La domenica senz’auto, al di là dei risvolti ecologici – sui quali nutro i miei dubbi, ovvero forse ci vorrebbe una settimana senz’auto di fila per avere benefici tangibili – è comunque un ottimo spunto di riflessione. Consente di assaporare uno scenario surreale fatto di famiglie in bici, gente a piedi, arterie periferiche deserte, silenzio. Ci permette di misurare gli spazi che percorriamo velocemente con i mezzi motorizzati a piedi, e ci si guarda stupiti perché mentre fai due chiacchiere e muovi il naso un po’ in tutte le direzioni e sei già arrivato, camminando, a destinazione. E ti dici che le distanze non sono poi così distanti tra loro. Certo ci sono le mani fredde, l’aria pizzica le guance, ma è bello lo stesso. Non solo: ci offre uno spaccato di quello che poteva essere il posto in cui abitiamo un centinaio di anni fa, che con la nebbia fa quell’effetto “Albero degli zoccoli”, il film che ha costituito la principale fonte di ispirazione immaginifica della pianura per chi viene come me da posti senza nebbia e a due punti cardinali, ove il sud è sostituito dal mare e il nord dalle montagne a ridosso della costa. E per una di quelle combinazioni che ci piace cogliere (a noi proprietari di blog, intendevo dire), giusto ieri ho visto per caso in tv “Stramilano“, uno spettacolo teatrale con Adriana Asti, “un viaggio che va dalla “Maria Brasca” di Testori, ai Promessi Sposi, a L’è el dì di mort alegher, a Milanin Milanon passando per la filastrocca popolare De Tant piscinina che l’era, a La bella Gigogin, fino a Milano di Lucio Dalla e Come è bella la città di Giorgio Gaber, per citare solo alcuni tra i brani più conosciuti“. D’altronde, fuori faceva freddo per raggiungere a piedi il centro e tutte le iniziative organizzate per la giornata antismog, e c’era pure un po’ di foschia. Ma, tornando alla trasmissione, è stata un bel racconto di Milano, visto da un divano comodo e al caldo, chiaro. Lei bravissima, alcuni punti in dialetto un po’ oscuri per noi stranieri, fino a un’inaspettata “Luci a San Siro” suonata con un arrangiamento (non saprei come altro definirlo) da avanspettacolo, che rendeva ancora più stridente la mesta veridicità delle parole in un contesto così leggero. Un po’ come Azzurro di Paolo Conte, che ha quell’andamento da marcetta in minore che ti disorienta, non sai se battere le mani a tempo o preoccuparti per quello che stai per sentire. E a me quel pezzo di Vecchioni fa venire la pelle d’oca. Sapete, non amo ascoltare la musica italiana perché i testi o mi imbarazzano tanto sono retorici o mi dilaniano tanto sono ansiogeni. “Luci a San Siro”, chissà perché, anzi lo so bene il perché, fa parte del secondo insieme. Insomma c’erano tutti gli ingredienti: la domenica pomeriggio, l’emicrania da giorno festivo senza capo né coda, Milano e la nebbia, le canzoni tristi tristi tristi, e un posto in cui scrivere tutto questo dopo averne parlato con una persona complice che ha cucito insieme il tutto in un abbraccio per poi addormentarsi con te, cioè con me.
roberto vecchioni
un paese di cinifili
StandardIl rischio di dire è il rischio di scegliere. Se si sceglie, si dice qualcosa, altrimenti si infiora o si sfregia, a seconda degli umori, ciò che già è stato detto.
Si tratta di un passaggio di un articolo di Michele Serra uscito ieri su Repubblica, il cui testo integrale si trova qui. Una più che soddisfacente ammenda alla sinistra del “si dovrebbe fare”. Non rischio di dire o aggiungere nulla, se non altro per non alimentare un dibattito sul quale, a mio giudizio, le parole di Serra dovrebbero decretare la parola fine. Al massimo, a corollario, il contributo del Post.
Sanremo 2011, vincitori morali e immorali
StandardLa prassi vuole che il vero snob intellettuale di sinistra segua in TV la serata finale di Sanremo in quanto comportamento volto a sancire la propria superiorità morale sullo snob tout-court che invece non segue Sanremo per suggellare la propria superiorità intellettuale su chi segue Sanremo per dichiarare la propria appartenenza ai trend socioculturali standard e marcare i confini con chi segue Sanremo in quanto manifestazione nazionalpopolare imposta dall’opinione pubblica e quindi da seguire. Non c’è, in parole povere, chi segue Sanremo e basta. Sanremo non piace a nessuno. Lo si segue perché lo si deve seguire oppure lo si segue per manifestare dissenso verso chi non lo segue per manifestare dissenso verso chi lo segue perché lo si deve seguire. Chiaro, no?
Tutto questo per introdurre la storia di tre famiglie riconosciute come snob e intellettuali di sinistra, la cui superiorità morale è fuori discussione, che si sono riunite nel salotto più capiente a disposizione muniti di bloc-notes e lapis per giudicare, attività in cui sono insuperabili. Questa volta l’imputato è il festival, l’intento è di dare i voti alle canzoni in gara e fare le primarie in casa degli altri.
Andiamo subito al dunque: per la commissione ha vinto la coppia Madonia-Battiato, ovviamente. I vincitori morali. Oddio, anche l’autorità di Vecchioni è ineccepibile, ma non si può vincere Sanremo regolarmente e moralmente, perché si entra a far parte del gioco. L’outsider al massimo arriva secondo. Podio anche per Davide Van de Sfroos, personaggio scomodo perché il folk è sì popolare, ma piuttosto borderline con temi quali la tradizione di paese e, quindi, di questi tempi, con la Lega. Faccio (giustamente) notare che è importante riappropriarsi del territorio, del locale, del dialetto, proprio per togliere spazio alle camicie verdi. Un sospiro di sollievo: i voti a Yanez possono essere assegnati senza senso di colpa alcuno. La coscienza è al sicuro.
Ma la sorpresa inizia per gi ed effe. Giusy Ferreri. Il pezzo spacca e il verdetto è stato unanime. D’altronde, c’è Bungaro tra gli autori e si sente la produzione indie di Marco Trentacoste. Malgrado ciò, non avrebbe potuto certo aspirare ai primi posti, l’autorità di Battiato unita all’eleganza dell’ex-Denovo (e alla presenza di Carmencita) non può essere certo essere soverchiata da una qualsiasi vincitrice di X Factor. Che diamine. Allora è Giusy la vera vincitrice (im)morale? Proprio così. Usciamo allo scoperto e assumiamoci le nostre responabilità. La sua canzone è la vera vincitrice. In quanto fuori dalle categorie di riferimento dei giudici di cui sopra, ha prepotentemente superato anche concorrenti dati come favoriti, come i La Crus. Un bel risultato inaspettato. Ma lo si può dire?
Per altri, cuori all’impazzata e un sussulto di malinconia sul refrain, più che sulla commovente interpretazione di Albano, di “Amanda è libera”. Il forte richiamo all’Inno dell’Unione Sovietica è evidente. Probabilmente l’influenza del politburo ha influito sul verdetto ufficiale della manifestazione. Un segnale d’allarme anche per chi, nel PD, cerca consenso al centro.
Tutto il resto va nel dimenticatoio, sarebbe impietoso demolire chi, già di per sè, risulta obsolescente e/o kitsch. I cantanti-urlatori, con look da agente tecnocasa, taglio di capelli da struscio al centro commerciale e vistose patacche al bavero da street marketing (“vuoi perdere peso? Chiedimi come”), prodotto del peggio della sottocultura da Maria De Filippi, sono al di là di un gap che non permette nemmeno la minima interpretazione. Voto non pervenuto.
A corollario della musica, da queste parti le smorfie non si risparmiano per Luca e Paolo, che da sagaci impiegati Mediaset hanno deluso chi se li aspettava graffianti (?!?!) e pungenti (?!?!) come al solito. Oltre a questa accusa, lo stesso membro della commissione mi fa notare che aver messo sullo stesso piano Fini e Berlusconi ha trasmesso il messaggio che siano stati entrambi a sputtanarsi a vicenda, mistificando la realtà di tentativo di sputtanamento unilaterale. Il continuo colpo al cerchio, colpo a Masi è risultato oltremodo patetico.
Il dibattito prende anche Wittgenstein, che su Il post parla (male) di Vecchioni.