Che ora per essere polically correct si chiama prato fiorito ma aver cambiato solo il nome non ha variato la sostanza. Se prima facevi un passo falso saltavi in aria, il che era un disastro, ma ora se sbagli a mettere il piede finisci su una “busa” di vacca il che non è una bella esperienza se calzi infradito, ma ti possono anche capitare le zecche se il prato fiorito si trova nei pressi di una zona boschiva alla mercè di animali facili prede di parassiti. Ma la dinamica è la stessa, fai attenzione alla prossima mossa perché se non usi l’arguzia tutto è contro di te e nel gioco puoi fare partite all’infinito ma nella vita sei spacciato o al massimo trovi persone ben disposte a sopportarti. E come difficilmente tieni uno storico della tua attività con i giochi di sistema di Windows così non è facile ricordarsi di quando qualcosa è esploso sotto di te o più verosimilmente hai inavvertitamente schiacciato un lascito canino per strada che nell’immaginario collettivo è l’errore per antonomasia – si dice che porti fortuna ma non ci ho mai creduto – e allora se procediamo per metafore ci vorrebbe ben altro che un blog per contenerle tutte. Continua a leggere
social network
il diavolo A4
StandardTramontata l’era delle catene di divulgazione culturale tramite Power Point inviate via e-mail, roba che in confronto le rime di Max Pezzali sembrano estratti da opere di Kierkegaard, la palma dei repository della saggezza da cazzeggio in ufficio va ormai da tempo assegnata a Facebook, il vero tempio della creatività alla portata di tutti, la democratizzazione della battuta come aggregatore di reti umane. Una pillola filosofica piuttosto in voga che circola da qualche tempo in formato di fotografia a un foglio redatto in Comic Sans o giù di lì e appeso a una porta a vetri, riflessi inclusi, recita una inconfutabile verità che avrete almeno una volta nella vita letto, vista la sua diffusione trasversale tra tutte le tipologie di amici su FB: “tutti siamo utili, nessuno è indispensabile, ma onestamente qualcuno non serve a un cazzo”. E come dargli torto, a questo anonimo pensatore del ventunesimo secolo, che già solo per non aver utilizzato puntini di sospensione a sproposito costituisce comunque una piacevole eccezione.
Da qualche giorno la stampa di questa foto che ritrae un foglio appeso a una porta a vetri – scusate se ripeto di cosa si tratta ma è fondamentale per la comprensione del seguito – è appesa a una porta a pochi passi da me in una sorta di installazione tra il pop e il surrealista, tanto che sarebbe da fare una foto, stamparla e appenderla a un’altra porta e così via, per continuare all’infinito. Il dato inquietante è che la porta in questione, la seconda della catena qui sopra per intenderci, chiude o apre, seguendo l’indole pessimista o meno dell’osservatore, l’ufficio di due dei tre soci dell’agenzia in cui lavoro, i boss insomma. L’allegoria è evidente: lavoratori siate avvertiti, non solo il mondo è precario ma ci scherziamo pure su. E giustamente, mi vien da dire; come sosteneva un mio caro amico, non c’è nulla di sacro se non l’omonimo osso. Passando lì davanti si percepisce come un sussurro che invita ad avvicinare l’orecchio a quel foglio A4 stampato in bianco e nero: risorse umane, voi siete le colonne del nostro fatturato, ma attenzione perché siete caduchi come i denti da latte. Tornate a lavorare, e i fannulloni sono pregati di astenersi e di recarsi direttamente nella categoria più bassa della cinica quanto indispensabile classifica meritocratica interna.
Detto tra noi, a me quell’aforisma non fa ridere per niente. E ha anche amareggiato non pochi qui, che passano davanti e gettano un’occhiata per vedere se quel foglio stampato è ancora lì e poi, attestata la presenza, scappano via come per non farsi cogliere sul fatto. Qualcuno vedendoli potrebbe pensare che hanno la coscienza sporca, sono inutili e l’azienda dovrebbe lasciarli a casa per risanare le casse e così leggono di nascosto la loro diabolica condanna solo per esorcizzarla. Ma no, non dovete preoccuparvi, amici, è solo un file mandato in stampa, è solo suggestione, non siate giù di toner.
log on, fuck off
StandardL’Internet che tra le tante cose è anche un gran bel modo per instaurare e tessere rapporti umani, è anche un canale in cui i suddetti rapporti nati lì o sorti altrove ma nutriti nel “cloud” a certo punto puff, svaniscono. E non c’è niente di più semplice dal momento che i fraintendimenti sono all’ordine del giorno, non c’è faccina didascalica che tenga. La parola resta, lì nera su bianco (ma anche di un qualunque colore su un qualunque colore di sfondo, siamo tutti un po’ art director di noi stessi) e ha il significato che il lettore le attribuisce come gli pare e piace. Non vi è corrispondenza biunivoca con lo scrivente, almeno non di default, dipende da millemila fattori non ultimi l’acume di chi legge, la sua capacità di mettere in relazione ciò che ha ricevuto con l’indole di chi sta comunicando, i refusi stessi. Un “non” dimenticato, come la più celebre omissione di Riccardo Silva raccontata da Saramago, e il danno è compiuto. Chiaro che se due si sono conosciuti solo attraverso il browser, la carenza di intimità visuale rende ancora tutto più difficile e l’equivoco è costantemente in agguato, è difficile sgamare uno che fa finta, anche con Firefox. Questa è, da sempre, la chiave di lettura del comportamento in rete, rapporti che per taluni, sottoscritto compreso, ormai per forza di cose costituiscono la totalità dei contatti quotidiani a parte i familiari stretti. Non so come sia per i nativi digitali. Ma per le generazioni protagoniste di questa regressione sociale, la possibilità di far sparire qualcuno spegnendo semplicemente un dispositivo rimane comunque un insuperabile potere che conserva intatta la sua aura prodigiosa.
e-profundis
StandardLa massa di persone che riemerge dal passato, parenti e amici e ex e compagni di classe ciascuno sul proprio scranno a formare un parlamento, si può pensare a una disposizione che rifletta l’orientamento politico da destra verso sinistra. In taluni casi può esser sbilanciato, magari conosci solo persone da Rutelli in poi, per dire, ma la vado dura perché c’è l’insieme di quelli che non vedi e non senti dalle medie, chissà cosa hanno votato (e se hanno votato) in tutti questi anni, quindi ecco lascerei perdere l’assegnazione dei posti secondo questo criterio che complica le cose. E ti verrebbe voglia di dire qualcosa a uno a uno, specie se hai la memoria lunga lunga da elefante, magari non ricordi se hai già messo le infradito in valigia ma hai un file di excel con la traccia di tutti i torti subiti, per esempio. Hey tu, laggiù, con quel dolcevita blu scuro e la forfora sulle spalle, tu una volta mi hai fracassato la squadra – quella per il disegno tecnico, eh – sulla testa. Invece tu, lì, che mi dici della collezione di mix dei Depeche che ti sei tenuta quando mi hai lasciato? E quell’altro due posti più in là, nel settore parenti di primo grado, mi hai truffato e ora siedi lì come se niente fosse. Ma ci sono anche le cose belle, guarda, la tipa con gli occhiali che ti ha prestato il walkman con quella compilation durante il viaggio di ritorno e pensavi che non saresti più voluto tornare. Sì, dimmi? Mah, sei in prima fila, ma guarda davvero non mi ricordo di te, ci si vergogna un po’ quando magari non hai quella memoria che ti permette di ricordare le facce. Ah, ho capito, in quel periodo non ero granché presente, puoi immaginarne il motivo.
Ecco, i socialcosi in chiaro, quelli dove ti sei iscritto con nome e cognome, Facebook per intenderci, quelli in cui rispondi con la tua faccia dieci, venti o trent’anni dopo a persone che sono contatti di amici di amici di semplici conoscenti che comunque sai chi sono e ora li hai amici anche, anzi solo lì, poi li incontri dopo che qualche settimana prima ti hanno dato un bel like su una delle tue minchiate che ti sei inventato per fare il brillante sul tuo status e ora ce l’hai lì davanti e non hai proprio un cazzo da dire. Questi socialcosi mi davano l’impressione di essere così, una sorta di aldilà come lo fanno vedere nei film, un mistone atemporale di persone tutte insieme in un posto, io per comodità e per, diciamo, esigenze logistiche l’ho raffigurato come sopra perché mi immaginavo un parlamento come quello inglese, magari, tutti così appiccicati e a ridosso del primo ministro, loro hanno questo senso dello spazio e della partecipazione, li vedi anche negli stadi con i tifosi praticamente a bordo campo. Ma potrebbe essere la classica spiaggia con le persone sberluccicanti o con un alone luminoso, che nel nostro caso è di colore bluette Facebook. Facebook che ti ha permesso di non buttare più via nulla, nemmeno le cose che non avresti mai più voluto ricordare, ce l’hai sempre lì, a portata di username e password. Ma non so, tutti lo usavano invece per fare nuove conoscenze, nuovi incontri, nascevano storie, alcune tragiche, altri si sono sposati. Ma i morti della tua vita, quelli veri, nei socialcosi non ci sono. Sono cremati o tumulati da qualche parte. E un sistema di contatto virtuale con loro, ecco, questo potrebbe essere l’e-business del futuro. Deadbook, ti aiuta a rimanere in contatto con le persone che hai amato. Al posto del like un bel lumino e, per chi ci crede, una prece.