Con un tempismo perfetto, proprio oggi che prende il via la la campagna sociale contro la discriminazione “Anche le parole possono uccidere“, una campagna a tinte forti e che, dicono, farà discutere, un campagna contro gli insulti (ciccione! negro! troia! terrorista!), sono in due a prendersi a male parole e a venire in poco tempo alle mani. “Mia madre!!! Hai detto mia madre!!!” grida un uomo con un’impostazione che sembra abbia studiato davvero recitazione o forse è solo la risonanza della fermata della metro di Garibaldi. Quello che potrebbe essere un teatrino assurge in un lampo a una tragedia shakespeariana. In due lo stanno tenendo fermo con una temerarietà d’altri tempi, sottoponendosi alla sua furia scomposta. L’uomo costretto all’immobilità sporge innaturalmente il collo verso l’alto come un gallo da combattimento scoprendo il gozzo, manifesto sintomo di ipertiroidismo, che va su e giù seguendo la verbalizzazione dell’onta subita. “Mia madre!!! Hai detto mia madre!!!”, ripete, come se fossimo nell’ultimo atto de “Il Trovatore”, trascinati dal pathos della vendetta. Si vedono persino gli sputacchi che risaltano durante i monologhi quando sul palco, complice certe luci e il fondo nero, la saliva dell’attore ruba la scena a tutto il resto.
Intuisco l’offesa verbale che sta alla base di quel battibecco rinforzato e mi viene da chiedere a tutti perché sentirsi dire “figlio di puttana” costituisca ancora un casus belli. A parte il fatto che mi sfugge l’amoralità delle attitudini sessuali e la frequenza di qualunque pratica in quel senso, o anche nell’altro, con una o più persone monouso o reiterate, quando si tratta dei propri cari. Anche sentirmelo dire per pura volontà di oltraggio da terzi, sia che siano utenti finali dei favori lussuriosi dei miei genitori che si tratti di un pour parler con finalità di dolo, la cosa non mi fa né caldo né freddo. Ma questa è una reazione a qualunque presunto affronto a parole, sia che sia comprovabile (inetto! cialtrone! presuntuoso! nasone! comunista di merda! snob! senzaculo!) sia che derivi da una illazione (pederasta! muso giallo! obeso! quattrocchi! canaglia!). Quindi perché inalberarsi per le insolenze altrui? Le parole volano ancora, soprattutto oggi che ci scriviamo tutto.
Di certo però questo non può essere un argomento di conversazione a cose già fatte, la parte lesa non sembra in grado di lasciarsi condurre alla ragionevolezza. Soprattutto quando finge di calmarsi e, approfittando della presa meno decisa di chi gli sta facendo scudo, si scaglia contro il ragazzo africano che continua a rincarare la dose nel suo italiano poco fruibile. Forse anche il vilipendio è bene adoperarlo solo quando lo si padroneggia con perizia, non trovate? Altri spettatori intervengono per separare quel secondo attacco, i due contendenti vengono allontanati a una distanza di maggior sicurezza, e l’attenzione tra i presenti scema definitivamente. Tanto che i più si vergognano, come al solito, di aver indugiato con la morbosità che ci contraddistingue attirati dal consueto voyeurismo per la violenza, anche solo verbale che poi, ripeto, trovo che violenza non sia. Ma le parole, dicono, sono importanti. La ragazza che è vicino a me riprende la sua conversazione telefonica e chiede al suo interlocutore che cosa danno stasera su Internet. Capisco così che ci sono ben altri problemi da risolvere prima, occorre davvero indagare più a fondo per trovare il perché.