cosa aspetti a baciarmi, vol. 1

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A parte quando te lo chiedono espressamente e capisci che è giunto il momento e non ti puoi certo rifiutare, per il resto capire che la persona che hai davanti ti ha dato il via libera per mettere la tua bocca sulla sua per la prima volta è un fenomeno che a coglierlo, in effetti, può dare molte soddisfazioni. Gli estremi, o casi limite, sono quando si fraintende le intenzioni altrui, a te sembra che e invece non è mica così, condizioni a cui però non ho mai creduto perché, voglio dire, se sei arrivato a quel punto e non sei ubriaco se sembra che ci siano le condizioni di farlo significa che dall’altra pare c’è qualcuno che ci ha un po’ giocato con i tuoi sentimenti. All’opposto, proprio perché a verbalizzarne il desiderio un po’ si sminuisce la magia del momento, si cerca sempre di farlo capire, di addurre indizi sempre più espliciti, e se dall’altra parte non si coglie, si è un po’ addormentati o la timidezza – succede eh – ti paralizza le fasi preliminari all’approccio, può finire che uno non ce la faccia più e lo si domanda come a dire datti una mossa che sono in fibrillazione, imbranato che non sei altro. Quante volte siete stati protagonisti di questo momento così particolare? Cinque? Dieci? Cinquanta? No perché stanotte ho fatto una specie di sogno, e dico una specie perché è come se avessi rivisto una cosa accaduta sul serio. Io e Rita che camminiamo sfiorandoci il gomito, le braccia sono nude perché è primavera, e parlando insistendo su certe cose profondamente in comune (che poi anche lì questa cosa di essere così uguali funziona o no?) scoppiamo a ridere perché lei mi dice che è da stamattina che si sente Frank Sinatra, nel senso che ascolta il cosiddetto The Voice, e io faccio finta di aver capito che lei sente di essere Frank Sinatra. Insomma che ridiamo per tre o quattro minuti abbondanti senza fermarci, quelle risate che fanno venire mal di pancia dal ridere. E nell’istante in cui entrambi torniamo seri, non so dire chi o cosa ma, insomma, quello è stato proprio il momento giusto.

troppa passione in carrozza

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Della gente che si slimona nei luoghi pubblici davanti a tutti ne parliamo spesso, potete anche dire che la mia è tutta invidia perché i cinquantenni che si strusciano per strada non fanno certo un bell’effetto e la puzza di ormone da scambio di saliva in orari in cui è già tanto se la mia lingua riesce a collaborare per trasformare in bolo una fetta biscottata con la marmellata di rabarbaro mi dà alla testa ma solo perché sono fuori tempo massimo.

Oggi invece voglio solo lasciare una nota di biasimo per tutti gli uomini sul treno che si sporgono verso il sedile di fronte per tentare di baciare l’amata salendo con le mani lungo l’esterno delle cosce, avvicinandosi con il corpo mentre lei fa la preziosa voltando il viso per rimirarsi nel finestrino e osservare il livello di dominio che è riuscita a instaurare ripassando un’espressione che ha provato tante volte a casa dopo averla copiata da qualche subdola protagonista di soap dalla sceneggiatura infinita, tipo Beautiful. L’uomo si piega con la schiena in avanti un po’ per mirare alla bocca di lei e un po’ per placare l’entusiasmo inguinale ma la ragazza, ostentando un fastidio artefatto ritraendosi contro lo schienale, con un fare come a dire schiacciami ancora di più, come se il treno anziché essere un passante ferroviario con funzioni di metropolitana fosse un’alta velocità a 350 all’ora lanciato a bomba contro i ritardi di tutto il resto del traffico su rotaia e i passeggeri costretti da quella potenza d’ingegneria dei trasporti, compressi contro il loro posto in classe smart non rimborsabile. Lei dicevo sguscia ancora via come una saponetta insaponata, siamo ancora troppo distanti dalla stazione di arrivo per concedersi, così rintuzza l’assedio amoroso facendo valere il proprio ruolo dominante, d’altronde, come è noto, tira di più il desiderio di accoppiamento – per non dire di peggio – che un carro di buoi. Anzi, un locomotore.

un post riuscito male

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Prendo al solito la pizza con le acciughe e la media chiara che tanto anche se poi non la digerisco – l’acciuga sulla pizza, mica la birra – non mi causerà mai tanta sofferenza o sogni brutti come la coppia di commensali che condivide il tavolo con me e che fino a un paio di settimane fa condivideva anche l’uscita a quattro standard. Ora siamo in tre perché una coppia – la mia – si è scissa in due elementi di mesta singletudine e in questi casi è a caldo che bisogna contendersi il sostegno delle conoscenze comuni. Amici e comparse che ci si porta dietro e che nelle storie lunghe si mescolano nelle vite dei due partner e poi arrivi a un certo punto in cui non sai chi ha presentato chi. La pizzeria è quella nuova in cima a un vicolo dalle parti di San Donato ma l’odore dentro è lo stesso delle trattorie cinesi con cucina selvaggia come quella che c’è sotto casa di Raffaele, che quando stende la tuta ad asciugare poi puzza di involtino primavera fino al lavaggio successivo. Quando entro nei locali dove poi ti porti dietro il tanfo di quello che hai mangiato mi viene voglia di uscire subito, ma la coppia che fino a un paio di settimane fa condivideva l’uscita a quattro standard è lì che mi aspetta con il menu in mano. Non è nemmeno arrivato quello che ho ordinato che vado subito al punto, per rendere quella che risulterà poi essere l’ultima volta che ci vediamo meno dolorosa possibile. Non c’era futuro, siamo troppo grandi per fare i fidanzatini, vorrei trasferirmi nella città in cui lavoro ma lei vuoi stare qui, non voleva nemmeno venire a vivere con me, quindi mi viene da aggiungere che il verdetto è stato fin troppo scontato. Pensavo fosse amore e invece era un orologio rotto. Dopo il caffè vorrei rimanere di più a raccogliere notizie sullo stato di salute e l’equilibrio di lei che fino a un paio di settimane fa condivideva l’uscita a quattro standard con la coppia che il caffè non l’ha preso, ma inizio ad annusare con tutto il mio repertorio di scuse il golf buono che indosso e che uso soprattutto per l’ufficio. Nel tavolo dietro qualcuno ha preso la pizza con le cipolle e mi sembra che la situazione stia precipitando. Per quello mi precipito fuori con un giro di saluti veloce tanto quanto ho buttato giù quello che restava della seconda birra media, tanto ci si incontra in giro. Certo, certo. Poi, a casa, mi viene persino da chiudere in fretta le poche righe con cui cerco di ricordare come è andata e corro a vedere fuori, sul balcone, se il golf buono puzza ancora.

[EDIT] è un aneddoto che risale ad almeno 4 storie d’amore fa, ma grazie per esservi preoccupati 🙂

regia occulta per protagonisti in differita

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Quando una cosa ci piace ma non troppo e non possiamo o non vogliamo sostenere il contrario possiamo sempre dire che ci piace l’idea, ovvero una sorta di astrazione platonica della cosa in sé che però se ne sta lassù, su un pianeta lontano in una dimensione che non si incontrerà mai con la nostra. L’equivalente di aiutiamoli a casa loro, una forma di ipocrisia bella e buona. Mi si nota di più se non vengo, anche se, perdonate la battuta, uno si fa notare di più se viene ma dopo un po’. Ma io mi riferivo invece a quando ci piace l’idea ma non la sua messa in pratica altrimenti ci butteremmo a pesce su un’iniziativa, un posto in cui vivere, una persona che invece lasciamo a qualche bifolco dai gusti di merda e alle sue mire, e tacendo l’assenso acconsentiamo silenti alla sua ammissibilità ma solo per darci un velato tono di dissenso. L’eccezione a conferma di questa regola è testimoniata dagli estimatori del progetto, ovvero coloro i quali fanno proprio un pacchetto onnicomprensivo di optional – spesso inutili orpelli – e solo perché sentono la necessità di una sua componente a tal punto da esser disponibili ad accollarsi il resto. Non sposereste la donna amata solo perché ha quattro figli da una precedente relazione? Non acquistereste un prodotto fenomenale che costa il doppio del prezzo di mercato perché fornito di adattatore, custodia, cuffie, lenti, liquido pulente, spazzolini per la manutenzione ordinaria, carica-qualcosa di riserva, kit di riparazione, ganci e tasselli per un suo posizionamento su superfici a inclinazione superiore ai 45 gradi, buono sconto per un massaggio cinese e chi più ne ha ne metta? A chi non piacerebbe, d’altronde, vivere comodamente sdraiato sul divano di casa sua, non sporcarsi le mani, evitare coinvolgimenti, suggerire le battute, fare il direttore di palco, operare dal backstage e, malgrado il posizionamento nelle retrovie, guadagnare un pacco di soldi? Controllare le cose a distanza e beneficiare dei vantaggi senza rischiarne il contatto è, d’altronde, l’anticamera del capitalismo, la cucina della ricchezza, il salotto dei potenti e la stanza dei bottoni. Insomma, con me sfondate porte aperte e, una volta dentro, fate pure come se foste a casa vostra.

tutto orecchie

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Qualcuno è stato nelle alture di Pontremoli, quest’estate, in una specie di ritiro mistico e dopo non so quante ore di vapori inalati ha incontrato il suo spirito guida, che poi è un lupo – e non chiedetemi che tipo di vapori ha inalato costui – ed è finita che si è tatuato un lupo sul braccio. C’è chi invece ha trascorso otto dicasi otto giorni a Maiorca passando tutte le sere da una discoteca gay a un’altra con una spesa media di 100 euro a botta tra ingresso e consumazioni ma poi, sul più bello, i dettagli più piccanti li ha confessati nell’orecchio della sua migliore amica lasciandomi così, come un film interrotto prima della scena conclusiva. Mi spiace non saper dirvi di più, non potevo certo approfondire così sui due piedi, un po’ per non sembrare impertinente e ficcanaso e poi perché davvero, erano tante le cose da chiarire e sono rimasto spiazzato, non avrei saputo da dove cominciare. C’è invece chi riesce a pensare alle domande da porre durante la conversazione ascoltando la risposta in corso e sono i veri esperti del dialogo. Io, al contrario, sono tutto preso dalle persone che mi parlano e se mi sforzo di pensare alla domanda successiva perché ho paura, una volta terminata la risposta in corso, di esser costretto a lasciar cadere la conversazione per mancanza di argomenti, finisce che mi perdo la risposta in corso e quando poi me ne rendo conto, verso la fine, vado nel panico. Non sarò l’unico ad avere paura del silenzio, spero. Sopraggiunge infatti quel misto di rammarico nel non aver ascoltato a sufficienza la persona che si stava rivolgendo a me unito all’ansia da prestazione perché, nel frattempo, l’aver pensato a qualcosa da chiedere non ha dato i suoi frutti. I veri intervistatori, passatemi il termine, sono quelli che connettono subito gli spunti alla propria intelligenza e domandano subito altro senza lasciare buchi audio, nemmeno fosse una trasmissione radiofonica come quella volta in cui ero con la mia band a Radio Deejay e c’era lo speaker che stava promuovendo il nostro disco. Poi, prima di lanciare il pezzo, ci sono stati tre secondi di nulla e subito il diretùr, credo il cecchetto del caso ma forse proprio Cecchetto in persona era piombato telefonicamente in regia con un cazziatone da settanta. Il silenzio alla radio è un’offesa a chi investe in pubblicità perché denota scarsa professionalità. Certo, tornando a noi, così facendo far quattro chiacchiere diventa una sofferenza. Suggerisco così un escamotage frutto della mia deformazione professionale. Se avete un incontro galante o volete passare per persone curiose perché la curiosità è una parte dell’intelligenza, portatevi dietro una scaletta di argomenti da trattare in caso di emergenza. Io ho rinunciato. In fondo, davvero, non me ne importa nulla.

io non so come stare

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Il mio dottore mi ha prescritto un betabloccante per diminuire i valori di pessimismo cosmico, considerando che – a quanto dice lui – con l’età sono destinati ad aumentare. Stamattina avevo 90 di minimo e 130 di massimo, appena sopra gli indicatori normali che però suonano come un campanello d’allarme. L’attività fisica volta a regolarizzare l’autodisciplina non è sufficiente, infatti, funge solo da sistematizzatore della visione del prossimo nel suo insieme, come se la gente smettesse di deluderci solo perché uno si spara regolarmente dieci chilometri di corsa ogni giorno. Quello che gli americani hanno saggiamente riassunto nel tema della redenzione declinato in ennemila versioni in un loro certo tipo di cinema. Rocky, per intenderci. Ma la medicina richiede ben altro. Si tratta di una semplificazione della logistica etica dovuta ad anni di comportamenti poco salutari, come l’arrogarsi una superiorità morale o anche solo maggiori diritti di accesso a cose e persone in base a un sistema immunitario fortificato culturalmente, o in alcune eccezioni anche da un punto di vista esperienziale. Altre frequentazioni virtuali abbassano inoltre il livello di guardia degli anticorpi ed espongono a pericoli virali. Basta una sera con coppie che non conosci, per esempio. Toccare qualche argomento e mettersi le mani nei capelli senza lavarsele con cura dopo. Esporsi con posizioni inadeguate alle opinioni correnti che, come è noto, sono la prima causa di acciacchi. Scambiarsi impressioni senza le adeguate precauzioni, malgrado anni di informazioni sui rischi della conversazione libera. Una volta mi portavo sempre qualche esemplificazione ben motivata dietro, non si sa mai come butta la serata e magari ci scappa di discutere di qualcosa. Poi l’allarme è diminuito e ci siamo rilassati un po’ tutti ma è proprio così che poi le recrudescenze tornano più forti di prima. Comunque ora vivo fiducioso la terapia che mi è stata prescritta, anche se per guarire fuori – si sa – occorre innanzitutto rifiorire dentro. Il che non è facile, considerando che è in arrivo l’inverno più freddo del secolo.

sempre meglio non iniziare nemmeno

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La signora Grazia, che è la moglie del panettiere che vive al quarto piano e che non si lamenta mai del ragazzo sopra di lei che si esercita al pianoforte otto ore al giorno, mi vede ritornare da scuola con la cartella sulle spalle e solo col grembiule nero, siamo a maggio inoltrato e non c’è più bisogno del giubbotto. Si sporge sul balcone e mi chiede se posso cercarle uno dei divisori che lei usa per separare le dita dei piedi durante il sonno. Soffre infatti di alluce valgo a entrambi i piedi e prima di coricarsi si mette questa specie di anelli di plastica nell’incavo tra il primo e il secondo dito per raddrizzare il metatarso. Poi succede – non è la prima volta – che se li dimentica nelle lenzuola e quando le scrolla alla finestra finiscono di sotto. Provo a dare un’occhiata dalle parti del tombino, trattandosi di un cilindro facilmente sarà rotolato seguendo la pendenza dei canali di scolo dell’acqua, ma non vedo nulla che possa essere ricondotto alla funzione di divaricatore. Trovo in compenso ben due pacchetti vuoti di Marlboro.

Si è diffusa da tempo questa leggenda metropolitana tra noi ragazzini, secondo la quale sotto le alette del cappuccio della confezione rigida di quella marca di sigarette sono stampati dei punti, raccogliendo i quali e cercando di raggiungere una cifra non ben definita – chi dice mille, chi sostiene tremila, chi spaventa i concorrenti al premio con cinque o addirittura 10mila – e consegnata la prova a un qualsiasi tabaccaio, si ha diritto a una vincita che alcuni identificano in un prezioso zippo in argento brandizzato Marlboro, altri invece addirittura parlano di soldi. Cento lire a punto. Il problema è farsi vedere a cercare nella spazzatura in giro, recuperare pacchetti vuoti, togliere la stagnola e rivoltarne il cartoncino per poi magari trovarsi con un pugno di mosche. In effetti però sotto le alette del cappuccio i numeri si trovano. Ogni volta diversi e spesso anche ben auguranti.

Io sono già a buon punto, ho amici che sono più avanti di me ma ho tutta l’estate per raggiungere la quota necessaria. Pare che il concorso termini a settembre, ma il bello è che sembra essere valido su tutto il territorio nazionale. Infatti proseguo la raccolta nei mesi successivi durante le vacanze estive in campagna, anche se alcuni amici mi hanno persuaso a consegnare i punti e a richiedere il premio in una tabaccheria di città, non è detto che nei paesini dell’entroterra i commercianti siano aggiornati su queste iniziative. In campagna vado in cerca di pacchetti di Marlboro lungo le strade fuori dal paese in bici e quasi sempre con Silvia, che abita vicino a me e siamo amici anche se è un po’ più grande. Alcuni pensano che stiamo insieme ma non è vero, siamo tutti e due bruttini e non ci piacciamo reciprocamente, quindi il nostro rapporto è di sincera voglia di fare cose insieme. L’aspetto lungo la strada seduto su un muretto e poi decidiamo la zona di perlustrazione. Oggi, per ingannare l’attesa, ho fatto secco un moscone con un rastrello che qualcuno ha lasciato lì. Gli ho fatto cadere il manico addosso e quello non ha fatto in tempo a spostarsi. Silvia ha gli occhiali e l’apparecchio, comunque è sveglia e riesce a individuare il rosso delle Marlboro anche da lontano.

Quando rientro in città, prima che ricominci la scuola media, ho un valore in punti altissimo, penso che potrei meritare o due accendini o un sacco di soldi. Forse preferisco lo zippo, perché ogni tanto nei pacchetti abbiamo trovato una o due siga e io e Silvia abbiamo provato a fumare. Quindi magari ho preso il vizio e avere da accendere può farmi comodo. Quando però gli porto tutti i brandelli di cartone per rivendicare il premio il tabaccaio mi conferma di non saperne nulla, non c’è nessun gioco a premi ma apprezza il mio sforzo nell’aver raccolto tutti quei pacchetti vuoti e me ne offre uno pieno come omaggio, anche se si vede che non ho nemmeno tredici anni. Così penso a Silvia che ha il doppio dei miei punti e alla delusione ancora più grande che potrà provare ma invece mi sbaglio. L’estate dopo Silvia sfoggia un accendino in plastica con il logo Marlboro – e probabilmente era solo una questione di recarsi dal tabaccaio giusto.

vuoi scherzare?

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Francesco non ci pensa due volte. Afferra dalla mano di Marta che glielo sta porgendo il sacchetto con i rifiuti raccolti dopo il pic nic e dal sentiero che stanno percorrendo lo scaglia giù nel bosco. Marta ama la montagna quanto lui, o almeno quanto credeva che Francesco avesse la natura nel cuore dalle conversazioni scambiate lungo quelle poche settimane in cui avevano nutrito il loro rapporto. Certo, un gesto simile cambia tutto. Come si fa a condividere una famiglia, una casa, una vita con uno che non rispetta il verde. Francesco però dismette l’espressione da folle con cui ha gettato la spazzatura tra i faggi e scoppia a ridere. Che scherzo, in effetti. Si precipita subito a recuperare il sacco e quando torna su Marta ha già ripreso il colore in viso sbiancato per l’incredulità, chissà però se dovrà abituarsi a questo genere di umorismo disarmante. Lo stesso giorno in cui lei e Francesco trascorrono il primo fine settimana insieme con quella gitarella in montagna, qualche centinaio di chilometri più a sud Rita ha convinto Danilo a passare una serata in discoteca insieme. Anche loro sono una coppia in fase di rodaggio, e approfondire la conoscenza reciproca mescolandosi a tanta gente può essere un elemento agevolatore di vita comune. Entrati nel locale, Rita convince Danilo ad attenderla con un paio di long drink su un divanetto, la serata è già nel pieno ma lei deve andare in bagno. Rita però sembra metterci più del necessario per sbrigare una pratica di così ordinaria amministrazione come pipì e trucco e Danilo inizia a guardarsi intorno per provare a scorgere la compagna. Così si volta verso una pedana su cui sta salendo un’avvenente cubista non senza qualche difficoltà, considerando i tacchi vertiginosi. Vestiti ultra-succinti, parrucca e occhiali anni 70, movenze estremamente provocanti. La cubista che comunque tiene il ritmo in un modo piuttosto familiare poi scende dalla pedana, si avvicina a Danilo e gli si getta addosso baciandolo in modo piuttosto esplicito tanto che lui non fa nemmeno a tempo a chiudere gli occhi. Rita così si defila dalle sue braccia, scosta gli occhiali dal viso per farsi riconoscere ancora meglio e lo invita ad accomodarsi insieme a lei, la serata è ancora lunga e si devono chiarire un po’ di cose. Proprio la mattina seguente Rita mi racconta questo scherzo che ha ideato per il suo nuovo fidanzato mentre siamo sull’autobus per andare in ufficio. Io mi alzo, la prossima è la nostra fermata, ho una signora davanti all’uscita e, quando il bus rallenta, per capire che intenzioni ha le chiedo “Scusi, scendo?” ma la signora non capisce lo spirito delle otto del mattino, o forse sono io che mi mangio le parole, infatti si scosta e mi lascia passare senza nemmeno un mezzo sorriso.

con i fanti ma non con i santi

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Nella busta c’era una tua foto con la faccia tutta impiastrata di non so quale crema di bellezza e due fette di cetrioli sugli occhi, e davvero trovo sia stata una trovata fantastica se non fosse che ci metto un po’ capire le cose. Nel senso di discernere tutti i livelli di comprensione, quelli che certa gente ci ha pure lasciato la ragione. Sai che io so che è uno scherzo per non passare per una che ha inteso seriamente di inviare a uno che conosce solo via Internet una foto che uno si aspetta una foto un po’ audace ma poi che senso ha inviarsi una foto, audace o no, via posta per di più dalla Francia all’Italia quando c’è Internet e anche se siamo ancora ai tempi di Altavista e di Windows 98 comunque le immagini digitalizzate e compresse esistono già. Quindi i piani di lettura sono molteplici. Tutto lo sbattimento per mandare un ritratto volutamente poco rivelatorio e altamente ironico per di più stampato, imbustato e bollato senza che il destinatario abbia chiesto nulla ma di tua iniziativa quando tu avresti potuto farti un selfie, anche se non si chiamavano così, e mandarlo in una manciata di secondi. Troppo elaborato per un semplicione come me. Tra l’altro non sapevi il mio indirizzo e me l’avevi mandata al lavoro, un ufficio di almeno tre o quattro aziende fa. Poi infatti avevo trovato di meglio, professionalmente intendo, e la foto con la crema di bellezza e i cetrioli era rimasta nel cassetto ma non credo volutamente. Forse era un modo inconscio per restituire lo scherzo a qualche altro ignoto, che prendendo il mio posto avrà trovato la busta con il tuo ritratto lì dentro e chissà, davvero, che cosa avrà pensato. Magari era uno più sveglio e intelligente di me.

cose che succedono quando le stagioni non aiutano

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E di lui potete dire di tutto, per esempio che è un insensibile che non nota che ciclicamente ha a disposizione uno shampoo diverso sulla mensola angolare della doccia malgrado il flacone precedente non fosse esaurito, anzi era quasi pieno, per poi tornare in auge qualche giro di prodotti dopo e tutto perché in casa si seguono le stagioni dei capelli di sua moglie allo stesso modo in cui si pratica la rotazione delle colture, che poi andando alla radice – non dei capelli – tutto è deciso dalla disponibilità di coiffeur convenienti su Groupon anche dall’altra parte della città. Si, stavo parlando di me in terza persona per non fare quello che è sempre protagonista delle storie.

Comunque, tornando all’egli, in altri frangenti sta molto attento a cose come non lasciare l’auto con le quattro frecce dove non si può, piuttosto aspetta in macchina ed è da lì che vede seduti ai tavolini all’aperto del chiosco i due di prima, attenti che rischiate di prendervi una grandinata se oggi alle cinque fa come ieri e come ieri l’altro. Era fermo al semaforo ed erano passati a fianco, con il finestrino giù aveva sentito lei dire una cosa come “e ora potresti anche abbracciarmi un po’” e lui, di poco più alto, aveva fatto un tentativo ma vedendosi riflesso nella vetrina dell’agenzia viaggi – avete presente quelli che si abbracciano e tengono gli occhi aperti poggiando il mento sulla spalla altrui – aveva pensato alla partenza per le ferie programmata per l’indomani.

L’ultimo giorno prima delle vacanze funziona un po’ così, il back-up, le ciabatte spente per risparmiare dai dispositivi che altrimenti restano in stand-by, un controllo alle finestre. Si esce pure prima ma poi fuori sembra novembre e c’è una specie di tifone nell’aria, non lo diresti mai che stai per passare ventun giorni con quel tempo lì e senza lavorare. L’espositore dei Viaggi del Ventaglio sembra un po’ il poster che Baglioni cantava per andare lontano, così si vede e si stacca immediatamente proprio con la scusa di una folata di vento che non è nemmeno la più violenta.

Insomma poi li ritrovo lì al chiosco con due Becks stappate davanti e mi sembra che la situazione si sia fatta più drammatica ma non posso continuare a spiare, arriva l’82 che se non mi sposto non ci passa, lascio attraversare quel tizio glabro sulla settantina che gira sempre con il berretto militare, la camicia nera e i pantaloni mimetici e che poi, quando gli ho lasciato il posto in cabina alle primarie del PD, volevo chiedergli scusa per averlo sempre creduto un nazifascista, quindi metto la prima e agevolo lo scorrimento fluido del traffico.

Finisce che poi ci troviamo tutti alla fermata dell’82. Io ancora a fare l’autista, l’82 a scambiare passeggeri in entrata e in uscita, c’è pure un controllore che scruta sorpreso un viaggiatore senza biglietto che non ne vuole sapere di mostrare il documento e lo sfida a chiamare i Carabinieri. Ricompare infine quella specie di coppia mentre il cielo è sempre più nero e il vento è sempre più forte. Ora sono in piedi, si vede che lui sta per andare da un’altra parte restando a terra mentre lei salirà sull’autobus e non capisco se pianga o se si tratti di un effetto del mio parabrezza bagnato.

Lui fa di no con la testa, come a sottolineare il fatto che ci sia qualcosa che non sia vero, o qualcuno che non ha capito. Quando l’82 si allontana con lei che è salita su qualche istante prima che si chiudessero le porte, lui si siede sotto la pensilina perché si sta rovesciando un intero set di nuvole color cenere, estrae un telefono modernissimo dai bermuda con i tasconi e si vede che la chiama perché lei, che è seduta in fondo all’autobus che sta percorrendo il rettilineo, la vedo rispondere, sorridere e voltarsi indietro, verso il capolinea.