. Chiude il cerchio degli stereotipi il fatto che la donna di quella misteriosa coppia di non-so-cosa vista da dietro sembra una di quelle avventrici al bancone del bar nelle strisce di Andy Capp, o Carlo e Alice se li seguivate sulla Settimana Enigmistica. I polpacci perfettamente simmetrici tra le caviglie e la gonna, dettagli che passano in secondo piano per la sorpresa di vedere un essere umano femminile in piedi a bere birra in chissà quale pub inventato, o a mettere multe per conto della cooperativa di addetti alla sosta che l’ha ingaggiata. Chi invece ha imparato a osservare i particolari è andato oltre, tanto che c’è chi, come me, non è mai riuscito a seguire più di una manciata di vignette dei super-eroi Marvel. Troppo ricche di disegni, io preferisco l’essenzialità. Meglio seguire la linea, avete capito quale intendo.

in un mondo fatto di conversazioni come ci si comporta con i disturbi alla linea?

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Non so se siete stati alla recente Fiera dell’elettronica di Berlino. Io no ma vorrei aver avuto la possibilità di testare quel nuovo modello di occhiali – tipo quelli di Google, per intenderci – che consentono la vista con realtà aumentata. Tra le principali funzionalità è possibile verificare se chi ti sta parlando a quattr’occhi lo fa per comunicare, per provocare, o anche per sedurre, o semplicemente parla con te ma in realtà parla a se stesso perché il solo sentirsi gli fa il pieno di autoreferenzialità. L’algoritmo presente filtra la conversazione e fa comparire sul proprio piano visivo un bollino colorato come la segnaletica che si sono inventati alla tv per far scappare i ragazzini di fronte alle zozzerie per adulti. Va da sé che è difficile constatarne l’utilità perché il sensore restituisce quasi sempre il valore “rosso” che sta a significare “lascia perdere il tuo interlocutore”, come a dire che le persone con cui si riesce ad avere un confronto equilibrato sulle parti sono quelle che stanno zitte. La cosa non vale al telefono perché l’effetto è lo stesso della voce registrata, come se steste guardando un film o la tv. L’annunciatrice parla rivolta a voi, ma qual è il suo scopo? Convincervi a rimanere incollati su quel canale? Ma soprattutto, esistono ancora le annunciatrici o fanno parte di un nostro immaginario del passato che noi di questa generazione abbiamo traghettato per i nativi digitali, con ferrivecchi tipo il telefono con la rotella o certa musica anni 80? E pensare che alcuni la considerano pure una missione come se la gente del duemila non ne avesse già abbastanza di cose da imparare. Ma pensate un po’ che presunzione. D’altronde il mondo si divide tra quelli che vogliono portare la cultura agli ignoranti, quelli dicono che cosa gliela portiamo a fare tanto se sono ignoranti cosa se ne fanno della cultura e quelli che invece non si pongono il problema e che quindi un po’ ignoranti lo sono anche loro. Se volete la mia opinione, invece sono dell’idea che la società moderna si divida in tre classi sociali: destinatari, copia e copia nascosta. Se non usate la mail ma chiamate direttamente lo fate per chiedere se chi state chiamando ha ricevuto la mail, ma avete preso un abbaglio perché non è quella la cosiddetta multicanalità, bensì una versione due punto zero della vostra ansia. In questa categoria rientra un certo Andrea di Asse-qualcosa che mi aveva scritto per farmi partecipare a un sondaggio sulla gestione del rischio in impresa. Potete immaginare quanto sia competente in materia e, soprattutto, quanto me ne freghi. Mi sono fatto negare due o tre o volte al telefono dalla centralinista, poi ho deciso di accettare il confronto. Gli ho detto che ero il destinatario sbagliato di quella richiesta e che la sua associazione aveva fatto male i calcoli con il database dei contatti da coinvolgere in quella iniziativa. Io conto come il due di picche, gli ho sottolineato. Valgo tanto quanto un qualsiasi impiegato e l’unico rischio che corro, oltre a perdere il lavoro, è quello di risultare poco attendibile.

quando manca l’abc

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Un po’ quel che succede in giro, un po’ quello che si legge sui Social Network, sta di fatto che quando qualcuno ci si avvicina abbiamo sempre pronto il dito sull’interruttore della diffidenza, che se sei in macchina corrisponde al pulsante che blocca le portiere e a meno di casi estremi puoi ritenerti al sicuro. Se invece no, c’è poco da fare e ti tieni pronto con tutte le armi difensive di cui sei provvisto. In senso lato eh, spero che non siate tra quelli che girano con i coltelli o peggio. Comunque sono alla stazione di Pescara con il naso all’insù verso il tabellone delle partenze in attesa che venga pubblicato il binario del frecciabianca che mi riporterà verso Milano quando un energumeno mi prende alla sprovvista alle spalle. Non sono mai tranquillo quando intravedo qualcuno dietro, a Milano Centrale una volta una ragazza che fino a poco prima mi sembrava ammiccasse poi un poliziotto l’ha allontanata che quasi aveva le mani nella mia tracolla, esperienza che a sua volta mi ricorda di quella scena di “Ferro 3 – La casa vuota”, quando Tae-Suk si mette perfettamente fuori del campo visivo del proprietario dell’appartamento in cui si trova abusivamente standogli perfettamente dietro e muovendosi con un’abilità tutta orientale che noi mediterranei, lenti e maldestri come siamo, ce la sogniamo. Questo per dire che faccio un salto ma poi resto allibito perché quest’uomo grande e grosso ma sorprendentemente giovane mi chiede se posso dirgli a che ora e su che binario parte il treno per Roma perché non sa leggere. Cerco allora di aiutarlo più del dovuto spiegandogli tutto il possibile come se, oltre a essere analfabeta, fosse anche completamente decerebrato ma dovete capirmi, non mi è mai capitato di conoscere qualcuno che non sa leggere. E solo quando si è allontanato tutto soddisfatto per l’aiuto ricevuto penso che forse ho capito male io, magari non sa leggere l’italiano perché viene da qualche paese in cui sono in uso i caratteri cirillici, eppure mi sembrava italianissimo, anzi, con un accento marcatamente campano. Se il problema è lingua scritta versus lingua orale, allora che dire di quello che si dicono tra di loro gli asiatici, e non mi riferisco certo ancora a Kim Ki-duk. Ho appena visto un bell’incontro tra Italia e Cina di volley femminile: le atlete cinesi fanno punto e, come consuetudine della pallavolo, si incontrano al centro della loro metà campo per condividere l’entusiasmo agonistico e motivarsi. Le cinesi però emettono dei suoni vocali molto particolari che sicuramente equivalgono a espressioni che ci sono famigliari ma, provando a visualizzarli, hanno la stessa forma degli ideogrammi il che è ancora più strano perché gli ideogrammi sono simboli che si pongono in rapporto immediato con un contenuto mentale e non tengono conto dell’aspetto fonologico del linguaggio (non è farina del mio sacco, questa, ma è la definizione che ne dà della Treccani). Quello che intendevo dire è che, anziché svilupparsi in lunghezza come le parole che usiamo noi, è come se in una sola persona più voci pronunciassero simultaneamente ciascuno una lettera diversa. Provate a farlo a casa con gli amici, è un gioco divertente. Ci ho passato del tempo sopra a questo pensiero, perché la partita in realtà l’ho vista in differita su Internet, quindi potevo fermare la riproduzione a piacimento. Ho scoperto infatti un metodo che fa per me, che come tifoso sono un vero cagasotto. Seguo le partite di cui so già il risultato e solo se è in favore della squadra che mi sta a cuore. Mi sembra comunque già un bel passo in avanti e, al contempo, tengo i nervi sotto controllo.