la differenza tra slalom gigante e slalom speciale

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La madre di Lele ha quel difetto di pronuncia per cui non riesce ad articolare le consonanti e sembra che la sua voce esca da dietro la nuca, come quel modo di emettere suoni dalla faringe che resta sempre tale indipendentemente se apri o chiudi la bocca. Ce lo ha insegnato al corso di musicoterapia uno che studia i cantori buddisti ma anni dopo rispetto al periodo in cui io e Lele abbiamo fatto l’università. Sua madre faccio fatica a capirla. Mi ha chiamato la mattina presto perché la sera prima Lele è svenuto dopo che ci eravamo lasciati. Mi ha chiesto se avevamo fumato, nella mia ingenuità dell’alba ho pensato che intendesse sigarette, abitudine che praticavano sconsideratamente e le ho detto di si con una tale sincerità che è rimasta sbalordita. Chiaro che lei intendeva le canne, che poi le fumavamo ogni tanto ma davvero non si trattava di quella volta.

Fatto sta che Lele si è giocato il proseguimento all’università proprio con quell’equivoco, o comunque è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Suo padre invece mi è simpatico perché qualche sera prima della maturità che io e Lele preparavamo insieme ci ha messo in tavola un bottiglione di cannonau artigianale che non ci abbiamo pensato due volte a finire. Era un segnale dell’attaccamento alle radici, non a caso Lele e la sua famiglia qualche mese dopo quella telefonata hanno fatto armi e bagagli e sono tornati a vivere in Sardegna.

Così a partire dal secondo anno, anche se devo dare ancora tutti gli esami del primo, passo il tempo in facoltà con altre persone. A pranzo frequentiamo un bar gestito da un tipo che ha un nome di quelli che sembrano inventati e che scopriamo solo perché sta scritto sullo scontrino: Generoso Popolo, che letto al contrario ci fa piegare dal ridere in quel modo in cui ridono gli universitari delle facoltà umanistiche.

Il bar però è di una noia mortale perché c’è la tv costantemente sintonizzata sulle gesta sportive di Alberto Tomba. Non puoi alzarti che tutti ti gridano di sederti perché gli nascondi la vista sulla tv mentre è il turno di Alberto Tomba. Non puoi fare il casino che giovani come noi ci meritiamo di fare con i soldi dei nostri genitori nei luoghi pubblici perché Tomba sta per battere di un decimo di secondo Zurbriggen o Girardelli. Il posto non è grandissimo, e se conti il fatto che è ancora ammesso fumare dentro in certi momenti è la nebbia a impedire di seguire le discese e gli slalom, altro che.

Io mi siedo sempre con il solito gruppetto di ragazze capitanato da quella piccolina che mette i dolcevita stretti che le mettono in risalto il seno. Dev’essere l’88 o l’89 e la moda è ancora vergognosamente anni ottanta. Vado fiero di alcuni capi che indosso con orgoglio per disintossicarmi da un decennio di abiti rigorosamente neri. Ora sono passato a varie tonalità di grigio. Ho trovato persino un trench grigio chiaro e una linea di felpe girocollo con delle scritte in cirillico che non so cosa significhino.

Mi sto anche prendendo una pausa dalla musica più dark anche perché la maggior parte degli eroi del decennio o si sono sciolti ho fanno cose discutibili. I REM di “Green” mi sembrano un buon materiale di passaggio tra passato e futuro, ma in giro c’è davvero della robaccia e certe cose che mi manderanno in visibilio successivamente sono ancora lontane.

Frequento uno studente di filosofia che si chiama Valter, siamo sempre insieme tanto che per far colpo sulle ragazze diciamo che lui è il mio Valter ego. Prepariamo insieme Storia medievale. Ho un libro di Le Goff che è pieno di termini che non conosco, così me li segno in seconda di copertina per impararne il significato, come “chirofania” e “ebdomadario”. Un sistema efficace, ve lo assicuro. Ancora oggi so cosa vogliono dire. E rammento anche che all’esame la Balbi mi ha chiesto perché avessi riportato a matita quelle parole proprio lì, dietro la copertina del libro. Non ho perso l’occasione di dire la verità, come faccio spesso, e lei in cambio ha esercitato il suo diritto di chiederne la definizione.

tutti soffrono, a volte

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Con la scusa che certa musica è “bella” secondo la maggior parte della gente talvolta se ne fa un uso inadeguato. La scelta di un ascolto da irradiare lungo le coordinate ben precise dello spazio e del momento non dovrebbe tenere conto solo della qualità o della popolarità di un brano, e su questo non devo essere certo io a dirvelo considerando che ci arrivate benissimo da soli. Subentrano fattori quali il mood del brano in rapporto all’ambiente – mettereste mai un “bel” pezzo dei Nirvana in un centro benessere? – o il genere stesso, addirittura particolari tecnici, velocità e così via, d’altronde saper selezionare musica è una vera arte e può diventare anche un mestiere redditizio. Ma per la gente normale come me e voi la scelta del background è quasi sempre un aspetto secondario sul quale non è quasi mai il caso di perderci troppo tempo, ci fidiamo del nostro gusto, della nostra esperienza e talvolta di quello che si dice in giro, il che denota la superficialità involontaria con cui lo facciamo. Uscireste mai di casa con un abbinamento di colori agghiacciante? No, vero? Solo perché avete un capo firmato “bello” non è detto che debba essere indossato a cazzo, non sempre è il caso di metterlo. Così è la musica. E se volete un mio umile consiglio, tra i criteri da utilizzare per la selezione in pubblico e la musica da diffondere dove si radunano tante persone e la musica non deve essere il fattore comune che lega la gente che si trova nel posto in cui voi fate sentire la vostra playlist – quindi non siete dj perché questo è tutto un altro paio di maniche – dicevo il criterio da considerare in primis è il timbro della voce. Quante volte vi sarà capitato di perdere le staffe al supermercato a causa dei vocalizzi di sottofondo delle cantanti r&b che vanno tanto di moda al giorno d’oggi mentre vi barcamenate tra un due per tre e vostro figlio piccolo che vuole questo o quest’altro e sale e scende dal carrello e fa un caldo porco perché c’è il riscaldamento a manetta e voi avete su il piumino? Quando i sensi sono già chiamati alla prova da numerosi stimoli in eccesso, gravare sulla resistenza delle persone anche con sollecitazioni estreme dell’udito non è certo una buona cosa. Io per esempio bandirei l’esecuzione dei brani cantati da Michael Stipe dai luoghi costipati da calca in eccesso. I pezzi dei REM sono oggettivamente “belli” e ciò ne giustifica la messa in onda a sproposito, ma al contrario il fatto che piacciano a cani e porci non ne dovrebbe essere il motivo di selezione. Se un brano come “Stand” infatti induce l’ascoltatore all’imitazione del celebre balletto che si vede nel video, e quindi in questo caso è il ritmo che mette in secondo piano il registro vocale, di una canzone struggente come “Everybody hurts” che è solo voce e basta ed è esclusivamente un dialogo intimo tra i REM e il singolo ascoltatore non ne dovrebbe essere mai fatto un uso di massa. Il timbro di Stipe mentre centinaia di persone di tutti i tipi si affollano tra scaffali ricolmi di prodotti sopravvissuti al Natale, consapevoli che le feste volgono al termine, stride come poche cose al mondo. La gente si guarda e non capisce la ragione di quell’improvviso disagio e, vi assicuro, è molto difficile riuscire a spiegarlo ad uno ad uno.

“losing my religion” in maggiore (adoro questo genere di iniziative, grazie)

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Via.

il coccodrillo come fa

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Me ne sono accorto da un po’ di tempo, ma probabilmente è un fenomeno che va avanti da sempre, almeno lungo tutta la storia dei quotidiani e dei mezzi di comunicazione di massa. Oppure davvero è solo un trend che ha preso ultimamente, perché siamo tutti ammalati di nostalgia, e così le generazioni di italiani che ora occupano la componente economica, il mondo del lavoro, la fascia di persone che fanno e divulgano opinioni, che stanno su Internet e nelle redazioni dei giornali sono legate a filo doppio con il nostro comune passato. Magari perché il presente fa schifo e il futuro potrà essere anche peggio. Però, ripeto, potrei sbagliarmi: la notizia non è il cane che morde l’uomo, ma viceversa, così ci hanno insegnato. Sta di fatto che non passa giorno in cui non ci sia un morto celebre da compiangere, un gruppo che si è sciolto, una rockstar che decide di ritirarsi, il ventennale di questo o quello. Ora, forse non vi facevo caso io prima, o forse stiamo attraversando un periodo di particolare concentrazione di eventi di questo genere. Tra me, penso anche che attorno ci sia il nulla, che la Retromania di cui ho già parlato permetta a molti di noi di vivere in un costante delay, l’età dell’oro e della tranquillità in cui siamo cresciuti e a cui siamo stati educati che, per i motivi che sappiamo tutti, si è sgretolata. E non dico che non si debba parlare di Sergio Bonelli, anzi, o dei REM o di Sandra e Raimondo, per citare anche un caso piuttosto limite. Però mi chiedo (formulandomi una domanda retorica) perché risultino così di spicco rispetto ai temi quotidiani e alle persone in carne ed ossa che sono protagoniste attive del presente, che fanno, agiscono, lavorano e registrano dischi, e come mai occupino i primi posti dell’agenda degli argomenti tra chi ne discute sui socialcosi, e so già che al telegiornale ci sarà anche stasera un lungo e sentito servizio sui nostri fumetti preferiti che farà sembrare tutto il resto l’ennesima poltiglia rimescolata e servita. O forse invece è un problema solo mio, sono io che mi concentro lì e il resto inizia a sembrare sempre meno interessante.