Quindi si può considerare il pop come un mass media se il mezzo è il messaggio? E che ne so io, ma vi sembrano domande da farsi? Non siete capaci di andare su Google e cercare le risposte ai vostri quesiti? Ammesso che sia d’accordo con voi, posso concedervi il fatto che certe canzonette amplificano alcuni dei grandi temi sociali della contemporaneità: i menestrelli si fanno cantori di quello che accade e, oltre a parlare d’amore e aspetti collaterali come corna, sesso, turbamenti e gelosie, talvolta espongono nei loro potenziali successi argomenti dell’attualità con un approccio più o meno impegnato. Quindi dopo il Vietnam, le barricate in piazza fatte per conto di chi crea falsi miti di progresso, la depressione economica e persino l’uomo sulla luna anche l’Internet ha avuto la sua bella celebrazione nella hit parade. D’altronde la rete, i suoi contenuti e le dinamiche sociali che ha imposto costituiscono un elemento decisivo della vita contemporanea dell’uomo ed è giusto che ci siano canzoni il cui linguaggio abbia riferimenti dall’uso che facciamo della tecnologia. Ma considerando che siamo freschi di questa invasione digitale a volte l’ingenuità con cui alcuni termini di moda vengono forzatamente imposti per attirare l’immaginario collettivo e, conseguentemente, sfruttarlo per vendere dischi fa un po’ sorridere. Un ottimo esempio a proposito è il brano di questa estate che vorremmo non finisse mai di Lorenzo Fragola, uno dei nulla partoriti da Xfactor che ha una forte visibilità in questi giorni su tutti i canali radiofonici e televisivi con una canzone che si intitola “# fuori c’è il sole”, in cui il celebre cancelletto viene addirittura pronunciato “hashtag” nel ritornello. Il che, se vi fermate un attimo a riflettere, è un’ottima idea commerciale, perché se ne valesse la pena e la canzone non fosse la merda che è si potrebbe decretarne il successo riempiendo Twitter con stralci di testo accompagnati proprio con #fuoriceilsole, consentendo così al nulla di xfactor che è Lorenzo Fragola di vedere le proprie parole tra i topic più trend della stagione. Una sintesi di tutto quello che ci circonda sui browser più in auge ma vista attraverso un approccio forzosamente hipster e underground è invece un brano il cui video mi è capitato di vedere per caso su Mtv ieri, “La tipa di Rockit” di Borghese, un vero e proprio bignami dei social network ad uso e consumo di chi nel duemila e rotti si atteggia a musicista alternativo in Italia. Borghese (che giuro non so assolutamente chi sia) traccia un identikit dei giovani musicisti d’oggi assolutamente condannati a perdersi nell’indomita forza dispersiva di Internet. Pensate a quanto la rete e i social network sono in grado di annullare la nostra vita con l’incommensurabile surrogato di conoscenza che illusoriamente ci mettono a disposizione. Innegabile, a dimostrazione di ciò, il fatto stesso che tra i giovanissimi siano sempre meno quelli che scelgano la musica come hobby, oramai i passatempi in rete vanno per la maggiore a scapito delle più tradizionali forme artistiche che anche solo la mia generazione ha praticato con più o meno successo. Peccato che il risultato del brano in questione sia discutibile e autoreferenziale, il che è la prova che appunto oggi in Italia il rock è morto da almeno una decade e al massimo ci appare in sogno a suggerirci numeri del totocalcio sbagliati perché ad avergli dato il colpo di grazia qualche responsabilità i social network ce l’hanno. Perché davvero, a questo punto preferisco i veri precursori dell’Internet cantata, che sono stati indiscutibilmente quelli che trovate qui sotto.