Nel 1979 non c’è nulla di casuale, soprattutto in musica. Il massimo del random è la selezione che passa alla radio incrociata con lo zapping finché non si trova un pezzo decente ma i fattori non sono così affidati al destino. La gamma della proposta difficilmente sorprende l’ascoltatore esigente, benché le cose vadano molto meglio rispetto ai tempi dei bestiari rinchiusi negli zoo dei network commerciali di oggi e qualche sacca di qualità, in quel periodo così ingenuo e fecondo per l’arte in genere e in una delle numerose emittenti libere, la si trova sempre. Il random inteso come risultato di un algoritmo come lo conosciamo noi è venuto molto dopo e mai ci saremmo sognati in quella visione delle cose irregimentata in facciate di trentatré giri, con pattern di sequenze di canzoni imposti a priori, calati dall’alto e lunghi una ventina di minuti circa, che un giorno qualcuno avrebbe inventato un juke box virtuale dalla capienza infinita e un numero generato da un motore immobile (non stiamo a indagare chi, cosa, come, quando e perché) che si associa a uno di quei miliardi di file audio disponibili e, in tempo reale, ne riproduce l’essenza.
Questo sistema oggi va per la maggiore e abbina acriticamente ogni cosa e il suo contrario. Se avete cinquant’anni e nei vostri archivi digitali (rigorosamente legali, mi raccomando) c’è tutto, ma proprio tutto, dal momento che a parte il trap e il metal la vostra soglia critica è l’equivalente in musica del “basta che respiri” con cui talvolta donne e uomini scelgono il proprio partner occasionale, i Tv On The Radio possono alternarsi a “Erba di casa mia” seguita da John Coltrane per continuare con gli Inti Illimani, tanto per fare un esempio. Questo impone l’adozione di una metodologia e di un criterio per stabilire parametri con cui compilare playlist, attività che come potete intuire purtroppo dev’essere comunque seguita manualmente. Dietro a ogni grande funzionalità in informatica c’è sempre un grande programmatore, e anche le piccole cose come la scelta della colonna sonora volontaria di una corsetta spettano all’utente finale.
La riproduzione casuale rimane però una forte tentazione nell’era del disimpegno e del farsi vivere la vita dalla tecnologia e da chi la progetta. Lanciamo i dadi e vediamo che succede e anzi, lasciamo che qualcuno li getti per noi potrebbe essere la sintesi del presente. Pensate a quante e quali sono le cose su cui non esercitiamo più il controllo perché siamo pigri o anche abbiamo da fare, soprattutto nell’ambito della cultura o, più in generale, dell’entertainment. L’offerta è vasta, il gusto condizionato, la sicurezza di sé piena di buchi, il tempo contingentato e la facilità di flaggare la funzionalità “fai tu” fortemente tentacolare. “Fai tu” anche nella vita, getta l’amo dell’algoritmo della casualità e vediamo cosa peschi. Una roulette di esperienze già preconfezionate in cui, visto che tanto fa lo stesso, qualcosa della mia misura si trova. Ci sono però dei numeri – e conseguentemente dei risultati – che vengono più spesso degli altri, di questo ve ne sarete accorti anche voi e, se ce un esperto di statistica in sala, prego di farsi avanti. Come al liceo, quando la somma delle cifre della pagina del libro aperta a caso dava sempre come risultato quel tuo compagno che, nell’ordine alfabetico, occupava la posizione numero otto o nove e che quindi a fine quadrimestre aveva molti più voti da interrogazioni degli altri. Io, per fortuna, avendo il cognome che inizia per B, non ho mai superato il quarto posto e, se vogliamo proprio forzare una metafora, quella che mi ha messo al primo, della sua vita, l’ho sposata.