cinquanta sfumature di bianco e nero

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“Non ricordo quale animale in natura veda in bianco e nero”, è la domanda senza punto interrogativo di Linda dopo che ha constatato che il Brionvega portatile arancione rotto in vendita a settanta euro nella bottega di modernariato del centro non è proprio un affare. Non volevo abbatterle il morale suggerendo che comunque, con il digitale terrestre, un apparecchio televisivo come quello non servirebbe a nulla se non come componente di arredo.
“Che senso avrebbe seguire le tue serie americane su uno schermo così ridotto e per di più in scala di grigio?”, le chiedo. Ma per infierire, considerando poi come è andata a finire, avrei potuto aggiungere che, se proprio ci tiene, è facile cambiare le impostazioni della tv togliendo i colori. Basta smanettare un po’ con i pulsanti del telecomando. “Ma non è la stessa cosa”, ecco la sua risposta mentre pensa che gli uomini sono proprio tutti uguali, hanno il materialismo che gli occulta i sensi e vedono tutto misurabile nemmeno la vita fosse un libro di esercizi di geometria.

Non c’è stato il tempo di motivare del tutto il mio scetticismo sugli elettrodomestici vintage che hanno avuto un senso solo fino a Windows 98. Il frigo bombato con il maniglione, lo spremiagrumi Atlantic, la Polaroid. Quante ne so. Linda però ha dato un taglio con la persone pedanti, me compreso, ed è un peccato non aver potuto condividere tutte le mie teorie a partire dal fatto che il colore nella tv è stato un bisogno da soddisfare ancora una volta economicamente. Vorrei che mi avesse seguito a casa di zia Pina a seguire le partite della Nazionale alle qualificazioni ai mondiali argentini del 78. La maglia azzurra sul campo verde lasciava una scia colorata che se l’avessero vista i grillisti avrebbero subito accusato la RAI di usare espedienti chimici per lobotomizzare gli spettatori.

Ma né io tantomeno Linda eravamo i protagonisti di un episodio di Quantum Leap. Forse ho abbozzato però in extremis alla nostra conversazione una tesi sulla quale non potrete non darmi ragione. Le nuove generazioni, use al full HD, non capiscono il senso di aver investito in una tecnologia in grado di restituire una realtà in bianco e nero. Non capiscono nemmeno perché si possa essere interessati in una decolorazione delle cose.

Per fortuna di Linda ci ha però interrotto il mio amico che fa il portiere di notte, bianco come lo sfondo di un documento di testo e vestito da operatore cimiteriale. Lui è fissato con una band elettronica in cui ho prestato servizio nell’84 o giù di lì. È riuscito persino a convincere un’etichetta di nerd della musica goth a ristampare l’unica cassetta che si trova in giro e che ogni volta che mi presto a sentirne le tracce digitalizzate su Soundcloud mi vergogno come un ladro. Se ci incontriamo non mi parla d’altro, e se già mi annoio io figuriamoci chi non ha nessuna fiducia nella new wave. Comunque, se vedete in giro Linda, ditele che si dice che i cani, in natura, vedano in bianco e nero. Ma io non ci ho mai creduto, perché mai dovrebbero?

quando sembra che proprio non si possa cancellare

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Se fingi di non ricordarti di una persona quando la incontri a distanza di vent’anni obiettivamente non ci casca nessuno. Le bugie di questo tipo hanno altro che gambe corte. Hanno gambe fiaccate dalla flebite e strette in calze contenitive color carne, e a malapena riescono a muovere un passo, tanto per iniziare. Questo perché si è accorciato tutto e tutto è a portata di mano in questa dimensione che ha Internet come unità di misura, hai voglia a dire che l’universo è in espansione. Potete risparmiarci la scena che non riuscite a collocare persone in situazioni perché si fa fatica rovistare nel passato, un po’ come quando uno è in macchina, deve prendere qualcosa dietro ma ha le cinture e non ci riesce perché non può slacciarle. Possiamo solo simulare l’efficacia di atteggiamenti come questo nella narrativa o al limite raccontare balle a quelli che si bevono ogni cosa. Me, per esempio.

“L’idea mi è venuta l’ultima volta in cui sono stato da Mino per tagliarmi i capelli”, mi dice Bianchi, e se Bianchi lo chiamo per cognome un motivo ci sarà. Io e Bianchi ci conosciamo dalle elementari e Mino è il nostro parrucchiere da allora, anzi lo è stato fino a quando ha chiuso definitivamente bottega. “C’era Morra appena uscito da uno shampoo ma visto al contrario allo specchio, lui che è così asimmetrico, mica l’ho riconosciuto”. Le facce dei clienti uomini in momenti come quelli sono infatti già di per sé irriconoscibili, deformate da occhiaie e pettinature provvisorie utili solo a chi taglia i capelli e si deve concentrare su una porzione di testa ben circoscritta. Quando usavo la riga da una parte, per dire, mi sembrava persino che mi facesse male se Mino mi forzava il ciuffo dal lato opposto, ma onestamente ero più preoccupato che l’essere tutto al contrario potesse diventare una condizione permanente.

Morra – è un nomignolo – dopo il liceo era entrato in Polizia ma prima di indossare la divisa era noto per essere il fornitore di droghe leggere più falso della zona. Bianchi ed io cercavamo di evitarlo già da allora ma più per il suo aspetto repellente che per il suo modo di racimolare soldi per i vizi – avete presente quelli secchi, con la faccia butterata e i riccioli fittissimi che indossano abbigliamento sempre troppo largo? Poi una sera, fuori come non so che cosa, si era divertito a storpiare il mio cognome in modo infantile – eravamo ragazzini. Tutti ridevano e io ero andato su tutte le furie. Un episodio che a Bianchi non risulta nemmeno ma a me si. C’era Morra con la chitarra dodici corde che suonava i pezzi di Vasco degli esordi cambiando le parole e componendo parodie sui difetti altrui.

Bianchi mi dice che stava raccontando a Mino i progressi di sua figlia quando sente la voce di Morra intromettersi nella conversazione. “Allora l’hai trovata una che ti ha scopato”, gli fa. Ora non hanno molta importanza i dettagli su come è finita tra Bianchi e Morra seduti nel negozio di Mino, che tagli hanno deciso di farsi fare e se Mino al termine della prestazione abbia rilasciato a entrambi lo scontrino, anche se sono pronto a scommettere di no. Aggiungo solo che Bianchi assume quell’espressione che gli viene quando deve concentrarsi e che induce a tutti la speranza che abbia capito qualcosa e dice una cosa tipo “Sai che non…” e per fortuna che interviene Mino, è anche il suo ruolo fare da intermediario tra i clienti. “Ma come, non conosci Morra?”. Ecco, allora ci ho provato anch’io con Mario. Malgrado avessi cambiato marciapiede pur di evitarlo, Mario mi ha chiamato e si è sbracciato pure per salutarmi pur avendo con sé la sporta della spesa. Ho stretto gli occhi come a simulare un calo della vista da lontano e Mario, che tutto sommato è sempre stato umile a suo modo e sa di non essere mai stato indispensabile, ha sollevato il collo come a mostrare meglio il capo e ha dichiarato ad alta voce nome e cognome, tanto che a quel punto non ho avuto altra scelta.

grazie per la camicia

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“C’è una rotonda, poco dopo l’uscita dell’autostrada alla porte del paese. Accosti con la macchina e ti avvicinano dei signori anziani”, mi racconta Robi, “che chiedono agli automobilisti se vogliono essere accompagnati dai mobilieri.”
Robi e il suo compagno sono appena andati a vivere da soli, dopo nemmeno due mesi in cui si sono messi insieme. Non c’è niente di cui stupirsi. Ai tempi l’ho fatto anch’io ed è abbastanza naturale se hai più di trent’anni e hai una certa esperienza di come vanno le cose, di chi sono le persone di cui vale la pena, se c’è una fregatura dietro l’angolo, se sai se è una cosa che non durerà o vedi tutti i presupposti per la storia della tua vita.
Robi e il suo compagno non sapevano di questa consuetudine dei pensionati che arrotondano con le percentuali dei produttori che lavorano nel distretto del mobile alle porte di Milano. Una specie di PR che anziché farti entrare in discoteca ti guidano con la loro macchina alla fabbrica per cui prestano quel curioso servizio. Ti indicano persino dove si entra, nel massimo del rispetto del cliente ti fanno passare prima dalla porta d’ingresso. Dentro, si fanno riconoscere dal proprietario o dal primo venditore libero, in modo che non ci siano dubbi su chi abbia condotto lì quel potenziale cliente.
“Ci hanno proposto una copia perfetta del divano di marca che volevamo per il nostro salotto ma a meno della metà del prezzo”.
Chissà se nell’arredamento funziona come per le borse di Luis Vuitton o i giubbotti Moncler, che quando li vedi addosso alle persone che si vede che non se li possono permettere te le immagini in estate sulla spiaggia, a provarsi senza nessun imbarazzo capi invernali malgrado i quaranta gradi all’ombra.
Poi vedo che la Robi indossa una camicia azzurra da uomo, fuori dai jeans e con le maniche ampiamente rimboccate. Dev’essere nella fase in cui ci si mette i vestiti del partner per tenersi addosso un po’ dell’odore della notte appena trascorsa insieme. La Robi prima stava con un altro, una relazione comunque su cui non avrebbe scommesso nessuno e destinata a chiudersi. Il suo nuovo compagno l’ha conosciuto al corso di cucina. Avevano amici comuni aspiranti masterchef con cui organizzavano le pizzate e qualche serata a bere fuori. Poi una domenica mattina una del gruppo ha chiamato prima lei e poi lui per invitarli a un brunch in centro, e non so come ha fatto ma ha intuito dai rumori di fondo simili che avevano dormito insieme. Con una po’ di invidia ha diffuso il pettegolezzo che è arrivato persino all’uomo di allora della Robi, che comunque aveva già i giorni contati nella sua vita anche senza quell’episodio.
Dovrei chiedere a questo punto della conversazione alla Robi, per pura convenzione, quale modello di divano hanno commissionato a quello che definirei un contraffattore, poi però mi viene in mente la mostra fotografica che ho visto ieri sera. Animali e loro dettagli fotogenici, esseri viventi della stessa specie tutti uguali, e mi chiedo come facciano per esempio i fenicotteri a distinguersi tra di loro. E ancora più giù nella catena evolutiva, le mosche, i rettili, i molluschi. Forse però non hanno bisogno di sapere chi sono le altre mosche o gli altri fenicotteri che incontrano, pensano a sopravvivere e riprodursi, e mi chiedo su cosa abbiamo puntato noi del genere umano – al momento della nostra autodeterminazione a esseri evoluti – per distinguerci così dal resto.

non si discute

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Non è che certi gusti facciano orrore in sé. Fanno orrore le persone che dichiarano certi gusti. Ma facciamo un passo indietro. Quello delle cose in comune è uno dei tormentoni nell’ambito dei rapporti interpersonali di maggiore successo. Per valutare il grado di affinità siamo sempre lì a chiedere a chi ci sembra ne possa valere la pena cosa ti piace e cosa no, con l’obiettivo di tessere quella trama su cui poi costruire un percorso biunivoco di vario genere, dalla semplice convivenza forzosa come la vita in un ambiente lavorativo fino a storie importanti scopo matrimonio. E fin qui siamo d’accordo e ci sono persino le eccezioni a conferma di tutto ciò. Gente a cui non daresti due lire che la sa lunga sugli argomenti che ti stanno a cuore e che la pensa proprio tale e quale a te, chi l’avrebbe mai detto. Si tratta però di dati che raccogliamo tramite esperienza diretta e che talvolta a estorcerli si fa pure fatica, magari l’interlocutore è riservato o siamo noi quelli che si fanno i fatti propri e morta lì.

Avete capito dove voglio andare a parare, vero? Oggi l’identikit delle preferenze di una persona lo vedi sui social network perché siamo noi che ci premuriamo di farci riconoscere per i nostri gusti mettendo i like a questo e quello, quando non facciamo coming out direttamente nei nostri post a supporto di qualcuno o qualcosa. Questa, insieme all’ironia su Twitter, sarà una delle principali cause dell’estinzione del genere umano. Quante persone possiamo già scartare a priori curiosando nel loro box dei mi piace sul profilo Facebook, per esempio? E quanto rimaniamo esterrefatti venendo a conoscenza che a tizio piacciono i populo-grillisti, caio va sotto il palco di Biagio Antonacci e sempronio legge Baricco? Quando crollano i miti con cui abbiamo dipinto le persone nella loro rappresentazione ideale di convenienza – convenienza tutta nostra, eh, ci serve come autodifesa e non c’è niente di male a vedere il nostro salvatore nel primo che passa – si sente un rumore di libri, dischi, tessere di partito, strumenti o attrezzi o abbigliamento tecnico a supporto di attività del tempo libero che rovinano in terra e che si ripercuote come un’eco sul nostro umore per un tempo direttamente proporzionale a quanto abbiamo investito emotivamente nel rapporto in questione. Va da sé, spesso basta un clic, si cambia pagina e il peggio è passato.

be’ si è fatto tardi

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Ci vorrebbero le telecamere nascoste dietro gli specchi per registrare le facce che fate quando vi guardate per cercare un cenno di complicità o anche solo di accondiscendenza quando siete un po’ brilli e intorno l’ambiente si rivela ostile, al momento in cui i freni inibitori cadono stemperati dall’alcool. Ci sono alcune situazioni tipo: persone presuntuose nella loro finta semplicità ignorante che non c’è verso di far ragionare, quello che ti fa leggere il suo pezzo uscito sull’house organ parrocchiale zeppo di errori grammaticali che nemmeno alle medie, una bottiglia di vino del duce nella vetrinetta del salotto, qualcuno più ubriaco di te che non si capisce bene quale sia il vero punto di vista tra i numerosi che ha passato in rassegna biascicando. L’unica via di fuga percorribile è ritrovare una faccia conosciuta e rassicurante che poi è solo e sempre la propria, quindi ecco la corsa in bagno e con la scusa di sciacquarvi le mani qualche boccaccia di spregio per la compagnia che vi è toccata ci sta tutta. Vi guardate negli occhi, sollevate le sopracciglia come a dire ma guarda te che branco di stronzi, ma fatemi il piacere. Si tratta comunque di una pratica che è valida con qualunque superficie in grado di essere riflettente, dagli elettrodomestici in acciaio in voga di questi tempi in cui arreda qualunque cosa fino alle maniglie lucide degli infissi, il bicchiere mezzo vuoto di superalcolico e il cucchiaio, dove non finiremo mai di stupirci di vederci sottosopra. A volte la tiriamo pure per le lunghe e scorgiamo nelle nostre immagini riflesse tutti quelli a cui somigliamo. Io sono una copia sputata di mio papà, soprattutto quando non ne posso più e ho quella faccia che faceva sempre lui, apparentemente lieto di essere in compagnia ma con quel taglio dell’occhio che era come se dicesse che non vedeva l’ora di congedarsi dalla casa in cui era ospite, o di congedare i parenti e gli amici in visita, per mettersi i vestiti da casa e sedersi nella sua poltrona. Ecco, vedo questa smania di accomiatarmi quando mi osservo il viso di nascosto e mi scappa da ridere, peccato che non sia davvero mio padre quello dall’altra parte perché sicuramente rideremmo insieme, senza rivelare a nessuno il motivo.

dopo ore di discussione con chi non capisce un cazzo mi manca l’ossigeno

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E considerate che a distanza di poche ore me la sono presa con mia figlia per l’uso inappropriato di Whatsapp in quanto generatore di equivoci emotivi legati alle conversazioni e poi ho ribadito con me stesso l’inutilità di certe discussioni condotte di persona che, per lo meno, se portate avanti tramite chat possono essere interrotte a piacimento tanto nessuno ci vede. Così ho pensato se sia meglio esprimersi a cuoricini e ad abbreviazioni lungo dialoghi tenuti in essere solo in quanto basati sul mezzo che, alla fine, diventa il fine in sé piuttosto che sostenere punti di vista con gente talmente ottusa e ignorante che non riconosce non dico l’autorevolezza ma almeno la buona educazione di considerare punti di vista diversi come più appropriati all’argomento in questione. Il problema è vecchio quanto il genere umano: è possibile convincere qualcuno di qualcosa? Siete mai riusciti a far cambiare idea a qualcuno e non solo per il tempo necessario a finire il whisky nel bicchiere ma per sempre. Io non l’ho mai provata, ma sono certo che si tratti di una soddisfazione molto più piacevole di record battuti, prime posizioni conquistate, opere d’arte riuscite e persino orgasmi raggiunti. A me va in pappa il cervello se alla quarta volta che ti dico quello che penso io tu mi rispondi con quello che pensi tu senza dimostrare minimamente di aver compiuto un passo in avanti verso la mia posizione. Così, mentre mi spieghi la tua opinione, a quel punto io penso ad altro e cerco di ripassare a mente le note del tema di questo pezzo qui che erano anni, se non decenni, che non mi saliva nella sfera delle reminiscenze sonore dell’infanzia, quando bastava un suono di sintetizzatore per mandarmi al settimo cielo. Di questo pezzo conservo ancora il 45 giri con la copertina con il teschio, e ora me lo riascolto quindi voi che non la pensate come me e non siete per nulla disponibili a cedere sulle vostre posizioni potete chiudere la pagina del browser e andare a fare un giro da animi più condiscendenti del mio.

da accettare con riserva

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Ho ben presente quella cosa della mobilità sociale secondo cui le persone di umili origini riescono o meno a integrarsi in ambienti più abbienti, come il mito dei figli degli operai che diventano ingegneri e che hanno figli che a loro volta non trovano lavoro perché a causa dell’agio in cui sono cresciuti e dell’emancipazione dalla schiavitù culturale della fatica a cui sono stati educati hanno studiato materie inutili e sono destinati a tornare tra le fila degli ambienti umili e così via. Io sono un fermo sostenitore del contrario, ovvero della immobilità sociale, soprattutto in questo periodo storico in cui i soldi sono finiti. Allo stesso modo il mondo è pieno di esempi in cui i figli sono destinati alla realizzazione di sé o meno a seconda di quella sorta di imprinting che hanno ricevuto in famiglia, e che nel caso negativo in cui l’attitudine a vivere un po’ dietro le quinte se non tra gli spettatori rientra quasi nella casistica delle maledizioni. I nostri ragazzi spesso imparano a farsi valere nella vita da come vedono comportarsi i loro genitori, un vero e proprio approccio sociale che si manifesta anche nelle piccole cose come quelli che nelle foto di gruppo si mettono in seconda fila o, quando osano in protagonismo, vengono coperti dalla mano di qualcuno o da un inspiegabile alone scuro. Persone che saranno raramente interpellate perché il resto del mondo avrà frainteso il loro impegno a non disturbare come una volontà di lasciare spazio a chi del disturbo ha fatto la sua matrice operativa. Poi c’è invece chi si impegna a insegnare ai propri piccoli a comportarsi al contrario dei genitori secondo la volontà stessa di alleviare certe sofferenze nei figli, ma io vi avverto che raramente si raggiunge l’obiettivo. Il carisma, chiamiamolo così, quel fattore che ti colora la pelle di un inchiostro evidenziatore e che ti permette di essere scelto, ascoltato, compreso, che ti fa arrivare in pole position, che conquista le simpatie di professori e compagni di scuola, che ti fa crescere curioso perché il mondo è più propenso ad aprirti le porte, ecco quella cosa lì che non saprei come definire è uno di quei vermicelli che si vedono nelle rappresentazioni del DNA, un elemento del codice genetico sul quale purtroppo c’è ben poca sperimentazione ingegneristica possibile.

aneddoti vissuti in anteprima per voi

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Potreste, come me, occuparvi di prove prodotto e test, farvi cioè spedire a casa brandelli di esistenze e conversazioni altrui, sperimentarle sulla vostra pelle e poi scrivere sul vostro blog le recensioni. Nel migliore dei casi riuscireste a tirare su qualche soldino, nel medio vi restano appiccicati gli stati d’animo e vi fate carico di dolori e gioie altrui, nel peggiore rischiate di uscire fuori tema, i lettori vi sgamano subito, i committenti vi querelano perché avete male interpretato la loro privacy e la vostra web reputation finisce peggio di un vegano complottista animalista pentastellare qualunque. Che poi vedete, oggi le cinque stelle non si possono nemmeno più usare come massimo del punteggio da attribuire a qualcosa di veramente figo. Volevo assegnarle a chi le soddisfazioni proprio non sa più dove stanno di casa, lo so che è una sensazione comune nella società contemporanea ma non è colpa nostra se abbiamo così tanto tempo da dedicare a noi stessi che la nomea di animali sociali ormai non ce la dà più nessuno, nemmeno i nostri gatti perché il fatto che postiamo di continuo le loro foto filtrate da effetti vintage è per puro egoismo, per vantarci del nostro ego riflesso sui felini, mica per affetto disinteressato. La mancanza di soddisfazione dev’essere una specie di male del secolo perché ha annichilito persino le tradizionali forme complementari di appagamento del sé, intendo cose come la letteratura, la musica o la contemplazione dell’arte in genere prima dell’era della de-materializzazione. Qualcuno di voi potrebbe obiettare che è vero ma che tutto sommato sopravvive l’amore, ma preferisco non entrare nel merito perché secondo me, se ci pensate bene, si tratta di una teoria che fa acqua da tutte le parti. Oggi ho visto una donna visibilmente provata asciugarsi più volte le lacrime in solitudine, quindi indossare le cuffie dell’iPod e, appena partita la canzone selezionata per la funzione consolatoria, socchiudere gli occhi ed emettere un profondo sospiro. Ecco, avrei voluto farmi raccontare di più sulla sua vita, ma avevo paura di interromperla in quel fragile equilibrio di estasi. Non posso quindi dire la mia su questo episodio, non ho abbastanza elementi. Mi permetto allora un commento molto superficiale solo su chi mi ha scritto che ci mancano, a essere ottimisti, una cinquantina di natali circa prima di archiviare l’intera esperienza dalla parte dei vivi. Un’ottima intuizione, caro mio, ma non mi interesso di cose che non sono mai esistite, come quello che ci manca perché lo troveremo nel tempo a seguire. Preferisco ripercorrere a memoria quei quarantotto che sono sicuro di avere interpretato al meglio di me, e se qualcuno di voi se la sente posso anche concedergli l’esclusiva per testarli come si deve a patto che poi mi racconti tutto nei minimi dettagli.

l’annuario delle piccole storie d’amore che poi non lo sono mai state

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Tutti sembrano giustamente presi dalle proprie e altrui tragedie sentimentali, e ci mancherebbe che le storie che si chiudono o i partner di una vita che prendono il volo non debbano avere il diritto di occupazione, per meritata gravità, dei grandi spazi emotivi, artistici, letterari privati e pubblici e in alcuni atroci casi anche della cronaca. Così ho pensato che sarebbe però corretto ritagliare un angolino per le piccole delusioni amorose, gli episodi che non spezzano il cuore delle persone ma che, anche se lo scalfiscono perché la cosa è agli inizi o non c’è nemmeno una relazione sancita dalle parti ma solo un po’ di flirt o ancora meno, ti piace una e la vedi con un altro o scopri che ascolta Biagio Antonacci o che vota Grillo, per dire, ecco sono impercettibili ostacoli alla felicità che magari si stemperano nel giro di qualche giorno grazie all’amor proprio, però poi uno si può anche chiedere dove vadano effettivamente ad esaurirsi tali velleità, se ci sia o no in poche parole un cimitero delle infatuazioni temporanee. Dove vengono fatte brillare tutte queste cariche esplosive, ma giusto per una procedura fin troppo esagerata, trattandosi di ordigni a salve. Quelle volte in cui è successo che sembrava che… e invece poi niente. Quando si usavano le agende di carta, ed era un regalo natalizio piuttosto diffuso, più o meno in questo periodo si poneva l’annoso problema di copiare indirizzi e numeri di telefono su quella nuova. L’abbiamo fatto tutti, no? Ecco, molta di quella potenziale energia rimaneva lì, annidata nei contatti che non venivano trasferiti nell’anno successivo perché inutili, superati, sorpassati. Il registro degli innamoramenti con riserva veniva aggiornato proprio al netto della realtà dei fatti. Magari si trattava solo di un paio di voci, a volte una manciata, in ogni caso un sistema di fare bilanci su quanto ci eravamo spesi e quanto, l’anno successivo, ci saremmo comportati esattamente allo stesso modo.

la domenica sportiva: i risultati

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Leggevo l’articolo sulla nuova campionessa di commiato ad ostacoli e pensavo che avere in casa un’atleta di questo calibro non significa non riuscire a dare il meglio di sé in trasferta. In realtà il nuovo record stagionale di commiato ad ostacoli è stato stabilito proprio grazie alla prestazione decisiva in occasione di una visita pre-natalizia a parenti. Quasi otto minuti di resistenza pura tra il “be’ si è fatto tardi” con cui l’atleta ha sancito la volontà di accomiatarsi e la chiusura dell’uscio dell’appartamento in cui si è tenuto l’incontro. In questo lasso di tempo il resto della squadra era già pronto con loden e sciarpe invernali, distribuito in piedi tra salotto e corridoio in condizioni climatiche proibitive, termosifoni a manetta e odore di minestrone e verdure bollite proveniente dalla cucina. La cronaca delle fasi finali esalta al massimo l’evento sportivo. L’atleta che avvia l’incontro di commiato ad ostacoli salutando uno per uno i parenti per poi ricordarsi di aver portato qualcosa per il padrone di casa che si era dimenticata di consegnargli all’inizio della visita, a cui è seguita una rapida sintesi dei programmi per la settimana di entrambi e il commento sull’ultima iniziativa culturale del centro comunale. Tutti argomenti che potevano essere perfettamente toccati nel corso dei tempi regolamentari ma che, grazie a questo guizzo in extremis, hanno consentito la prodezza agonistica. Assolutamente da manuale, infine, l’ultima realizzazione proprio sulla porta, con uno scambio di consigli di lettura che ha anche previsto un percorso a ritroso verso gli scaffali ubicati nell’ingresso, il ricorso a uno sgabello per la salita all’ultimo ripiano e qualche aneddoto sulla storia del romanzo in oggetto. In questo frangente, il resto della squadra ha tenuto duro pur mostrando evidenti segni di surriscaldamento, la fronte imperlata e l’alone sotto le ascelle della camicia mostrato orgogliosamente dal capitano. Il resto è storia: l’ultimo slancio, i cartoni della pizza da buttare nella riciclata come cortesia distribuiti tra i vari ruoli, l’ultimo saluto sul pianerottolo e quindi la fine della gara. La porta di casa chiusa sul team che ha potuto celebrare la vittoria da record negli spogliatoi. Una prodezza per quello che si conferma come uno dei più promettenti sport locali, ma siamo sicuri che il commiato ad ostacoli ci darà grandi soddisfazioni anche alla prossima competizione mondiale.