il popolo unito non sarà mai vinto, ma a pensarci bene anche un pareggio è sufficiente

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Chiudiamo gli occhi e dimentichiamoci per qualche istante del congresso, della segreteria, delle larghe intese, di Renzi, ma poi riapriamoli perché altrimenti leggere questo post risulterebbe piuttosto difficoltoso. Ebbene, in quegli istanti di buio e di oblio restano i pillar, come si dice nel marketing, del nostro essere persone di sinistra, i valori e le battaglie e tutto il resto che oggi è ancora più preistorico e di minore interesse dei cartoni degli anni 80 e del biondino degli 883. Sotto sotto, anche il più bieco dei rottamatori al terzo bicchiere di lambrusco si ravvede a ritroso fino all’amnistia di Togliatti. Il lato positivo è che tra le cose che ci fanno sentire degli alieni mentre percorriamo una volta o due le strade del centro in numero sempre inferiore e con sempre meno bandiere rosse, mi riferisco ai cortei in onore della Resistenza, degli articoli della costituzione italiana, dell’impedire raduni organizzati e apologie di fascismo che nessuno tanto conosce nemmeno il significato del termine apologia, tra tutto questo – i partigiani sono fuori concorso – quello che mi fa ancora battere il cuore di rivalsa oggi come allora è la sfortunata storia di Salvador Allende, del popolo cileno nel 73 e del golpe organizzato dalla CIA (non lo dico solo io ma anche Henry Kissinger), a maggior ragione che 40 anni dopo la questione mica è risolta. Parliamo noi, mi direte, che a 70 anni dalla guerra civile siamo ancora qui a non nascondere simpatie per il perfido traditore mascellone giustamente appeso a testa in giù. Comunque come molti di voi ho preso a cuore il colpo di stato di Pinochet anche grazie agli Inti Illimani, che con i loro canti intrisi di dignità muovevano gli animi dei comunisti europei, almeno quelli, a sposare la causa della loro gente che poi era la gente tutta, la stessa che oggi fa pazzie per le sigarette elettroniche, vota Grillo e non riesce a rinunciare ai pacchetti completi delle tv a pagamento. Poi è successo che anni fa ho avuto finalmente l’occasione di vedere gli Inti Illimani dal vivo. Non ho pensato due volte ad acquistare il biglietto del loro concerto, pronto insieme a un paio di amici a levare il pugno per cantare tutti insieme con la pelle d’oca l’imbattibilità del popolo unito, ma quella sera di fine estate, dopo appena qualche canzone, una specie di uragano ha interrotto il concerto impedendone il seguito e lasciando il mio desiderio di ribellione ai soprusi nazifascisti irrisolto. Un pezzo come quello in questione era senz’altro previsto come ultimo bis, l’apoteosi del romanticismo socialista. Me ne sono andato con una voglia di rivalsa corale insoddisfatta, con la magra consolazione che della formazione originaria del gruppo di esiliati cileni era ormai rimasto poco, e che comunque avrei trovato una connessione ADSL flat a casa ad aspettarmi. Il concerto l’hanno poi ripetuto l’anno dopo, alla successiva edizione della stessa rassegna di musica sudamericana. Lo ha visto l’amico con cui mi ero recato l’anno prima che ringrazio per aver aspettato fino alla fine e per aver levato il pugno in aria anche per me, con voce da gigante e gridando adelante.