lo spartiacque tra la bestia e il genere umano

Standard

Prima di conoscere te non usavo nemmeno il dopobarba. Prima di conoscere te mi facevo di certe insalatone ignoranti con qualsiasi cosa trovassi nel frigo, potevo cenare anche solo con pomodorini interi e se mi chiedevi un risotto facevo bollire il riso, separatamente preparavo il condimento e poi mescolavo il pastone nella pentola, ho amici che seguono questa procedura per preparare il cibo per i cani. Prima di conoscere te ero un cliente fisso di pizzerie infrasettimanali e di lavanderie a gettoni, non avevo nemmeno una camicia quindi, in fondo, non c’era nemmeno tutto ‘sto bisogno di stirare la roba. Prima di conoscere te dormivo su un materasso gettato per terra e e avevo mobili che acquistavo al mercatino dell’usato dove costava di più il trasporto che il mobile in sé. Persino l’abominevole uomo dell’affitto, quello che il primo mese mi aveva dato un numero di conto sbagliato su cui versargli la mensilità, in casa mia per una riparazione sul tetto, tra una puntata e l’altra in bagno per via della sua prostata mi aveva detto ma perché non ti sposi mentre stavo imparando a fare siti Internet con un corso in otto lezioni su cd-rom. Prima di conoscere te stavo per partire con l’Eurolines per andare in Portogallo. Arrivavo a casa la sera, accendevo il modem analogico e divorando confezioni di biscotti per cena cercavo informazioni tramite Altavista o Lycos, creavo itinerari, confrontavo tariffe e opzioni di viaggio. Prima di conoscere te trascorrevo la domenica pomeriggio al Porto Antico a leggere, bene o male sulla stessa panchina, poi entravo in quel negozio di dischi che ora non c’è più e spendevo parte della mia quota settimanale dedicata alla musica. Prima di conoscere te raramente iniziavo la giornata senza focaccia e cappuccino in quel chiosco di fronte alla stazione Principe, all’alba prima di prendere il treno per Milano, insieme ai reduci della notte all’addiaccio già al terzo o quarto bicchiere di vino bianco dozzinale. Prima di conoscere te non usavo nemmeno l’accappatoio e avevo un’autoclave per la doccia che svegliava tutti e dovevo sempre stare attento all’ora in cui mi lavavo. Prima di conoscere te compravo i libri usati al Libraccio e dopo che ho conosciuto te non ne ho mai acquistato più nemmeno mezzo, tanto è comodo il prestito interbibliotecario. Prima di conoscere te non avevo nemmeno una figlia, se è per questo. Quindi, in generale, posso dire che conoscere te è stata una bella botta di culo.

chiamami se ne hai voglia

Standard

La mattina dopo siamo tutti a osservare appena svegli con la vista annebbiata il dorso della mano per ricordarci dove abbiamo trascorso la sera precedente e basta a volte un simbolo, più che un nome, considerando che se certi posti ti timbrassero la loro ragione sociale arriverebbero all’avambraccio, a mettere in sequenza ogni tassello e ricostruire il passato recente della nostra vita. Ma è l’insolito scoppiettio delle bollicine della pancia che riporta alla realtà. Da qualche parte, in una tasca di quei jeans sgualciti o in qualche anfratto della giacca scamosciata abbandonata chissà dove c’è un biglietto con un numero di telefono, ma chi dice che gli piacerebbe essere chiamato se l’altro ne ha voglia (in questo caso occorre usare il femminile) non intende certo già al prematuro risveglio e solo dopo cinque ore di sonno. O forse sì. Io invece sto per fare così, non lascerei passare nemmeno un istante di più se fossimo in una di quelle commediole romantiche o un libro di quelli di questa generazione o, meglio, in una puntata di Friends, che più pop di così non si potrebbe. Cerco però di perdere qualche minuto ancora perché è troppo presto e ho paura di disturbare, penso così che tra vent’anni, quando in qualche modo sentiremo l’urgenza di raccontare questo genere di cose, ammesso che ci sia un pubblico desideroso di conoscerle, ci chiederemo che senso abbia riferirsi sempre a fatti accaduti almeno vent’anni prima e quanto potrà essere difficile parlare della contemporaneità che ci sarà in quel momento futuro. A chi interesserà sapere di quanto è stato dirompente un album come Badmotorfinger dei Soundgarden quando magari, per interessare a qualcuno, dovremo solo guardarci intorno e interpretare il presente. Una procedura pressoché impossibile: all’istante non è proprio il caso di segnarsi qualche appunto, fare una foto, registrare due parole per poi ricordarsele dopo. Ci vuole tutto il tempo affinché mattine come queste facciano parte della storia di tutti, ciascuno con il proprio vissuto, in un archivio ben organizzato. Ma ora è il momento di trovare il numero di telefono e di vedere cosa succederà, anche se è solo cinque minuti dopo rispetto a prima.

l’amore prima dei tempi della friendzone

Standard

Ho capito che era cambiato qualcosa quando il chitarrista del famoso gruppo che era sul palco ha dato una pennata sulle corde e da lì ho inteso che stavano per suonare l’unico pezzo non scalmanato del loro repertorio, quello che a mettercisi d’impegno potrebbe somigliare anche a una canzone a modo suo d’amore. Mi è venuto naturale afferrare il cellulare che tenevo spento nei tasconi dei pantaloni, accenderlo e comporre il tuo numero, tentare di indovinare quando avresti risposto dall’altro capo e rivolgere il microfono verso la musica, in modo che ti arrivasse chiaro il messaggio che poteva essere sintetizzato con un vorrei che fossi qui e anche se non ci sei c’è questa canzone che mi ricorda di te e altre smancerie varie. Una cosa che avevo visto fare ma con dispositivi meno entry level del mio, tenete conto che eravamo in piena era dei telefonini di prima generazione, quelli con l’antennina da sollevare per capirci e che a portarli in giro non sapevi dove metterli quasi quanto, anni prima, si tenevano al guinzaglio le autoradio. Tanto che poi, dopo il primo ritornello, per non spendere un botto ho interrotto la chiamata senza dire una parola, e il giorno dopo mi hai richiamato chiedendomi se fosse successo qualcosa di grave la sera prima, se avevo avuto qualche problema, considerando che avevi ricevuto una chiamata da me sul tardi ma non si capiva nulla, c’era un casino infernale. O forse era un bluff, avevi capito che canzone fosse ma, considerando la situazione che anni dopo si sarebbe chiamata di friendzone, era più conveniente fare la gnorri. Allora ricordo di averti raccontato che no, probabilmente era partita una chiamata, e che la serata era stata perfetta. Nemmeno un pezzo lento, nemmeno una canzone sdolcinata, solo ritmo ed esperienze forti e sudore. D’altronde mi conoscevi bene: alla fine dei concerti uscivo dalla folla sempre fradicio e difficilmente, comunque, mi avresti potuto abbracciare.

amici nel momento del bisogno

Standard

Quindi avrete capito anche voi che Stefano passa il tempo con me perché altrimenti starebbe da solo, lo si evince da come me lo fa pesare. Qualsiasi cosa che dico è una cazzata, il posto fa schifo e mi si impregnano i vestiti di puzza di cucina, cambia canzone che questa mi fa cagare, insomma quelle cose lì. Mi ha appena ripreso perché mi sono trovato con le mani incrociate sul volante dopo la curva, dice che è un errore di quelli per cui ti bocciano immediatamente alla scuola guida. In genere non è un problema che sfoghi su di me il fatto che non ha amici.

Mentre guido e continua a rimproverarmi lo guardo con la coda dell’occhio. Stefano è ancora lo stesso della foto di prima media, tale e quale, e non c’entra che i dodicenni del 78 sembrano molto più adulti rispetto ai ragazzini della stessa età che si vedono oggi in giro, anche se è un fenomeno che nessuno riesce a spiegarsi. Dicevo che in genere sono abituato ai suoi modi di fare così respingenti, ma stasera proprio non sono in vena. E anzi sono talmente indispettito che mi viene voglia di attribuirgli tutti i difetti delle persone del mondo, descrivendolo. Persino i miei, anche per capire attraverso la reazione di chi legge se sono comportamenti riprovevoli oppure invece se la gente è disposta a essere indulgente, o per lo meno a far finta di niente, di fronte a certe cose. Stefano non si passa il filo interdentale. Stefano scrive cose senza capo né coda che è facile poi ritrovare in certi romanzi di narrativa americana contemporanea. Stefano vorrebbe cambiarsi i suoi piedi, tanto li detesta: ne hanno sempre una e non gli danno i risultati che lui vorrebbe, poi però quando ha sentito un amico raccontare di quello che voleva farsene amputare uno e mettersi una protesi piuttosto che continuare con il fastidio che gli dava ha pensato che, tutto sommato, possono convivere – lui con i suoi piedi – ancora qualche anno. Stefano ha lasciato che una prendesse l’iniziativa giusto perché alla fine gli piacciono solo le ragazze a cui è sicuro di piacere. Stefano sostiene che gli sceneggiatori dei telefilm che vanno di moda e che durano più stagioni, nel caso in cui qualcuno del cast molli il colpo in corso d’opera, sono costretti a rivedere tutte le conseguenze che il pretesto con cui il personaggio interpretato viene tolto di mezzo può generare ai fini della trama, che è un aspetto decisamente interessante del mestiere di chi lavora per la tv, una sorta di potere divino in grado di cambiare i destini e gli sviluppi della storia, quella con la esse maiuscola. Insomma, ci siamo capiti.

Un ultimo appunto sulle telefonate che intercorrono tra me e Stefano, quando l’uno chiama l’altro per chiedere la reciproca disponibilità, e qui entrambi ci rimettiamo al vostro giudizio. La conversazione si esaurisce in una manciata di secondi, il che dimostra la mia teoria. Le compagnie telefoniche non hanno ancora capito le opportunità di guadagno della differenziazione dei contratti a seconda se il cliente è uomo o donna. Nel primo caso io farei pagare salatissimo lo scatto alla risposta e il primo minuto della chiamata, una durata che nessun essere umano di sesso maschile oltrepassa. Al contrario, le tariffe del traffico femminile conviene impostarle sulla lunghezza delle conversazioni. Se un giorno tale modello di business sarà applicato, sapete chi ha avuto l’idea per primo.

storia di un’impiegata

Standard

L’impiegata allo sportello e io siamo al limite del flirt mentre ai due lati opposti del suo laptop stiamo ingannando l’attesa mettendo insieme una lista delle canzoni più adatte da ascoltare quando ti svegli e piove e vivi in una civiltà sufficientemente evoluta in cui non sei tenuto ad essere produttivo se fuori c’è brutto tempo. Le casse del computer non sono granché e in più poco dietro, accampata sui divanetti sfondati della reception – le cinquanta sfumature di tagli alla pubblica amministrazione si vedono anche da questi apparentemente piccoli dettagli – una famiglia è in attesa del proprio turno ma uno dei figli riesce a esprimersi solo attraverso versi che rientrano nella categoria dei muggiti e qui, io e lei così vicini al pc, sembra aumentare il grado di intimità. Non è facile decidere una playlist del genere, le faccio presente dall’alto della mia competenza in materia, perché cadere nelle solite lagne malinconiche trite e ritrite è facile. Faccio di tutto per riportare alla memoria condivisa anni di ascolti crepuscolari con la perfezione filologica che mi contraddistingue, talvolta lasciando persino sgomenta la coautrice di quella compilation improvvisata. D’altronde è un classico. Si cerca di colmare lo svantaggio della differenza di età con il bluff che ne sai più di chi è più giovane ma è una amara consolazione e lo sanno tutti. La cosa però sembra andare per le lunghe. Il suo collega sembra metterci più del tempo necessario a trovare il mio libro nel magazzino. La colpa è solo mia: proprio stamattina in cui devo trascorrere quasi due ore di viaggio in treno per lavoro mi sono dimenticato il romanzo che sto leggendo sul comodino, e per fortuna che tra i servizi che sono rimasti dopo lo scempio che è stato fatto dello stato assistenzialista è rimasto questo. Se hai lasciato qualcosa di estremamente importante a casa vai all’ufficio “Oggetti Remoti” e loro te lo recuperano nel formato originale e in tempo reale. Non chiedetemi come sia possibile, questo è un racconto di fantasia e non sono certo tenuto a spiegarlo a voi. C’è proprio la sede di quartiere a un paio di isolati dalla stazione, e considerata la gravità del caso è giusto approfittarsene. E poi lasciatemelo dire: pago le tasse alla fonte in quanto lavoratore dipendente e, come dice un certo elettorato presuntuoso e grillista, gli impiegati pubblici sono al mio servizio. Vedete la famiglia rumorosa qui dietro alle mie spalle? Loro hanno una visita ortopedica per il figlio che muggisce, ma hanno scordato le lastre al piede nello zaino del papà, nel suo ufficio. Era o no l’unica cosa a cui pensare prima di recarsi all’appuntamento? Lo so perché per loro la procedura è un po’ più lunga, ci sono tutte le menate della privacy in ambito ospedaliero e sanitario, ed è per questo che il ragazzino che chissà di quali problemi soffre si sta innervosendo, e io con lui. La storia finisce qui. Il commesso riemerge con il mio libro così firmo la ricevuta e mi accomiato dall’impiegata il più in fretta possibile per evitare di dare adito a qualunque equivoco di interesse nei suoi confronti. Mi vedo già: io e lei seduti in un bar a bere qualcosa e a non guardarci negli occhi, con lei che si vede che è lì controvoglia ma non sa spiegarsi perché ha accettato l’invito.

la vita on demand, ecco gli operatori più convenienti

Standard

Quante sono le cose che durano ventiquattr’ore a partire da certi abbonamenti a servizi virtuali, pensate al wireless in alcune strutture turistiche ma anche i biglietti giornalieri per i mezzi pubblici, d’altronde lo dice il nome stesso. Le più belle cose vivono solo un giorno, come le rose, e non sono certo io il primo a dirlo. Il sabato e la domenica durano così sulla carta, poi però al lunedì ti rendi conto di essere stato fregato, c’è sempre qualche ora marcia come quando compri la frutta e ti mettono i pezzi peggiori di cui si vogliono disfare in fondo, nel sacchetto di carta. Questo perché in realtà il tempo dovrebbe a consumo come alcuni servizi che oggi stanno avendo un vero e proprio successo commerciale. L’assicurazione, per esempio. Perché pagare un prezzo annuale quando guidiamo solo due o tre ore a settimana. Prendi la macchina per una gitarella fuori porta che è una bella giornata e l’assicurazione si attiva nel momento in cui schiacci il pulsante di apertura elettronica sulla chiave. Il costo ti viene automaticamente addebitato sulla carta di credito e ci si possono inventare millemila prodotti accessori a seconda se usi l’auto poco o tanto, tipo i km accumulati e a fine anno hai degli sconti o buoni benzina. Ecco, la vita dovrebbe essere più o meno così. Ci sono un sacco di episodi in cui il tempo che passi è sprecato, certo è difficile dirlo a priori ma con un po’ di esperienza le “sòle” le riconosci da come ti si presentano. Sai già in partenza se un’occasione è sprecata e così non attivi questa specie di telepass esistenziale. Pensate a quanto dureremmo con una modalità in questi termini. Ci sono cose, per esempio, che facciamo per amore e chi se ne importa se buttiamo via del tempo. Ami una persona e stai lì a osservarla anche quanto compila il 730 e tu non te la senti di allontanarti perché comunque il fatto solo di rimanere vicino vale il credito che si consuma. Anzi, quello che provi è una sorta di servizio aggiuntivo grazie al quale la vita non costa nulla. Il rovescio di questa medaglia è che i secondi, quando l’amore va in rosso, costano un botto, come le telefonate ai cellulari che faccio dal fisso con Fastweb. Anche solo una conversazione di circostanza, quelle che si hanno quando si ha più poco da dire, e solo lo scatto alla risposta ti toglie interi pomeriggi di futuro.

potrei essere tuo padre

Standard

Questa cosa per cui ci sono persone adulte che hanno venti o venticinque anni in meno di me non finirà mai di stupirmi ma mi dicono che è bene abituarcisi perché si tratta di una tendenza e una casistica destinata a crescere. Com’è possibile essere nati nel 1986 magari mentre sostenevo l’orale dell’esame di maturità con la mia cresta post punk e i miei scarponi da pogo? E davvero mentre Cobain faceva quello che ha fatto c’era un’intera generazione di bimbi che frequentava le scuole elementari per cui oggi, a trent’anni suonati, il grunge fa parte della loro esperienza acquisita di rimando grazie alle fonti dirette e indirette? Questa è bella. Sono sempre più numerose le avvisaglie che collocano quelli con la data di nascita contigua alla mia e, ovviamente il sottoscritto, tra i più vecchi nelle occasioni sociali. Se poi ci mettete il fatto che fare i figli tardi non giova in questo processo – i genitori dei compagni di classe o di squadra di mia figlia quando sono coetanei di mia moglie e miei hanno già figli maggiori ventenni – si chiude il cerchio e ci si proietta lungo una strada di confronti con il prossimo piuttosto difficili. Se avete meno di trentacinque anni non venite a dirmi che con quelli come noi vi trovate a vostro agio perché non ci credo. In realtà dovrebbe funzionare diversamente. Ogni generazione dovrebbe distare da quella successiva di almeno mezzo secolo, giusto il tempo per consentire ai giovani di accudire i vecchi decrepiti e accompagnarli degnamente all’aldilà non prima di essersi fatti trasferire tutto lo scibile umano. Un sistema che servirebbe per ridurre drasticamente la popolazione e consentirebbe una migliore gestione delle risorse nel pianeta. Quindi noi quasi cinquantenni con figli neonati i quali aspetteranno altrettanto prima di riprodursi nella nuova generazione. Ciò consentirebbe di evitare inutili frammentazioni socio-culturali, pericolose mescolanze tra grandi e giovani e metterebbe un po’ di ordine nelle cose.

attiro deficienti since 1967

Standard

Metto le mani avanti dimostrando la tesi insita nel titolo con la saggezza popolare che sostiene da sempre che chi si somiglia si piglia quindi il problema è tutto nostro, e i deficienti non hanno nessuna colpa a parte esserlo. Ma ciascuno di noi dovrebbe prima o poi pubblicare la propria lista facendo nomi e cognomi perché è solo così che l’Internet può essere utile. Come quando devi comprare la lavastoviglie nuova e vai a leggere le recensioni di Amazon. Certo, bisogno fidarsi della gente, e per questo so che anche voi non siete il miglior esempio di stima nel prossimo che vi circonda. Così prima di far affidamento su qualcuno dovrebbe essere possibile consultare questa sorta di LinkedIn in abiti civili, dove ci sono le raccomandazioni ma al contrario e ti puoi fare un’idea se uno è deficiente o meno a seconda di quello che dice l’opinione pubblica e decidere quindi se dargli corda oppure no. Pensate a alla vostra vita e a quante volte uno strumento simile sarebbe potuto esservi utile nella scelta delle amicizie, nella valutazione degli insegnanti della scuola al momento di scegliere quale sezione chiedere per vostra figlia, se l’avvocato di cui avete obbligatoriamente necessità è quello giusto. E ancora allenatori di pallavolo per squadre dilettantistiche, freelance da ingaggiare per portare a termine un lavoro, idraulici in pensione che li paghi comunque cari e non hanno nessun rispetto per i mobili di design, batteristi con accento brianzolo, persino geometri che si prestano a svolgere l’attività di intermediatori immobiliari. E ancora semplici conoscenti con cui fare qualche chiacchiera sui socialcosi, medici di base che svolgono privatamente cure alternative dal nome esotico, persone contattate a caso tramite annunci per la compravendita di automobili usate, tutta l’esercito dei parenti acquisiti che quelli purtroppo te li ritrovi ai pranzi di natale senza nemmeno averne richiesto la presenza, e qui so che si potrebbe aprire uno spin-off con una lista di cognati (non mi riferisco a te, caro Ven) con cui si potrebbe metter su una squadra di calcetto. Locatori di appartamenti nel centro storico di Genova, impiegate amministrative che cliccano su qualunque minchiata gli arrivi via e-mail, entusiasti della tecnologia che ascoltano suonerie in pubblico, pedoni casuali a cui chiedere informazioni, sedicenti disk-jokey e tanti, tanti elettori dei cinque stelle. Personale volontario di strutture di ricovero per animali randagi, moltissimi genitori dei compagni di classe dei figli, operatori di call center dei quali però è difficile sapere il nome, nessuno si presenta per filo e per segno quando richiedi assistenza. A quasi cinquant’anni posso affermare con assoluta certezza che attiro deficienti con una infallibilità che ha del miracoloso. E se anche voi attirate deficienti anche nella scelta dei blog da seguire e, quindi, alla fine succede a tutti e non si salva nessuno, facciamoci un esame di coscienza perché probabilmente c’è qualcosa che non va.

fatti l’uno per l’altro

Standard

Molti di noi non si pongono il problema che l’approccio debba essere paritario sottovalutando una legge naturale che, come per lo sport, vale anche per i flirt. Ci sono gli outsider, può essere una giornata storta, ma nella maggior parte dei casi se sei una squadra scarsa e incontri la capolista perdi, corretto? Invece i luoghi pubblici che incoraggiano l’indole sociale del genere umano e la sottocategoria comportamentale del “provarci” pullulano di involontari tentativi di mancato riconoscimento dell’autorità estetico/contenutistica altrui, generando negli astanti il desiderio di seguire fino in fondo approcci e conversazioni per comprendere fino a dove riesca a spingersi, talvolta, l’ardimento delle persone comuni.

A chi non verrebbe voglia di stroncare sul nascere queste inutili esercitazioni di stile sentimentale e rimettere le cose a posto? Ciascuno con un avversario della sua categoria, al massimo si può definire una forbice di scarto, e questo vale sia per l’oggettiva avvenenza di chi si cimenta nell’abbordaggio che per l’effettiva capacità di condurre confronti sugli argomenti scelti al momento dell’azione. Chiaro che nel primo caso, per chi lancia la sfida, è palese l’eventuale gap prestazionale, ma spesso non ci rendiamo conto dei nostri limiti oppure anni di esposizione mediatica indiscriminata hanno falsato la percezione della realtà distorcendola verso un illusorio senso di onnipotenza.

Al contrario, riguardo il modo in cui pensiamo di colpire l’attenzione di colui/colei che vorremmo diventasse un futuro partner (di corta, media o anche lunga durata) non sempre è facile un pronostico fino a quando l’interlocutore non rilascia una risposta. Gradevoli persone che si esprimono come il peggiore dei portuali o, al contrario, personalità eclettiche nascoste dietro comportamenti ordinari. Cose di cui, senza provarci, non ne verremmo mai a conoscenza. Sta a noi sfruttare ogni spunto “in chiaro” per raggiungere i nostri obiettivi, altrimenti, come spesso accade, si va alla cieca con risultati disarmanti.

Per questo occorre una nuova figura di facilitatore di avance, una sorta di mediatore relazionale che dall’alto della sua approfondita conoscenza maturata in anni di frequentazioni sociali (e assolutamente disinteressato e imparziale) sia in grado di intervenire per evitare match sconvenienti se non impossibili e alleviare le frustrazioni a buoni o poco adeguati partiti di ogni sesso, razza, religione ed estrazione sociale. Un arbitro, ecco, un direttore di gioco che munito di fischietto e cartellini di ammonimento si muova lungo locali di intrattenimento, luoghi di vacanza, mezzi pubblici e quant’altro impedendo lo spreco di tempo ed energie nell’approccio indiscutibilmente fallimentare. Che ciascuno scelga un partner alla sua altezza, per il bene dell’umanità.

da noi si chiama il merendino, forse è per questo che ci vergogniamo ad ammettere che tutto sommato è divertente

Standard

Quali gesta potremo mai raccontare un domani per fare colpo con il nostro ardimento? Una volta sono riuscito a farmi inviare la password di Gmail pur non ricordandomi le domande di riserva. Mi è stata verificata l’identità sul mio profilo Facebook pur usando un nome e cognome di fantasia. Ho piazzato una foto porno gay sulla homepage del sito di Casa Pound. Un mio tweet è stato inserito nella top 10 di Gazebo. Ecco, tutte le sceneggiature di uomo e donna davanti a un falò con sfondo di natura incontaminata se non dalla casa che presto li accoglierà per una consumazione sentimentale lunga il tempo di un taglio sul più bello – i tempi cinematografici sono tiranni – saranno dure da arricchire con dialoghi che mettono in mostra la dote del coraggio se non ci decidiamo a spegnere il pc e farci una vita anche fuori dall’Internet. D’altronde uscire di casa è un passatempo che sembra non fare più gola a nessuno, complice il fatto che di soldi da spendere non ce ne sono più molti. Perché vedersi per un aperitivo al bar quando a casa posso accompagnarlo con tutte le porcherie che voglio e non devo subire la vergogna di riempirmi il piattino fino allo sfinimento? Cosa e chi ci sarà di così interessante da vedere là fuori? Il problema è se sappiamo ancora parlare a quattrocchi, o se invece continuiamo ad aver bisogno di qualcosa che si interponga e rallenti i botta e risposta della conversazione il giusto. Comunque tranquilli, don’t panic, come si dice da queste parti. Il problema non è solamente nostro ma, essendo generalizzato, riguarda anche i nostri interlocutori. Sono loro a non essere più interessanti come una volta? Non lo so. Ma, di questo passo, passeremo alla storia come la generazione che ha trascorso più tempo in casa. Oggi, per esempio, è pasquetta, e lo sapete che non dovreste essere qui davanti a un monitor a leggere cose sui blog. Mettetevi una tuta o qualsiasi roba comoda da tempo libero, inforcate la macchina o la moto e fate una bella gita fuori porta con pic nic e non fa niente se avete il frigo vuoto. Nei paesini con i prati e le aree attrezzate in campagna qualche negozio di alimentari aperto che vende pane, prosciutto e lattine di birra si trova sempre. Non fatelo per me, ma fatelo per voi, che oggi non vale nemmeno più la scusa del brutto tempo. Tanto alla peggio comunque uno smartcoso tra tutti salta fuori, se proprio proprio non riuscite a stare lontano dai social network. Ricordatevi la chitarra, un plaid per sdraiarvi sull’erba, prendete il pallone e andate a giocare fuori, che è una bella giornata.