vecchie glorie per nuovi introiti

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La reunion, di questi tempi, è una pratica a cui è difficile sottrarsi per una stella del passato musicale, un qualsiasi pilastro generazionale che ha avuto molto da dire e poi a un certo punto si è dedicato ad altro. Magari a una carriera solista, a pratiche zen, alla gestione di un agriturismo nel sud Italia, alla borsa. D’altronde in questa fase di magra poter raggranellare qualche extra facendo leva sui sentimenti più puri del popolo del rock è una tentazione molto allettante alla quale, conti alla mano, è impossibile rinunciare. Per chi si lamenta degli mp3, di spotify e della crisi generale dell’industria musicale l’unica risposta è quella di staccare la chitarra appesa al chiodo, re-indossare il chiodo da sfoggiare in abbinamento con la chitarra e rimettersi in gioco. Tant’è che in questo scorcio di millennio ci sono passati più o meno tutti quelli che pensavamo di avere già archiviato nelle enciclopedie musicali del 900, ancora su carta. In alcuni casi con risultati soddisfacenti, altri meno.

In generale è bene sapere che tornare sul palco a una certa età non è molto dissimile da rimettersi le scarpe con i tacchetti e pensare rientrare con un ruolo da titolare. Intanto per ragioni meramente fisiche. Suonare, da un certo punto di vista, è uno sport vero e proprio. Occorrono prestanza, resistenza, fiato, concentrazione, tutte qualità che se è un po’ che ti dedichi alla cura dei nipotini, per esempio, non puoi dare per scontato. Non a caso capita spesso di assistere a reunion parziali, con due o tre membri fondatori di un gruppo mescolati a ragazzini soprattutto dietro a quegli strumenti che necessitano di una certa scioltezza di movimento. Un mio caro amico che è un batterista serio, per dire ha suonato con Dalla, Piero Pelù e altri di quel calibro, ed è anche mio coetaneo, mi diceva di quanto sia importante l’allenamento fisico per evitare blocchi o dolori muscolari. Se ti svegli con un classico mal di schiena come quelli di cui soffriamo noi maschi e la sera hai un concerto davanti a decine di migliaia di persone non è certo una cosa bella. Nel caso delle reunion, si vedono così turnisti che magari c’entrano poco con l’ensemble ma giustificati dal fatto che il tastierista originale ha la sciatica e non può sostenere spettacoli impegnativi, il chitarrista ha problemi di cataratta e non vede i pedali degli effetti, il cantante è abbondantemente sovrappeso e ogni corsa sulla pedana in mezzo alla folla è a rischio di infarto.

Senza contare che a questi mix tra novelli e navigati corrisponde spesso una disparità tecnica tra chi è fresco di studi e chi dovrebbe godersi la pensione, unita a una differenza di approccio allo strumento considerando che il modo di suonare con il tempo è variato perché ha inglobato le esperienze del passato e gli stessi tentativi di esecuzione filologica risultano innaturali, in quanto soggetti a una ricerca che va a inficiare la freschezza dell’archetipo. Come del resto gli strumenti stessi sono differenti, anche se imitano quelli del passato il risultato è parzialmente difforme. C’è molta pulizia negli impianti di amplificazione, per esempio, fin troppa. Quasi irreale.

Ci sono stati anche casi di singoli elementi che hanno ricominciato a suonare da soli senza i compagni di un tempo, portando in giro un brand senza l’avallo del resto dei soci con conseguenti azioni legali senza fine per una spolverata di squallore sulla già abbondante base di pateticità. Ricordo un celebre gruppo italiano spaccato a metà in due spin-off entrambe intenzionate a portare avanti il progetto autonomamente. Altro che bipolarismo delle rock-star. Quest’estate, ancora, mi è capitato di vedere Johnny Marr cantare brani degli Smiths, un scelta che ho trovato discutibile.

Il pubblico comunque risponde con entusiasmo alle reunion. Portatori sani di canizie accompagnati da giovanissimi che vivono in un mito che non gli appartiene per posa, indottrinamento di terzi, volontà di distinguersi, perché si deve fare per forza o per stravaganza. Tutto a vantaggio dei reunionisti, che così prendono in considerazione l’idea di una seconda carriera, dai sessanta ai settanta a distruggere chitarre sul palco, fare le corna al pubblico, agitare la testa anche priva di capelli, parlare di anarchia o proclamarsi l’anticristo. Ecco, a volte li osservo e penso che se si fossero fermati prima sarebbe stato molto meglio. Il mito che sa di essere mito e porta la sua mitologia in tour con spirito autocelebrativo con l’unico obiettivo di consacrare il fatto di essere stato consacrato. Tutto ciò genera un corto circuito e ne stempera il valore, ma probabilmente consente una vecchiaia senza problemi.