chad smith se ci sei batti un colpo ma di rullante e sul quattro del ritornello di dark necessities 

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Anthony Kiedis, spero si scriva così, il cantante dei Red Hot Chili Peppers, è apparso in sogno a Rossano (un amico che malgrado il nome improponibile se suonassi ancora sarebbe tuttora il mio arrangiatore di fiducia) per dirgli: “Rossano, va e metti il colpo di rullante mancante, quello sul quarto beat di ogni battuta di Dark Necessities”. Potete immaginare la reazione di Rossano che è uno che ha una vera e propria venerazione per i Red Hot. Da ragazzo si metteva nudo con il calzino proprio lì come fanno loro e poi imitava quel matto di Flea sul palco con il basso in slap. Rossano si è svegliato e avete presente quel momento quando apri gli occhi e ripercorri tutto il tempo in cui sei stato addormentato e poi di colpo ti ricordi il sogno fatto? Ecco. Rossano ha esclamato solo nel suo letto: “Antony! Anthony lo vuole!” e si è precipitato sul suo Mac, ha aperto il suo programma preferito di sound design, ha importato la traccia di “Dark Necessities” e non ha avuto nessuna esitazione a scegliere il loop di batteria più adatto da inserire nel ritornello. Io e Rossano siamo solo due tra gli svariati milioni di ascoltatori dei Red Hot Chili Peppers che patiscono come la rogna il fatto che un pezzo bello come “Dark Necessities” abbia una lacuna così vistosa. Va bene lasciare un solo colpo di rullante sul due delle battute durante la strofa, una soluzione ritmica che ti dà quell’effetto di asimmetria volta però a preparare il climax che sfocia nel ritornello. Ma se poi nel ritornello il tempo così zoppicante continua né io né Rossano né gli svariati milioni se non miliardi di ascoltatori dei Red Hot Chili Peppers ci stiamo. Noi nei ritornelli vogliamo sentirci a nostro agio, sognare viaggi in macchina a tutta velocità lungo i rettilinei degli Stati Uniti, osservare l’orizzonte con la tranquillità di avere un tempo di batteria sotto il culo sufficientemente regolare e il fatto che Anthony Kiedis sia apparso in sogno a Rossano – e notate che Anthony Kiedis nemmeno è morto – è un segno che i Red Hot non erano d’accordo e qualcuno glielo ha imposto per biechi fini commerciali. Così voglio dire a Anthony Kiedis di stare tranquillo che ci pensa Rossano, e appena l’edit naturale di “Dark Necessities” con il colpo di rullante sul quattro di ogni battuta del ritornello sarà pronto lo pubblicheremo qui. Stay tuned, Anthony Kiedis.

red old chili peppers

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Se non fosse per alcune ripercussioni sul corpo, sulla mente e sul morale, diventare anziani ha un suo perché soprattutto per le persone normali. I musicisti invece invecchiano male e lo abbiamo detto più volte, per cui ci tengo a sottolineare ancora che la migliore exit strategy è smettere di suonare prima, in modo da presentarsi all’appuntamento con la terza età belli, puliti e disintossicati ed evitare di mettersi in ridicolo con il prossimo. Ma di fronte a certi casi patetici – pensate a uno come Giuliano Lindo Ferrara – ci sono anche artisti la cui giovinezza è stata talmente strampalata che seguirne la canizie o quel che ne rimane è interessante e altamente educativo. Osservavo per esempio Flea (i cui capelli al momento sembrano invece essere viola) dimenarsi come un bassista dei Red Hot Chili Peppers del 92 qualsiasi nel video di “Dark Necessities”, ma tutti e quattro, a parte Frusciante che esce e entra dal gruppo in modo compulsivo, fanno molta tenerezza nel loro essere fuori come dei balconi ancora nel 2016. Flea è del 62, probabilmente si è fatto di tutto ma esprime se stesso con il resto della band contestualizzato all’anno in corso e alla data di nascita che inevitabilmente campeggia veritiera anche sulla sua carta d’identità. Era un trentenne particolare quando suonava “Suck my kiss”, resta un cinquantaquattrenne particolare mentre esegue i pezzi del nuovo album “The Getaway” che comunque non è per niente male. Anzi.

E oggi, che è il compleanno di Ian Curtis, ci chiediamo: 1. come sarebbe stato il front man dei Joy Division a sessant’anni; 2. se la band di Manchester sarebbe sopravvissuta a tutte le complessità dei giorni d’oggi come i New Order, che hanno pubblicato proprio nemmeno un anno fa uno dei loro album più belli, fermo restando che se Ian non si fosse impiccato probabilmente dei New Order non ci sarebbe stata così tanta necessità. L’ultima riflessione riguarda Garbo, quello di “A Berlino va bene”, a cui va il primato indiscusso di figura più innovativa della canzone italiana, considerando che i suoi innesti new wave nel mortorio poppettoso dei primi anni 80 hanno riportato parzialmente l’attenzione di noi esterofili entro i confini nazionali. Garbo è del 58 ed è attivissimo, io lo seguo sui social. Il suo problema è che non si scrolla di dosso i nostalgici che lo vorrebbero solo ed esclusivamente con l’impermeabile a cantare come Bowie o come gli Ultravox. Questo è un po’ il limite di noi ascoltatori provinciali che certi artisti di respiro internazionale non ce li meritiamo. Ah ecco, dimenticavo: a differenza di tutti, il merito di Bowie è stato quello di non invecchiare, non ci è riuscito ma non perché ha programmato perfettamente la sua morte. Peccato, perché l’avrei voluto volentieri al mio fianco – in senso traslato – nella mia, di terza età. Mi accontenterò della sua musica, almeno fino a quando non sarò completamente sordo.