enoizacifirtneg, il termine che definisce il contrario di gentrificazione

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Il mio amico Vincenzo ha un cognome che finisce per zeta di chiare origini spagnole ma è siciliano, è l’unico delle medie che poi ha fatto l’alberghiero ed è riuscito a diplomarsi e, anche se non gli avresti dato due lire, dopo la maturità ha fatto armi e bagagli e si è trasferito a Dubai dove è diventato un cuoco italiano di quelli strapagati. Proprio un paio di sere fa ho sentito alla tv il trailer di uno show in cui ci si chiedeva “cosa succede quando lo Chef Cannavacciuolo entra nella cucina sporca e disordinata” e ho pensato a chi potrebbe essere interessato a sapere come va a finire.

Comunque il mio amico Vincenzo sembra essere passato alla storia perché all’alberghiero si era messo con la più bella della scuola, exploit che aveva dato speranza a tutti. E proprio lei, la più bella di quella scuola ora è in pausa sigaretta dopo la pausa pranzo in Via Pisani a Milano, davanti all’ingresso della KPMG, la nota multinazionale di consulenza professionale alle imprese in ambito manageriale, fiscale, legale e amministrativo. Se conoscete quel tratto di Milano, quello che va dalla Stazione Centrale a Piazza della Repubblica, saprete che rappresenta il teatro più evidente in cui si consuma una sorta di gentrificazione al contrario perché vige in modo sempre più innegabile la commistione tra la popolazione business che lavora lì – ci sono le sedi di banche e multinazionali come la KPMG dell’ex fidanzata di Vincenzo – e i numerosi homeless che hanno preso domicilio con le loro cose sotto i portici di Via Pisani.

Dal punto di vista della popolazione business che, malgrado i 38 gradi mentre passo di lì veste ancora in tailleur e in completi in giacca e cravatta con taglio molto slim, il termine che definisce il contrario di gentrificazione è imbarbarimento o degrado, soprattutto da quando insieme ai senza dimora locali si sono aggiunti i profughi, alcuni dei quali sfoggiano ancora il telo sberlucciante che gli è stato dato al momento del soccorso.

Il contrasto è ancora più forte perché tra gli ingressi delle multinazionali e delle banche ci sono locali fighi presi d’assalto dalla popolazione business a pranzo che ne approfitta per veloci riunioni di lavoro. Si vedono colleghi che abbozzano business plan sulle tovagliette piene di pubblicità mentre, a pochi metri dalle chaise longue già pronte per l’apericena, un africano consuma un pasto da un sacco del McDonald’s‎ raccolto dalla spazzatura direttamente da lì, mentre i camerieri, la maggior parte di origini africane ma dal destino diverso, girellano tra i tavoli per raccogliere i piatti di chi ha finito l’insalatona.

Poco più in là di dove la più bella dell’alberghiero ha già spento la sigaretta c’è la postazione di un homeless che dev’essere più stanziale degli altri perché si è allontanato chissà dove però lasciando, in modo ordinato, le sue cose. Come se avesse rifatto il letto e la stanza di un albergo. Ha un materassino di risulta coperto da un telo leopardato in ciniglia che chissà dove l’ha preso e una borsa del Carrefour da cui spuntano delle cianfrusaglie. Quindi quando pensiamo ai quartieri poveri che si riempiono di artisti e intellettuali in cerca di chissà che cosa, chiediamoci anche della diffusione di fenomeni come questo, così ci portiamo avanti per quando qualcuno, prima o poi, avrà da ridire.

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Dimenticavo: se bazzicate in orari mattutini sulla rossa, vi sarà capitato di imbattervi nella nota interprete di pop latino-americano che gira con microfono, lettore mp3 di basi e amplificatore e che propone un repertorio di classici che va da ballad del calibro di “My Way” a “Roberta” di Peppino Di Capri, e a dir la verità non capisco in che lingua li canti, sicuramente spagnolo ma con passaggi in italiano. Un altro cavallo di battaglia è “O sole mio”, ma il massimo lo raggiunge a mio parere nella versione tra la beguine e la bachata di “Che sarà” e che non so perché ma confondo spesso con “La prima cosa bella”, e tutte le volte che sento o l’una o l’altra mi vengono in mente i Ricchi e Poveri ma prima dei tormentoni commerciali e del revival trash e dei dissidi interni, ovvero nel loro periodo di massimo splendore e di amicizia – quindi in quartetto – mentre cantano sul palco del Festival di Sanremo e la voce solista è coperta dal controcanto e le riposte degli altri tre. Ma tornando alla nostra artista di metro, stamane è successa una cosa stranissima. In poco meno di un’ora l’ho incrociata due volte in due viaggi diversi, lei davanti alle porte e il vagone stracolmo di visitatori del Salone del Mobile inferociti per l’ingombro della sua strumentazione che impediva l’entrata e l’uscita. Nonostante la palese ostilità del pubblico non pagante, ha condotto il suo show sempre con il sorriso sulle labbra. E la prima volta sono sceso alla fermata mentre lei era nel pieno della strofa di quella canzone lì, e quando sono salito, al ritorno, la stava cantando ancora, anzi, di nuovo. E mi sono allontanato un po’, ma non perché avevo già goduto dello spettacolo all’andata e volevo lasciare il posto in prima fila ad altri, ma solo perché ho visto uno che mi sembrava di conoscere ma che poi no. Comunque tra “Che sarà” e “La prima cosa bella” preferisco ampiamente la seconda.