i nostri programmi sono terminati, signore e signori buonanotte

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Non tutti hanno la fortuna di vivere in luoghi di villeggiatura senza la villeggiatura che poi sono luoghi a metà e film in bianco e nero visti alla tv ma nell’era della tv satellitare con una ricezione come la mia, che ogni due per tre si blocca in screenshot con pixeloni enormi e nemmeno il classico pugno sull’apparecchio serve più a qualcosa, mi devo mettere lì a smanettare dietro con il cavo dell’antenna finché il sistema non si riavvia. Quest’estate, come tante altre estati, me lo sono chiesto mentre mi asciugavo dopo il bagno, mentre osservavo un tramonto sul mare, mentre pagavo le pesche due euro e cinquanta al chilo. Cosa succede in posti come questo quando mancano le comparse, che sono i turisti, e restano solo i protagonisti. Quelli che vivono in quelle città fantasma dove sembra tutto finto e a pagamento e invece sono certo che c’è tutta una dimensione parallela e gratis anche laggiù. Le bancarelle che d’inverno sono prese d’assalto dai residenti per acquistare monili e prodotti artigianali, il cinema all’aperto che funziona anche se piove, che poi lì non piove mai. I ristoranti che si contendono quelle poche centinaia di abitanti dei paesini limitrofi, quei pochi che non sono andati a studiare fuori, a cercare lavoro sulla terraferma del continente, terremoti a parte. Le strade costeggiate da camperisti autoctoni che pensano che è bello comunque nei giorni festivi dormire in posti con una vista mozzafiato e si avviano ogni weekend intabarrati per il vento freddo che d’inverno sostituisce quello caldo dell’estate che mi sta portando via la fine.

I luoghi di villeggiatura senza la villeggiatura me li immagino come un dietro le quinte che dura mesi e mesi in cui si ridipingono i fondali e le scenografie, si ripassano le parti e le battute per la stagione successiva, si effettuano le prove senza gli abiti da scena e quindi più liberi e comodi senza la divisa da persona ospitale a tutti i costi che magari a lungo andare ti ci senti stretto dentro. Puoi finalmente parlare la tua lingua senza doverti esprimere in italiano o in tedesco o in inglese, se ti scappa qualche espressione in dialetto la capiscono tutti. Il dubbio resta capire chi paga tutto questo “making of”, se i proventi dalla vendita di pesche a due euro e cinquanta al chilo sono sufficienti a sostenere le stagioni di fiacca o se invece, una volta spento il sole e chi l’ha spento sei tu, tutti vanno a fare i lavori che farebbero se vivessero in posti in cui per trecentosessantacinque giorni si vive allo stesso modo, le città come la mia in cui non c’è nemmeno un scorcio per passare una serata romantica a godersi un panorama o un sentiero dove respirare un po’ di aria buona. E i posti di villeggiatura, più li imbelletti in estate e più risultano osceni in inverno se la qualità dell’offerta che proponi è finta e a misura di allocco. Ma se è vero che esiste il lavoro stagionale, è impossibile condurre una vita su questo modello. Sei mesi di fasti e sei mesi di rovina, come faceva quel mio conoscente che era un bagnino e che raccontava quanto era bello la mattina con il freddo e con la pioggia sentire i rumori della gente normale che si prepara per uscire e andare a lavorare mentre lui rimaneva al calduccio sotto le coperte.  Nei luoghi di villeggiatura senza la villeggiatura non credo che sia così, almeno quello a cui mi riferisco io e in cui sono appena stato. Mi piace pensare che laggiù esista un sistema che, alla fine delle trasmissioni, si sposta altrove per riprendere a funzionare. L’isola che, mentre noi non ci siamo, si muove in blocco in un’altra parte del mondo e ricomincia tutto da capo, ogni volta, senza smettere mai.

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Non c’è nulla come questo posto, quello da cui sto scrivendo qualche ora prima di prendere la nave per tornare a casa, che mi dia l’idea della vacanza. Nulla. E mi dispiace non poco farmi sentire dai nativi di questo posto, vittime di una delle tante diaspore di cui la storia d’Italia è piena, migrazioni nazionali, internazionali e intercontinentali che hanno portato gli abitanti di questo posto un po’ ovunque nel mondo, e adesso che quasi per un principio di Archimede una eguale massa di gente viene qui perché laggiù, ovunque laggiù sia, non ci sono più sufficienti risorse, e loro non immaginano che non ce ne sono per tutti nemmeno qui, ma qui arrivano lo stesso e noi non solo non siamo pronti ma nemmeno vorremmo esserlo.

Dicevo, mi dispiace perché magari loro, i nativi che da qui sono stati costretti ad allontanarsi, vorrebbero che questo fosse considerato non solo un posto di vacanza, un paese dei bengodi in cui da tutto il mondo si viene a spendere il budget familiare dedicato alle ferie, ma anche, che so, un luogo di lavoro, un terreno per l’imprenditorialità sana, una regione normale tra regioni che normali certo non sono.

E scusatemi ancora, autoctoni, ma questo è il posto di mare più bello del pianeta, e mi dispiace per gli altri. Anche perché qui c’è un fattore decisivo che fa la differenza. Intendo dire che mi dispiace per le altre regioni e altre aree del nostro Paese di mare votate al turismo, ma che da sempre sembrano incompiute. Voglio dire, c’è chi proprio per l’accoglienza non è portato, storce il naso per il turismo del weekend e si lamenta se gli tagliano i ponti, e poi è pronto a rifilarti a caro prezzo stanze vergognose arredate con i mobili della nonna perché comunque è il posto in riva al mare più vicino. Che poi vi sfido a trovare un metro quadro di spiaggia libera, tra stabilimenti balneari affidati a gestori con concessioni vergognose che occupano da intere dinastie tutto il litorale, o almeno quello che ne rimane tra un sito industriale desueto e arrugginito ma rimasto lì, un’autostrada che ti passa sulla testa e un campeggio con i bungalow allestiti anche sugli scogli.

Ci sono altri lidi, dove però non sei mai a tuo agio, c’è il parcheggiatore abusivo, la casa volutamente incompleta a ridosso del bagnasciuga, le informazioni turistiche che smerciano materiale vecchio di dieci anni solo perché sono state stampate troppe brochure nel 2003 e poi è successo che sono finiti i soldi, gli scontrini fiscali questi sconosciuti, il conto preparato sul mini bloc notes a quadretti della prima elementare. Posti dove vai a visitare la riserva naturale taldeitali, lasci l’auto nel parcheggio e quando torni il vetro è rotto e la valigia non c’è più. Anche l’auto a fianco, targata Olanda, ha subito lo stesso trattamento. Ecco il migliore spot per chi vorrebbe tornare a essere una perla dell’accoglienza europea. Sì, lo so, un aneddoto non fa testo. Ed evito di soffermarmi sulle riviere con il mare marrone. Organizzatissime, per carità. Ma il mare marrone proprio no.

E lasciatemi dire, qui è tutto incantevole e ti senti ovunque a tuo agio, magari non proprio ovunque, ci sono aree colonizzate da tempo dal peggio del peggio della nostra società, baie presidiate da ferri da stiro galleggianti su cui risplendono labbra rifatte e pettorali depilati. Ma si tratta di una piccola parte di questo posto, e se fai finta che quella piccola parte sintetica non esista, tutto il resto non perde di un grammo il suo valore. Mare, cultura, aria, natura, cibo, tutto. E soprattutto qui, dicevo, c’è un fattore decisivo che fa la differenza: i sardi.

p.s. facciamo finta però che l’affaire Soru non sia mai accaduto.