cosa aspetti a baciarmi, vol. 3

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Alla madre snaturata che sta assicurando al figlio che non lo accompagnerà più dal dentista se lui ha così paura la costringerei a impostare come sfondo del suo smartcoso la radiografia panoramica delle mie arcate dentarie, un monito abbastanza severo per i genitori a non farsi soverchiare dalla compassione. Bisogna sapersi imporre no? Ma come se non bastasse la sua confidente invece la consola perché la figlia, che non c’è verso di farle utilizzare il trolley per portare a scuola le decine di kg di libri di testo sulle spalle e badate solo per un mero canone estetico del tutto arbitrario per un gruppetto di preadolescenti ai quali, se ci trovassimo ancora ai bei tempi della scuola gentiliana, qualcuno avrebbe già ridimensionato le velleità dispotiche a suon di bacchettate sui polpastrelli. Invece, da quanto sento, la ragazzina saltella lieta e pensosa fino in classe con un Eastpak alla moda ma a rischio di tutte le malformazioni che terminano in -osi e che riguardano una approssimativa postura della spina dorsale soggetta a sforzi completamente fuori portata. Non bisogna lasciare il potere di scelta ai figli quando sono in quella fase, soprattutto se un capriccio o un vezzo può risultare fatale. Non che non li capisca, io facevo impazzire mia mamma con il fondo dei pantaloni che un cambiamento repentino di stile aveva imposto molto stretto e chi aveva una dotazione ancora a zampa e non aveva molte possibilità di convincere i cassieri di famiglia a rinnovare il guardaroba era costretto a soluzioni di risulta. Il mio piano B era ricorrere a Zia Pina e alle sue abilità sartoriali. Pensate il divario di preoccupazioni che sussiste tra gli undici e i cinquant’anni. Anche se uno ci raccontasse cosa succede dopo ma con un bel docu-film fatto con i contro-cazzi probabilmente non ci crederemmo neppure. Alle preghiere di ragionevolezza e di pensare in tempi lunghi un qualsiasi undicenne ti potrebbe rispondere “sì ma io ne ho bisogno adesso”. La madre snaturata comunque si merita i miei piedi sulla borsa che ha posato sul pavimento del treno tra me e lei e aspetto come quel motto del cadavere e della riva del fiume che mi dica qualcosa quando la tirerà su una volta arrivata alla sua fermata. La sua confidente invece è sputata la Francesca nel periodo in cui eravamo così amici ma così amici che poi, quando Lara mi aveva convinto ad accompagnarla al Motorshow di Bologna, manifestazione di cui – sia chiaro – non mi importava una minchia, non a caso dopo aver giaciuto nello stesso letto del suo appartamento in un palazzo storicissimo di Via Castiglioni mi ero, la mattina dopo, rifiutato di pagare un biglietto per visitare stand pieni di esagitati delle due ruote e avevo optato per un sano tour tra negozi di dischi e osterie gucciniane da solo, dicevo che poi la Francesca quando ero rientrato da Bologna mi aveva detto al telefono che le ero mancato. Probabilmente si trattava di un po’ di gelosia, perché eravamo così amici ma così amici che poi, la sera stessa di ritorno dal Filmstudio, mi aveva baciato sul collo mentre guidavo, costringendomi a fermare l’auto con le quattro frecce per risolvere la situazione seduta stante.

in media un uomo salva un file ogni 1,5 minuti

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Immaginate in quale tipo di archivio vi piacerebbe riporre tutte le cose e le persone che non vedrete mai più, e non mi riferisco necessariamente agli oggetti gettati in discarica e a congiunti e amici che sono mancati, ma nemmeno alle persone che abbiamo gettato nella discarica dei nostri trascorsi da dimenticare o alle cose che abbiamo mancato per un soffio. Mio papà, per dire, non potrà mai più commentare uno di questi miei post – anche se non l’ha mai fatto nemmeno quando era in vita – anche se ho sognato la settimana scorsa che mi avvisava delle sue intenzioni, “guarda che non ti commenterò più sul tuo blog”, mi diceva, come se avessi scritto qualcosa che non gli piacesse. Il sogno continuava con degli assurdi 33 giri che avevo utilizzato come dispositivi di storage in cui avevo masterizzato foto vecchissime, risalenti alla preistoria della mia passione per l’informatica. Inutile dire che li mettevo sul piatto e al posto della musica vedevo proiettata contro il muro bianco di fronte allo stereo quella istantanea che mi aveva scattato la mia collega Roberta verso la fine degli anni novanta con una delle prime macchine digitali consumer. Avevo una testata di capelli neri e folti che non vi sto a dire e mi aveva ripreso alla mia postazione in ufficio mentre mi dilettavo con la programmazione software. La foto l’avevo poi condivisa con una delle prime comunità on line a cui mi avevano invitato nerd più nerd di me e grazie a quell’espressione a detta di tutti simpaticissima avevo colto nel segno. D’altronde anche quella fa parte delle cose che non vedrò più: il cd su cui avevo registrato il back up di quella fase della mia vita chissà poi che fine avrà fatto. Quindi, tornando a noi, io andrei sul sicuro e mi procurerei uno di quei vecchi schedari da segreteria, quelli grigi con i divisori e le cartelline con le linguette. Poi riempirei l’archivio e ne avrei di materiale da riordinare, nel dubbio stamperei tutto ciò che è digitale e trascriverei tutti i contenuti da associare alle vecchie conoscenze, nel bene o nel male. Un po’ quello che mi diletto a fare qui, per questo ogni tanto salvo tutto sul mio pc, non si sa mai. Meglio non perdere pezzi di vita.

separati in camper

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Nella fiction d’antan nei camper ci abitavano solo i tipi un po’ radical chic come Alonzo Gates, vulgo Gonzo, il dottore reduce dal Vietman e dalla serie tv M.A.S.H. poi innestato nello spin off “Trapper”, e se vi ricordate tutto questo condividete con me il decennio di nascita. Nella realtà ci vive stabilmente solo qualche marito separato che magari nello spirito avventuroso dell’outdoor forzato al parcheggio del parco ci trova anche lati positivi. Ma che tristezza, pensa vedendolo la famigliola reduce da una festa di compleanno a cui ha accompagnato il figlio in età da scuola primaria e che rientra sbuffando il vapore nel freddo e inalando in cambio quel pesantore chimico dell’hinterland che non ho mai capito se sono fabbriche o banale concime da agricoltura. Ma che tristezza, pensano quella madre straniera con le due figlie che prima ho visto camminare al buio in una strada di quelle che nessuno percorrerebbe a piedi a meno che non si abbiano i soldi per permettersi un’automobile ma, malgrado ciò, non si può certo negare il divertimento domenicale alle proprie ragazze. Più pericolosi di loro ci sono solo gli africani che vanno in giro di notte in bici, impossibili da identificare nel buio, e quel magrebino che avevano beccato in autostrada e che, con la sua mountain bike, voleva arrivare prima a destinazione evitando così le vie più trafficate. A risollevare le sorti di quel residuo di weekend di periferia c’è però la targa del camper che finisce sardonicamente come una risata, AH, che la dice lunga sul motivo per cui quell’uomo vive lì da solo. Avrebbe dovuto documentarsi prima, giusto? L’affinità di coppia, almeno la sua, si evince dalla frequenza con cui si ricevono le chiamate del partner in momenti poco opportuni, come quando sei carico di borse della spesa e stai cercando le chiavi impegnandoti a non far cadere nulla e ti squilla il cellulare nella tasca interna della giacca chiusa pure con la zip. Oppure mentre ti stai recando da qualche parte in cui non sei mai stato e ci stai arrivando proprio grazie al navigatore di Gmaps e ti arriva la telefonata in prossimità di un incrocio, e non sai che con gli smartphone si possono fare due cose contemporaneamente ma, comunque, la casualità stessa ti innervosisce.

Vedo così attraverso la finestrella il camperista single di ritorno con la lampada da campeggio accesa leggere una copia ormai obsoleta della Gazzetta, i giochi calcistici alle sei del pomeriggio del giorno di festa ormai sono tutti fatti. In più, con l’avvicinarsi dell’ora di cena, lo stomaco che si stringe nei crampi da nostalgia per alcune strategie di vita di coppia, come il trucco di comprare sempre due bottiglie di birra da 50 cl, una a testa che però a meno di accompagnarsi a una beona, l’uomo riesce sempre a spuntarne anche la metà della seconda. Poi quei grandi dubbi senza risposta: il plurale di mouse nel senso della periferica da computer desktop è mice? O perché non si produce direttamente cibo per gatti con la carne di topo, visto che decenni di cartoni animati ci hanno forgiato su credenze di questo tipo? Mi allontano verso casa perché mi assale troppa angoscia, e per tirarmi su mi canticchio tutti quei motivetti italiani che possono essere adattati alla ritmica degli slogan da corteo politico impartiti dal capo della manifestazione con il megafono, e mi viene benissimo con “Su – di noi – nemmeno una nuvola / su – di noi – l’amore è una favola”, tanto sono in macchina e fuori non se ne accorge nessuno.

cosa aspetti a baciarmi, vol. 2

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Grazie per avermi dato del gentiluomo, ammetto senza falsa modestia di aver fatto della gentilezza una mia ragione di vita. Grazie anche per aver agito d’impulso proprio come me, quando ci siamo spostati di lato all’unisono nemmeno fossimo una coppia di olimpionici del situazionismo sincronizzato. Mi stavo infilando a una velocità piuttosto sostenuta nell’unico posto macchina libero del parcheggio e mi è venuto l’istinto di muovere il busto come quando si vuole evitare di prendere dentro l’angolo del tavolo correndo, senza pensare che c’è l’auto intorno a noi che al massimo si sfracella sul paraurti di quella a fianco. Così ti confesso che non è la prima volta che mi succede, che ho già provato altrove a chinarmi come per mettere al riparo la testa dallo stipite se transito sotto un ponte, come se la macchina, così facendo, ci passasse più agevolmente, una sorta di sinapsi vivente nella mente di un’utilitaria da quattro soldi. Giustamente mi fai notare che si trovano in natura esempi di gente che inclina il corpo per favorire il comando impartito, per esempio spostando il proprio peso nelle curve nelle gare di go-kart o con i catamarani. Non voglio avere l’ultima parola e sempre secondo la mia idea di cavalleria comportamentale preferisco non metterti al corrente di quella volta in cui, con l’istruttore di guida a fianco, per muovere la Renault 5 di un mezzo metro in avanti mi venne spontaneo dare spintoni con il corpo mentre ero seduto con il volante in mano, in folle e a motore spento. Così, avvolti dal silenzio che c’è fuori, prima di scendere mi chiedi di farti sentire la cassetta di Wish e di cercare quella traccia che parla di fiducia reciproca, che per me equivale a una dichiarazione d’amore.

succede quando non fai in tempo a salvare correttamente il file

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– “Se non rispondono subito appena dici pronto puoi stare tranquillo che sono di un call center e ti stanno chiamando per venderti qualcosa o per proporti di cambiare contratto, quindi puoi approfittare di quei due secondi di stasi in cui all’altro capo un sistema automatico comunica all’operatore che qualcuno ha risposto e che è tempo di introdursi nella comunicazione per mettere giù”, sta dicendo l’ingegnere. “Non puoi nemmeno contare sull’anticipazione del numero di chi chiama sul display perché spesso ne riporta l’anonimato, tutto sommato questa rimane la modalità più veloce per capire di che telefonata si tratta ed evitare le scocciature”.

– “Per me invece costituiscono tutt’ora una fonte redditizia di business”, gli risponde la responsabile acquisti, una modenese sulla quarantina che è famosa in azienda perché ogni volta in cui riceve un preventivo da un fornitore richiama subito con il suo fare da cassiera alla festa dell’unità per chiedere quanto sconto riescono a farle. Lo so perché ci ha provato anche con me che non ho ancora preso la malizia di gonfiare i costi in previsione di incontrare gente abituata a contrattare. Ci ha provato con me e, manco a dirlo, ci è riuscita. “Nel tempo libero vendo cosmetici a privati, organizzando riunioni con amiche e amiche delle mie amiche”, ci spiega. “Quando mi propongono al telefono un’offerta per Sky o tentano di prendermi con il senso di colpa perché spendo troppo per la bolletta del gas, gli chiedo se gli interessa una nuova linea di prodotti per la pelle o lo shampoo con il balsamo per lavaggi frequenti, per esempio se vanno in piscina per fare sport o magari mamme che accompagnano i figli piccoli nei primi approcci all’acquaticità”.

Io però sto finendo la pizza per primo, dovrei controllarmi quando sono a pranzo fuori per lavoro e intanto non prendere la pizza che poi sembra che voglio risparmiare – e infatti voglio risparmiare – e poi non ingozzarmi che poi si vede che ho passato anni abitando da solo, quelle esperienze in cui se non stai attento un po’ ti imbruttisci. Vorrei però tornare sull’argomento da cui siamo partiti, e cioè se esistono santi di origine statunitense, se è già successo che un papa abbia beatificato qualcuno del Tennessee o del Michigan. Subito mi era sembrata una battuta ma poi, riflettendoci, si poteva entrare nel dettaglio e avrei potuto persino imparare qualcosa se non mi fosse squillato il telefono proprio mentre la cameriera prendeva le ordinazioni e la risposta seccata che avevo dato non aveva lasciato dubbi sulla natura della chiamata. Mi interessa molto di più la storia recente della Chiesa anche se non ho nulla da aggiungere, mentre sulle scocciature telefoniche potrei intervenire raccontando di quando dico che sono il figlio della persona a cui è intestato il contratto e che quindi dovrebbero riprovare ma non prima di un mese in quanto mio padre, dico così, mio padre è in tournée. Mi prende di nuovo però la sensazione di stare con qualcuno che non esiste, che pagato il conto e salutati tutti nel parcheggio con una stretta di mano ognuno di noi si volatizzerà come se davvero fossimo personaggi accennati in una bozza da qualcuno che tenta di scrivere un romanzo che poi non avrà mai il tempo di portare a termine.

le canzoni romantiche

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Da Dante a Fedez – e perdonate il jet lag a cui vi ho esposto, posso immaginare che lo iato culturale multi-circadiano tra due poli così opposti sia incolmabile – dicevo che da Dante a Fedez il subbuglio ormonale da sfogare in rima deriva per lo più dalla tensione erotica che nella gamma delle sensibilità artistiche – ecco perché i due antipodi della poesia, l’acme e la fogna – si espleta attraverso la rima più o meno musicata. In mezzo ci sono mille anni di melodie d’amore però, versi modulati su accompagnamento strumentale, su cui autori si struggono mentre ascoltatori si dannano e beneficiarie si schermiscono. Le canzoni romantiche fanno sognare da sempre gli adolescenti ed è un processo che si reitera nel tempo con una continuità che non ha confronti. Se incontrate nel 2014 ragazzi che cantano i loro inni alla spensieratezza, a me è capitato qualche giorno fa in treno con tre giovanissime che intonavano un facile ritornello dell’ultimo disco de “Lo stato sociale”, mettete mano alla vostra vita e ripescate quel momento in cui è successo anche voi di condividere pene o successi amorosi con qualche amico di appoggio dotato di chitarra o altro strumento portatile, voce di supporto compresa, e riassaporate il conforto dato dallo sfogo dell’urlare quelle parole in cui vi siete riconosciuti protagonisti nel bene o nel male con una spalla compiacente a cui confidare cose così complesse come l’innamoramento corrisposto o respinto in giovane età. Si ride, si piange, ci si dispera o si cerca un appiglio per riprendere a vivere da un’altra parte con la canzone romantica giusta. Noi italiani siamo bravissimi in questo, se non fosse che spesso ci troviamo borderline con la lagna. Ma che importa ai produttori di testi da musicare, il loro obiettivo è fare soldi proprio con i nostri sentimenti incoraggiati o interrotti o anche solo ostacolati. A noi ragazzi alle prime esperienze ci basta un ritornello da ripetere fino all’esasperazione, come un mantra in grado di abilitare decisioni altrui a nostro favore. Un sì, un va bene, un bacio o una di quelle espressioni che poi a casa si possono adattare alle aspettative tanto sono neutrali. Da Dante in poi, ma solo per una corretta collocazione storica della certa esistenza della nostra lingua e Fedez questa volta lo lasciamo fuori dal gioco, miliardi di milioni di ragazze e ragazzi in coro si sono misurati poi subito dopo con l’enigma del silenzio, a osservare se il messaggio ha sufficiente forza per levarsi in alto e volare a destinazione, ignari del sistema di saturazione audio che c’è dalle nostre bocche in poi, un concentrato delle preghiere laiche o ufficiali di richiesta di salvezza a divinità in carne ed ossa, oggetto dei desideri di un genere umano che non cambierà mai e continuerà a vivere – con un coinvolgimento senza tempo – quella cosa che nessuno si spiega ma che, dicono, fa girare sole, stelle e, talvolta, parti anatomiche che la poesia la limitano un pochetto.

tira più la nouvelle vague che un carro di buoi

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Non so che film fosse ma c’era comunque qualche scena un po’ spinta, niente di porno ma diversi accoppiamenti umani simulati piuttosto realisticamente con il minimo di nudità femminile mostrato qualora fosse stato necessario rafforzare il concetto, per quella maschile il rischio non sussiste perché poi si riduce solo a un elemento tabù. Niente di sconcertante se non fosse che vederlo in treno sul tablet, anche se con l’audio in cuffia, il rischio è di crearsi intorno un capannello di pervertiti che vogliono appurare la veridicità della recitazione. E se ci sono dei bambini dietro che sbirciano, qualche nonnina debole di cuore, una suora o comunque qualcuno sensibile a tali tematiche? So di gente che ha persino vomitato per un passaggio troppo azzardato in un film osé anni 70, ma era in un multisala e quindi forse c’entra il fattore dell’iper-realtà. Nei viaggi a lunga percorrenza, metti l’ormai classico Milano-Roma in tre ore, questo tipo di proiezioni private è piuttosto comune per trascorrere la distanza senza annoiarsi, e non c’è nulla di male ma solo se si segue una storia adatta a tutti. Al massimo occorre solo un po’ di attenzione se vi va di condividere la visione con la sconosciuta al vostro fianco, dopotutto proporre un diversivo a chi magari si annoia guardando di straforo il vostro schermo è pur sempre una cortesia, e il caso vuole che voi vi muoviate sempre con un auricolare in più e lo sdoppiatore per le cuffie in borsa. Solo sinceratevi prima che non sia nulla che possa mettere in imbarazzo lo spettatore aggiunto, generalmente sesso o violenza gratuita, quindi occhio alla scelta del film. Io mi sono pure sentito dire di no da una ignota vicina di posto che dapprima sembrava interessata a condividere con me un lungometraggio, ma poi ci ha ripensato adducendo la motivazione di non apprezzare il cinema americano. Che, voglio dire, si tratta di una scusa quasi meno attendibile di chi sostiene di non votare perché non si sente rappresentato da nessuno. Avete capito cosa intendo. Ma quella era solo l’andata. Al ritorno da quel viaggio il caso mi aveva messo a fianco di una ragazza del sud che stava raggiungendo Milano per uno stage, meglio che niente. Io avevo finito i film – comunque i miei non erano assolutamente vietati ai minori – e pure il libro e visto che le andava di scambiare quattro chiacchiere mi ero prestato a una conversazione sul più e sul meno che poi però era diventata piacevole. Si era laureata nel mio stesso settore e prima di scendere mi era venuta l’idea di lasciarle un biglietto da visita, poi quando lo ha riposto nel portafogli ho notato una tessera di Alleanza Nazionale in quel punto dove le persone normali mettono le foto dei figli o dei fidanzati. Se fossi stato uno diverso il mio biglietto glielo avrei chiesto indietro e, per umiliarla maggiormente, mi sarei messo subito a guardare sul portatile qualcosa di Truffaut.

sexy boy

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Quel tuo amico con l’impermeabile lungo fino alle caviglie non riesco nemmeno a capire cosa dice, ma nel Veneto non ve lo insegnano l’italiano? Faccio apposta a far finta, tanto se si parla di musica è difficile spararne di fuori contesto. C’è sempre la scusa dei gusti che sono gusti, c’è tutta una gamma di punti di vista che possono attingere dalla filosofia fino a quelle inutili riviste di carta e su Internet dove cani e porci annotano le loro pugnette esistenzialiste mascherate da recensioni senza essere remunerati, e ci mancherebbe altro, mentre i più onesti e franchi possono sorprendere l’interlocutore dicendo che quel gruppo lì non l’hanno mai sentito. Ma come, dice il veneto, non conosci i Suicide? Un altro al mio posto avrebbe mentito. Ma cosa vuoi che mi interessi, ho detto poi a Enrica visto che già riteneva discutibile il mio punto di vista su Almodovar che ho liquidato con un che due coglioni. Non potrei sopportare di stare con una che ne sa più di me di musica, ho aggiunto, ma non è stata questa che ha superato il limite. Prima c’era tutto il concerto degli Air e il concentramento di centinaia di quelle ragazze che noi di provincia, quando le vediamo a Milano, ne semplifichiamo l’insieme di appartenenza riconducendole alla moda o ambienti affini. Che poi non è vero, a parte qualche sconfortante caso di cui posso portarvi almeno un paio di esempi di vita vissuta, qualunque ambiente di lavoro un po’ meno tradizionale ne comprende qualche esemplare. Comunque il concerto era tutto un susseguirsi di strumenti elettronici di altri tempi a contraddistinguere questo o quel pezzo, suonati da un pugno di fighetti con il ciuffo biondo o la frangetta e vestiti da Rockets senza il trucco dorato sul corpo e sulla faccia ma con costumi e mantelli che sembravano marziani. Non fraintendetemi, a me è piaciuto molto e la prova è che Moon Safari l’ho consumato a furia di sentirlo e non spenderei tutti quei soldi per un gruppo che non mi piace. Poi l’uso filologico di certi synth e batterie elettroniche, giurerei di aver visto persino una Mattel Synsonics Drums sul palco che quando nell’81 o giù di lì avevo proposto al mio batterista di usarla dal vivo mi aveva preso per il culo perché era considerato un giocattolo. A Enrica dico anche questo, a fine concerto, e per mia fortuna sono un po’ ubriaco così mi accorgo di più di quanto sono presuntuoso. Poi mentre l’amico veneto con l’impermeabile lungo ci riaccompagna verso casa e stiamo discutendo di nomi, ritorno sul concetto che i figli bisogna chiamarli con i nomi dei fratelli Cervi, ed è lì che è chiaro che se mi dici povero tuo figlio che si chiamerà Gelindo non funzionerà mai, undici anni di distanza sono troppissimi ma so che un sacco di over trenta hanno fidanzate che fanno l’università e io mi dico che boh, certo ci sono i pro ma non so se ne valga la pena.

la prima di tutta una serie di vite di corsa

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Finita l’era del collezionismo dei biglietti da visita, d’altronde sono i filtrini per gli spinelli a essere superati, chi ha a che fare con tanti clienti e fornitori o, comunque, quelli come me per cui gli incontri e le riunioni di lavoro sono all’ordine del giorno, insomma quasi tutti stiamo passando alla raccolta dei santini elettronici, meglio noti come foto-tessere da profilo LinkedIn. Ho guglato così anche Lara proprio oggi, ho stampato la sua foto 60 pixel per 60 pixel che è uscita come primo risultato e l’ho incollata nell’album che sono riuscito a mettere insieme da quando mi è venuta questa passione, andando anche a ritroso nella mia carriera professionale.

Ma dare volti ai nomi e viceversa con il caso di Lara non c’entra. L’ho vista la prima volta uscire di casa e finalmente ho capito che abita in quel palazzo tutto a spigoli bianco e azzurro, che fino ad oggi mi ha incuriosito per il tipo di arredamento che uno deve scegliere per vivere in un posto così, ma ora ha assunto tutto un altro significato. Lara è una specie di modella ed è per questo che ho accelerato il passo per capire se fosse la stessa persona con cui avevo avuto a che fare proprio qualche giorno prima. È letteralmente volata con le sue gambe lunghissime – Lara è altissima – dall’ingresso giù nella nella stazione della metro per poi lasciarsi inghiottire da un tornello prima e da un convoglio pochi secondi dopo. Lara poi un giorno mi ha detto che odia farsi vedere in pubblico perché non sopporta attirare gli sguardi delle persone, ed è per questo che quasi corre quando deve andare da un posto all’altro, così ho fatto finta di niente. Ancora meno sopporta di farsi fotografare e mettere la sua faccia su Internet, considerando che lo deve fare per lavoro. Vorrebbe essere una modella e basta ma, per permettersi di diventarlo, per ora fa quel lavoro che la porta a incontrare gente come me in anonime sale riunioni. La foto-tessera di LinkedIn è rara, per quello vale la pena di conservarla in un raccoglitore.

Lara ha una sorta di agente che l’accompagna lungo i canali più facili per avere successo nell’ambiente della moda, uno che ha persino le chiavi dell’appartamento di quel palazzo tutto a spigoli bianco e azzurro in cui vive, ma solo perché ne è l’effettivo affittuario. Mi ha raccontato anche che l’ultima volta è entrato senza nemmeno suonare il campanello, lei si stava tagliando le unghie dei piedi in mutande, con una gamba appoggiata sul lavandino del bagno che è la prima stanza che si vede entrando – e se poi uno tiene la porta aperta – e lui si è persino imbarazzato per la pratica naturale che non si addice a una professione artificiale come quel tipo di bellezza. Lara mi ha quindi chiesto qual è il modo corretto di cambiare le pile al telecomando della sua tv, se il più va con il più o, invece, occorre metterlo a contatto con il suo opposto. Che in effetti ha una sua logica, e mi è venuto persino il dubbio e così ho risposto che se fossi un artificiere con i fili rosso e nero e con la storia della polarità salterei in aria. Ho omesso però la storia dell’archivio fotografico delle persone che incontro per lavoro, non volevo sembrasse una scusa come a chiedere ti va di salire per vedere la mia collezione di foto di account manager.

senza nemmeno porsi il problema dell’arredamento

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Con una mossa da borseggiatore di metropolitana riesco a sfilare un pacchetto rigido di Marlboro Light dalla tasca posteriore dei pantaloni di una ragazza che scende le scale in legno su cui siamo seduti. Non fraintendetemi, non sono certo uno uso a questo genere di approvvigionamenti, semplicemente sono un po’ su di giri per la birra con il succo di non so cosa che servono lì al Mokambo e l’occasione fa l’uomo ladro. Il pacchetto è per tre quarti già fuori, devo solo sollecitarlo blandamente per farlo tutto mio. Per non parlare del fatto che poi, dentro, di sigarette ce ne solo soltanto cinque. Ale sembra molto soddisfatta da quel colpo di genio, anni di emancipazione non hanno soffocato l’attrattiva della rudezza tutta maschile di una bravata come quella e il fascino della trasgressione che suscita il delinquere in sé. Se il furto con destrezza finisce bene, il ranking dell’autore sale, soprattutto potenziato dall’alone romantico del contesto, una birreria nella tarda sera di un giorno feriale gremita di gioventù poco avvezza alle regole sociali. Al contrario, se si viene colti in fallo, la figura di merda è epocale, potenziata dallo squallore del contesto, una birreria di provincia in un giorno feriale, gremita di ex ragazzi votati al fallimento esistenziale.

Ma Ale e io no. Figuriamoci. In quel momento lì stiamo addirittura fantasticando di andare a vivere insieme anche se ci frequentiamo in quel senso che sapete anche voi da poco più di due mesi. Ma è in quella fase che si fanno i progetti più grandi di tutti, no? Andare a vivere insieme non si sa bene come, con i nostri due lavori di anticamera al futuro, barista notturna lei e musicista dove capita io. Ma l’argomento è di quelli su cui si può andare a parlare avanti per ore, seduti sulle scale di legno perché il posto è pieno così, a fumare sigarette rubate e a bere boccali di birra con il succo di non so cosa. Se c’è un’entità soprannaturale che viene in soccorso dei giovani innamorati dovrebbe privilegiare i candidati all’intimità come noi, mica come Chicco e Ricky che vedono topaie del centro storico e stanno valutando quella che costa meno in affitto ma per portarsi a casa le tipe come la Chiara e la Ste e fare le cose in gruppo, alla faccia del padrone di casa che nel suo dialetto di non so bene dove gli dice che in quei locali è vietato ficare. Un verbo che preclude un qualsiasi approccio maschile a un ménage omosessuale.

Comunque per dimostrare ad Ale che la cosa può funzionare il giorno dopo chiamo il papà di Massimo per chiedergli se quella specie di monolocale al primo piano che aveva affittato a suo figlio prima che partisse per l’Inghilterra è disponibile. Un posto buio dalle scale di ingresso impervie con l’accesso su un caratteristico cortile interno in cui si raccoglie l’acqua piovana. Il proprietario mi conferma quello che pensavo, un appartamentino così esclusivo non può rimanere sfitto per molto, infatti è già occupato. Il costo comunque è molto di più di quanto Ale e io ci possiamo permettere. Quando la metto al corrente della cosa, al telefono, la sento piacevolmente sorpresa del mio tentativo. Credeva che io la sera prima ne avessi parlato solo così, un argomento qualsiasi tra una birra e l’altra, e mi chiede se davvero ne sono convinto perché così si dà da fare anche lei per trovare una soluzione.