partigiano tenta di scambiare un prigioniero con un compagno per farsi giustizia da sé: guarda come va a finire

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Oggi che è il 25 aprile vi invito a partecipare a una delle numerose celebrazioni della Resistenza, ma prima vi segnalo un’iniziativa che ho scoperto solo ieri e che trovo geniale. Si chiama “Clicca il classico”, se avete Facebook la trovate qui, ed è un’idea di Raffaele Alberto Ventura, alias Escathon, il blog di cultura e filosofia che spero seguiate anche voi. L’idea di “Clicca il classico” esemplifica perfettamente quello che è di noi e della nostra società digitale, dove il messaggio non è nemmeno più il mezzo ma è la piattaforma che attira l’interazione dell’utente allo scopo di generare traffico e, conseguentemente, guadagno. Non so se ve ne siete accorti ma c’è pure un moVimento politico che maschera queste dinamiche due punto zero sotto forma di partecipazione e militanza, ma oggi che il pensiero sembra essere più che unico guai a farvelo notare. I titoli dei classici della letteratura resi in forma di strillo da phishing di attenzione collettiva (Letteratura virale – GARANTITO SENZA SPOILER) fa sorridere amaramente perché questo è ciò a cui siamo destinati. Vi consiglio di sfogliarle tutte, quelle copertine tradotte in clicbait. Ci sono anche alcuni commenti che suggeriscono la traduzione virale di altri titoli, un po’ come il mio tentativo che leggete qui sopra. A proposito, avete capito di che romanzo si tratta?

i lunedì per il verso giusto

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A quelli che invece hanno preso Stairway to heaven come modello di canzone ideale ricordo che i pezzi come quello dei Led Zeppelin che durano abbondantemente più dei tre o quattro minuti standard sono delle vere e proprie esperienze, utili solo se un plotone di esecuzione vi chiede di esprimere l’ultimo desiderio e a qualcuno viene in mente di guadagnare tempo così. Allora io rilancio con Supper’s Ready che è lungo quanto quasi una facciata di LP, e che con i suoi 23 minuti circa un po’ la vita te la allunga come diceva quella pubblicità anni boh sulla telefonata, quando ancora c’era solo Telecom e c’era poco da scegliere. Quindi evitiamo il progressive nelle suonerie e lasciamolo per i condannati a morte e anzi, a proposito, sabato ho presenziato alla visione di un documentario su Sandro Pertini in un auditorium di un paese qui a due passi e non si è sentita volare una mosca, nemmeno uno smartphone vibrare durante la proiezione. Il pubblico era un bel campionario di educazione ma solo perché di età media elevatissima, io surclassavo in giovinezza il resto degli spettatori di almeno vent’anni e sapete quel tipo di gente lì non è che si porta appresso gli iCosi da due milioni di lire. E poi volete mettere il gap generazionale dei GAP di quegli altri tempi in cui Pertini rischiava davvero di essere passato per le armi e chissà lui che ultimo desiderio avrebbe espresso. Forse di gridare viva l’Italia in faccia a quel branco di traditori in camicia nera. E attenzione: tra una manciata di mesi scatta il settantennale della Liberazione, sarà un 2015 di celebrazioni e speriamo di ricorsi storici sufficientemente vividi da portare alla ribalta il rispetto delle istituzioni e da ricacciare da dove vengono i grillisti oscurantisti e la loro fascio-democrazia diretta. Tutti filo-dittatura con gli uomini forti degli altri. Se avete qualche frequentazione come alcune delle mie, che nascondono negli anfratti delle loro schede micro-SD il mascellone che sbraita da Palazzo Venezia già con il sacco del nostro paese ben pianificato nella sua strategia politica, tenete pronta in risposta quella bella foto della pensilina del riscatto, e mandate pure a cagare il buonismo che manifesta il vilipendio di cadavere, dopo che il vilipendio del cadavere della nostra nazione puzza di carogna, in alcuni punti, ancora oggi. Quindi ancora commosso dalle gesta antifasciste del miglior presidente della storia repubblicana, alla fine mi sono imbattuto pure in un gazebo di fascisti di stocazzo-millennio, con quel logo a forma di tartaruga che mette tristezza tanto è obsoleto. A loro e alle loro suonerie dell’Abissinia, che non durano certo come Stairway to heaven perché alle prime note già qualche schioppettata parte a interrompere qualunque dialogo, telefonico e non, dedichiamo un luogo dove costruire il monumento che ora e sempre si chiama come ci piace chiamarlo. A tutti loro invito a partecipare alle feste che ci saranno il prossimo anno e, come al solito, a mettersi comodi per vedere le cose dal verso giusto.

loreto

sei degli anni sessanta se ti lamenti che alle elementari sprecavi il tempo a imparare Bella Ciao

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Sei nato negli anni sessanta se ti lamenti che alle elementari sprecavi il tempo a imparare Bella Ciao e ad ascoltare racconti e agiografie sui partigiani anziché imparare l’informatica o a stare al mondo. Premesso che ho molti amici nati negli anni sessanta, se non altro perché si tratta di una generazione a cui appartengo anche io, non è la prima volta che sento persone lamentarsi su questa lunghezza d’onda come se nel 73 ci fossero già stati i personal computer o se far fronte alle complessità degli anni di piombo fosse di analogo impegno di far fronte agli anni di grillo. Roba che fa rabbrividire anche i più moderati come il sottoscritto.

Ma la sostanza non cambia. C’è chi vorrebbe aver avuto una migliore preparazione sulle lingue straniere, inglese in primis, roba che le maestre di un tempo non si filavano nemmeno di striscio, già era un successo quando non parlavano in dialetto. C’è chi anche avrebbe voluto meno Sumeri e più Educazione Civica, qualche ora in meno di storia antica e un po’ di spiegazioni in più su come ci si comporta con la cosa pubblica, come funziona una democrazia rappresentativa, perché è importante partecipare alla vita politica, un bagaglio nozionistico utile anche a casa per rieducare genitori e nonni che ai tempi del maestro unico erano dei bei zucconi ma mai come adesso. Comunque non siamo in pochi noi che portiamo vivido il ricordo dei canti della Resistenza forse – e giustamente, lasciatemelo dire – più presenti nell’orario dell’insegnamento della religione stessa.

Non so, ma per me è stata una bellissima esperienza che a quarant’anni di distanza rimpiango più di altre. Così, quando sento lamentarsi qualcuno, come mi è successo qualche giorno fa, proprio dell’eccessiva attenzione che ai tempi si dava alla nostra storia recente rimango basito da cotanta trivialità. Che è chiaro che sotto sotto poi sono gli stessi che se gli chiedi spiegazioni attaccano con la solfa del sessantotto, dell’egemonia culturale della sinistra, delle maestre comuniste nella sperimentazione didattica, dei libri di storia e che due coglioni. Primo: se a destra non avete studiato per diventare insegnanti sono fatti vostri. Secondo: cosa avrebbe dovuto fare, la scuola italiana? Insegnare anche i canti fascisti da intonare a testa all’ingiù a Piazzale Loreto? Ma fatemi il piacere.

C’era un altro tizio, infine, un collega di tanti anni or sono che aveva addirittura avuto un rigurgito da troppa ingerenza come accade a quelli che studiano troppo dalle suore. Avete presente, vero? Era uno che era stato talmente indottrinato sui partigiani che alla fine aveva sbroccato, ai tempi non votava nemmeno e chissà, oggi anche lui è un fan dell’antipolitica. So che per voi che siete cresciuti quando Berlusconi era già uno statista è difficile da immaginare, ma quando gli anni della guerra ancora si percepivano sulla pelle della gente era tutto diverso. Non so dire se meglio o peggio, o meglio, so che è meglio ma è meglio che non lo dica.

achtung banditi

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Ho passato molte giornate, in passato, a rifugiarmi in questo genere di letteratura scritta e cinematografica quando le cose della mia vita non filavano per il verso giusto e così cercavo il punto di inizio di tutto. Andavo indietro con la storia e risalivo fino alla Resistenza, a quello che avevo imparato a scuola grazie alla mia maestra e a ciò che vivere in un’epoca ancora de-berlusconizzata in cui certi valori – a mio giudizio a ragione – erano fuori discussione aveva trasferito a generazioni come la mia. Non so, saremo stati sin troppo indottrinati, ma nulla mi toglie dalla testa che saltato quel background comune è andato in vacca tutto, repubblica compresa. Così mi stordivo di storie di altri tempi, Vittorini e Pavese su tutti, per riappropriarmi di quella consapevolezza che tutto sommato qualsiasi cosa possa accadere di questi tempi non è poi così grave, basta guardarsi indietro. L’equivalente cinematografico di libri come “Senza tregua” o de “Il partigiano Johnny” erano film del calibro di “Achtung banditi” di Carlo Lizzani, doppiamente interessante perché oltre a parlare di liberazione racconta i fatti di Genova che, come sapete, in quanto ad antifascismo non è seconda a nessuno. Almeno non era, ora non so. E niente, oggi Carlo Lizzani è morto, a 91 anni ha deciso che basta. Sono certo che ci siano film suoi più indimenticabili, ma, lo sapete, ognuno ha la propria sensibilità e la pensa un po’ come gli pare.

aldo direbbe 26 per 1 ma anche noi, insomma, diamoci una mossa

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Io il 25 aprile del 2013 me lo immaginavo diverso. Speravo potessimo festeggiarlo liberi da un certo modo di fare politica, anzi di non farla. Liberi dagli umori della gente in piazza e di quella dei social network che cercano di ovviare la democrazia parlamentare amplificati dai media che confondono mode con maggioranze. Libera dai grillismi di ogni colore e da quelli che sembrano trasparenti. Liberi dai renzismi che vivono nei discorsi dove senti categorie allacciarsi l’una all’altra sull’onda di una boria priva di consonanti ancorché priva di logica. Che è la versione due punto zero della grande chiesa che va da Che Guevara a Madre Teresa passando per Malcom X e così via. E tutti sotto a ballare il grande sogno dove tutto è sintetizzabile in una sorta di QR code globale, utile per ogni occasione. Per la sburocratizzazione come per le blogger iraniane. Insomma, mai avremmo pensato di trascorrerlo nell’ansia di un governo Letta, sotto scacco del PDL che alza la posta tanto non ha nulla da perdere. Perché di quello di cui è vent’anni che ci dovremmo liberare non siamo ancora liberi e tutto per colpa nostra. Lasciamo allora la festa in sé libera da tutto, e che per una volta sia solo il compleanno della libertà, la madre di tutto il resto.

pesce

senza tregua

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ancora una questione privata

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È una vita che voglio fare la tessera dell’ANPI. Uno di quei buoni propositi che mi pongo con l’approssimarsi del 25 aprile o addirittura, come è successo proprio lo scorso anno, a Natale, quando una mia cara amica ha regalato l’iscrizione a sé e alla sua compagna e mi è sembrato proprio un bel gesto e così mi dico con autorevolezza che devo assolutamente farlo anche io. L’ANPI è una di quelle organizzazioni di cui non si dovrebbe mai fare a meno e che spero siano sempre attive per permetterci di ricordare il sacrificio che si è consumato e il valore intrinseco dell’antifascismo che dovremmo avere tutti noi già dalla nascita, quando impariamo a camminare, nelle prime letture, diventando ragazzi e poi adulti e poi vecchi perché è con l’antifascismo che ci siamo ritagliati una prima parte di libertà e democrazia. Chiaro che c’è ancora da fare, ma senza quel primo passo, quel rendere chiaro quel primo basso livello di garanzia e di tutela dell’essere umano dall’odio primitivo e fine a se stesso, senza il quale non saremmo qui a discutere di banche e di spread.

È bello che ci sia un passaggio di testimone tra chi ha combattuto e ha fatto la Resistenza in prima persona e le successive generazioni, ed è giusto sostenerlo anche economicamente affinché ci siano sempre risorse sufficienti a tramandare memoria e fonti. Nel mio piccolo do il cinque per mille anche se è difficile ogni anno scegliere quale progetto sostenere, e anche in questa occasione mi dico che appena ci sarà la possibilità farò la tessera proprio per fare di più. Perché, a parte il valore in sé dell’ANPI, ci sono molti momenti della mia vita in cui quello che ho appreso dai racconti – nei libri e nelle testimonianze dirette – e dai film sui Partigiani ha svolto un ruolo importante nella formazione della mia coscienza civica, ancor più che politica. Per non parlare di quando, un ricordo più che vivido nella memoria, mi trovai faccia a faccia con Sandro Pertini Presidente della Repubblica e mi feci avanti stringendogli la mano, ero poco più che un bambino in prima fila con la sua classe a una commemorazione di un cippo dalle mie parti, a pochi chilometri da dove Sandro Pertini era nato.

Questo per dire che se a fatica oggi mi affilierei a una formazione politica, ritengo la tessera dell’ANPI un gesto significativo, un offrire se stessi a sostegno di un pezzo di passato che dev’essere sempre qualcosa di più di capitolo sul libro di storia da fare in fretta e in furia in quinta a poche settimane dalla maturità. E giusto ieri, in occasione di una manifestazione che si è tenuta al mio paese, mi si è presentata una opportunità concreta. Tra numerosi stand di associazioni presenti ho notato proprio quello dell’ANPI. C’erano totem con foto e articoli d’epoca, e c’era l’invito a iscriversi più o meno per tutti i motivi che vi ho elencato sopra. Così mi sono affrettato per confermare con i fatti la mia adesione ideologica al progetto, poi ho visto la persona che avrebbe ritirato la mia quota di offerta, e ho tirato dritto ripromettendo di iscrivermi non appena si ripresenterà l’occasione.

flash mob: quando il brand fa storia

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La nota marca di dispositivi di memoria collettiva ANPI® ha messo a segno ancora una volta il più imponente Flash Mob dell’anno. Milioni di persone di tutte le età, una massa eterogenea di donne, uomini e bambini si è data appuntamento in ogni città d’Italia e in ore diverse del giorno per cantare “Bella ciao”, da sempre il jingle di chi odia i simboli oppressivi e resiste contro la moda della dittatura del nero sulla libertà policromatica, come il tricolore, l’accostamento che mai come quest’anno ha fatto tendenza.

L’iniziativa si è contraddistinta anche dall’impiego di numerose bandiere arcobaleno e di tutte le nuance del rosso, suscitando una forte curiosità da parte degli spettatori, la maggior parte dei quali, ignari del motivo che ha riunito i mobbers, se già lamentavano le condizioni metereologiche poco adatte alla tradizionale gita fuori porta di pasquetta hanno così trovato una valida alternativa alla consueta visita al centro commerciale. Una vera e propria liberazione dalla comunicazione tradizionale e dai rigurgiti reazionari.

In un comunicato stampa, i più informati tra gli organizzatori hanno riferito che la prima mobilitazione di questo genere è avvenuta lo stesso giorno, il 25 aprile, di 66 anni fa, a dimostrazione che intervenire in massa porta sempre al successo. La parola d’ordine che fece partire quel primo esperimento di guerrilla marketing ante litteram fu un ermetico e virale messaggio alla radio: “Aldo dice ventisei per uno”. L’appuntamento è per l’anno prossimo ancora con il brand di chi resiste: ANPI®, dal 1945 la memoria che non si esaurisce mai.

più duraturo del bronzo

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Buona vigilia della festa della liberazione a tutti.

la resistenza torna di moda

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La notizia è proprio di ieri. Leggo da shopandthecity che “a pochi mesi dall’inaugurazione di Corso Vittorio Emanuele a Milano, GAP raddoppia e segue la strada già intrapresa da Abercrombie: passare da una location centralissima, a un grande centro commerciale extraurbano. In questo caso si tratta de IL FIORDALISO di Rozzano (Mi).

Per l’inaugurazione, una iniziativa carina: dalle 12 alle 19, oggi e domani, chi si presenta nel nuovo negozio può realizzare un servizio fotografico GAP personalizzato, in omaggio.”

Ecco i primi fortunati vincitori del servizio fotografico GAP: