Quante volte vi è capitato di rimanere insoddisfatti della singola presenza delle uniche quattro battute di cambio in Svefn-G-Englar dei Sigur Ros, dopo che tutto il pezzo sembra essere teso a un culmine emotivo che quando arriva è un vero e proprio climax e vorreste che quella nuova disposizione armonica continuasse per un po’ e non vi lasciasse più? Lo sapete, vero, che ci sono studi che dimostrano che la musica ripetuta appaga maggiormente l’appetito dell’ascoltatore. Io quando ho ascoltato quella traccia lì di “Ágætis byrjun” vi giuro che mi sono sentito così a bocca asciutta quasi quanto per un’altra cosa che non mi va giù, e cioè “The great gig in the sky” dei Pink Floyd in cui uno si aspetta che i vocalizzi di Clare Torry riprendano nuovamente con la stessa enfasi strumentale sotto anche dopo la parte in cui si placa e invece no. Quindi c’è sempre quell’approccio che bisogna assimilare tutto l’unica volta perché poi i momenti belli non danno una seconda chance. Così, grazie ai potenti mezzi del sound design casareccio, vi concedo l’opportunità di godere del cambio di Svefn-G-Englar dei Sigur Ros per nove minuti e rotti, e se youtube consentisse l’upload di video più lunghi di dieci minuti lo avrei reso in un loop eterno. Perché di certe cose non se ne ha mai abbastanza, alla faccia di quelli che poi alla lunga si stufano. Affari loro.
Svefn G Englar
una delle cime più alte dell’Islanda
StandardMa a voi non vi irritano alcune scelte nelle canzoni, per esempio suoni che non ci azzeccano e che vi rovinano l’atmosfera, o la batteria che non entra mai e non fa decollare il pezzo oppure entra a sproposito e lo appiattisce, o ancora strutture discutibili con parti asimmetriche che sbilanciano l’ascolto, o simmetriche che invece gli danno la forma del cremino, uno strato in un modo poi quello in un altro poi torna il primo strato eccetera eccetera? Si tratta di una percezione totalmente soggettiva, lo ammetto, e anche piuttosto nerd. Ma ci sono casi che mi urtano perché riguardano brani a cui sono molto legato e che ascolto sempre con enorme piacere, ma poi arrivo in quel punto in cui avrei fatto diversamente e mi rammarico del fatto che il gruppo non mi abbia consultato, in fase di produzione, per sfruttare il mio fiuto in ambito musicale. E che fiuto, direte voi.
Prendete “Svefn G Englar” dei Sigur Ros, per esempio, un brano la cui fruizione è fortemente condizionata dall’attesa del cambio che, nel video qui sotto, trovate a 6:15 circa, un’apertura che ogni volta mi ribalta ma che dura pochissimo, il tempo di un solo giro di accordi, e che mi lascia quella sensazione di inappagamento perché vorrei che si ripetesse almeno altre sette volte a completare una voglia che definirei di geometria emotiva e completezza armonica. Ma l’unicità di quel frammento, direte voi, è proprio il bello del pezzo, un climax che si erge per pochi secondi proprio per farci beare di tutto il resto. Per lasciarci ammirare una vetta da lontano, che si scala e si scende solo per la vertigine dell’altezza. Sarà davvero così?