Il momento in cui ci troviamo da soli sull’ascensore o davanti allo specchio del bagno non ha eguali perché è una tentazione troppo forte quella di mettersi a fare le facce. Si, le facce, le smorfie, quelle cose con cui ci divertiamo a deformarci la faccia, un comportamento segreto di cui non sa niente nessuno se non per il fatto che lo facciamo tutti e tutti noi ci vergogniamo di ammetterlo. La prima faccia allo specchio nella nostra vita probabilmente risale a un periodo in cui a malapena stavamo a quattro zampe, per non parlare della prima espressione da idiota allo specchio dell’umanità che si perde nella notte dei tempi. Io spero di non smettere mai a fare le facce allo specchio quando non mi vede nessuno. Ho solo un problema perché succede che quando le faccio veramente brutte, e ci vuole poco mi direte, e allora cambio la frase prima con quando le faccio veramente spaventose capita che mi spavento sul serio. Mi torna alla memoria una specie di illusionista che avevo visto in tv da bambino che, per cadere in trance, faceva le smorfie allo specchio fino a quando finiva in questa specie di stato di ipnosi anche se avrete capito bene che era tutta una finta da illusionista. Così quando mi trovo da solo in ascensore o in bagno cerco di evitare le facce troppo spaventose perché poi se cado in trance nessuno può venire a salvarmi e, soprattutto, come ci si sveglia da uno stato così causato appunto da aver fatto delle smorfie spaventose allo specchio? C’è un manuale per annullare l’effetto? E spero che non capiti mai a me di dover soccorrere qualcuno che si è auto-ipnotizzato in questo modo un po’ stupido. Ricordo benissimo il professor Principato di applicazioni tecniche alle medie, che ogni tanto aveva crisi che gli altri prof dicevano di epilessia, in cui praticamente si bloccava e andava in loop con la cosa che stava facendo. Una volta è stato un quarto d’ora buono a sottolineare una frase con il gesso alla lavagna, un’altra a odorare la confezione dell’alcol. Nessuno ovviamente interveniva in suo aiuto, anzi, con la crudeltà che contraddistingue i ragazzini delle medie ce ne guardavamo bene e iniziavamo con la solita caciara. L’odore che invece io riconduco alle ore con il prof. Principato è quello del legno di balsa, perché in terza ci aveva divisi in gruppo per costruire un modello di nave. Il prof. Principato girava spesso con una borsa che direi da computer portatile, se non fosse che i computer portatili non li avevano ancora inventati nel 1978. Magari era uno come Marty McFly che viaggiava nel tempo e la sua specie di epilessia era una conseguenza di quel tipo di jet lag. Oggi chiunque, invece, gira con il computer a tracolla o in mano o nello zaino. Sembra che qualunque lavoro uno faccia abbia bisogno di un laptop da portare a spasso, da casa in ufficio, dall’ufficio a casa. Comunque possiamo iniziare a farci i selfie delle facce sull’ascensore e in bagno, l’importante è che quando le facciamo ci sentiamo ancora bambini anche quando avremo ottant’anni e non saranno certo le nostre smorfie a spaventarci e a farci cadere in trance.