Quelli non proprio ricchi, quelli che hanno una casa per le vacanze ma solo perché è la vecchia casa in campagna dei bisnonni, dove ci finisce tutto ciò che nella casa di città non trova più posto. Le cose vecchie, magari rotte e poi aggiustate. I doppioni e le seconde scelte, adatte per la seconda casa. A meno di non avere risorse tali da potersi permettere la massima qualità e il comfort ovunque, e c’è gente che può farlo. Ci si trovano quindi vestiti, lenzuola e coperte, stoviglie, mobili e mobiletti, elettrodomestici che, pur trasferendo un legittimo senso di provvisorietà, finiscono per arredare in modo definitivo i locali in cui si trascorre qualche settimana all’anno o poco di più. Si tratta di cose che con il tempo si impregnano dell’odore di quegli ambienti paralleli alle nostre vite, e se provate a promuovere alla massima divisione questi oggetti di serie B difficilmente lo perderanno, anche in senso lato. Una volta avevo portato in città la mia bicicletta che, per motivi di sicurezza stradale, utilizzavo solo in campagna, ma è successo una volta sola. Sembrava fuori dal suo ambiente, costretta a percorrere asfalto urbano anziché terra battuta mista a pavimentazione rurale. Poi un teppistello mi aveva pure fregato lo specchietto retrovisore, e a dirla tutta non mi trovavo nemmeno così a mio agio nel traffico con quel mezzo a due ruote pensato per il fuoristrada. Ma il caso più eclatante di beni di risulta che di certo non miglioravano l’esperienza di villeggiatura era la tv. La tv della seconda casa, la tv di riserva, era una Magnadyne portatile arancione che oggi fa la sua bella figura con il suo design anni 70 a casa mia, e se non fosse per colpa del digitale terrestre funzionerebbe ancora. Su quel televisore in bianco e nero e a 4 programmi ho assistito a tutti i principali eventi estivi della mia infanzia, a partire dalle olimpiadi e i mondiali di calcio anche se l’estate per me era principalmente all’aria aperta, e a parte qualche appuntamento obbligatorio con cartoni e telefilm trasmessi all’ora di cena la sfruttavo solo nei giorni di pioggia. E da quella scatola arancione sono passate anche le notizie di cronaca, che a cavallo tra i 70 e gli 80 non erano mai piacevoli. Nemmeno in estate c’era un po’ di tregua.
strage di Bologna
e allora mambro
StandardIl treno è fermo alla stazione di Bologna. Una bellissima mamma con tre bellissime figlie dirette chissà dove in riviera romagnola, tutto il mese d’agosto al mare a casa dei nonni – che fortuna avere i nonni che abitano lì -, il papà che farà la spola da Milano ogni fine settimana a parte la settimana centrale di agosto. Oggi è il 30 luglio 1980, fa un caldo cane, le gambe sudate delle bambine si appiccicano alla pelle dei sedili e non riescono a stare ferme. La mamma e gli altri 2 passeggeri dello scompartimento, una coppia di anziani, sono lievemente infastiditi, ma la vera causa è il treno bloccato lì più che i continui passatempo fisici con cui le bimbe cercano di sfuggire alla noia, dài fate le brave, non siamo nemmeno a metà viaggio probabilmente. I vagoni sono fermi al binario, all’ombra della pensilina solo parzialmente, il resto sotto il sole pomeridiano. Tutti i finestrini son giù. Il capotreno ha già fischiato 2 volte, ma il treno resta lì, e il ritardo aumenta. Ormai è quasi mezz’ora di sosta, i passeggeri sono al limite della sopportazione, anche perché il treno è gremito, c’è gente in piedi. La bella signora sventola un quotidiano sotto il mento, osserva indignata una coppia di manovali che staccano un vagone da un locomotore nel binario di fronte, dà quindi un’occhiata al quadrante dell’orologio da polso, sbuffa. “E poi si lamentano che gli mettono le bombe”. Il treno riparte con 45 minuti di ritardo, una piccola parentesi di disagio che sarà presto dimenticata. Le due sorelle gemelle, più grandi, si immergono nella lettura di fumetti. La piccola si addormenta, la testa sul grembo della bellissima mamma.