Dopo una visita di controllo, in cui ho avuto conferma che sembra essere tutto ok, il cardiologo mi chiede se avevo portato con me l’ultimo ecg. Ma non essendomi stato ricordato in fase di prenotazione, ovviamente l’avevo lasciato a casa. Chiedo quindi al dottore se non avesse a disposizione in rete una cartella clinica virtuale con tutto lo storico della mia salute, almeno degli ultimi anni dall’avvento dell’informatizzazione nella sanità. Per lavoro leggo di consulti on line, di tablet in corsia, di check con codici a barre tra pazienti e farmaci in modo da abbattere il margine di errore in ambito ospedaliero e chissà perché mi ero fatto il film che, fatto un elettrocardiogramma o un qualsiasi esame presso una struttura della mia regione, l’esito comunque rimanesse archiviato in un database a cui attingere per ogni evenienza. Voglio dire: ho un incidente, mi portano in un qualunque ospedale della Lombardia, il dottore inserisce la mia tessera sanitaria in un lettore e il chip invia le informazioni a un sistema che gli riporta tutti i dettagli relativi alla mia salute. Oppure banalmente nel corso di una visita specialistica come quella odierna non serve che io porti con me i referti di analisi perché tutto è registrato in un data center della sanità, non dico nazionale ma almeno locale. Il cardiologo e la sua infermiera mi hanno guardato sbalorditi come se mi fossi espresso in gaelico, descrivendomi un ambiente di lavoro così come “lunare”, confermando che il film che mi ero fatto era di fantascienza.