I R.E.M. sono passati abbastanza velocemente nei miei ascolti, una meteora un po’ troppo chitarristica e dalla voce troppo caratterizzante per i miei gusti. Ho comunque Murmur, Document e soprattutto Green, che ho apprezzato quando uscì in un 1988 in cui mi si stava creando il vuoto musicale intorno e mi consentì gli ultimi simulacri di certezza. E pure qualcosina dopo l’ho ascoltata volentieri, anche di recente. La rottura si è però verificata con quel “Losing my religion” che mi ha portato alla nausea. Alla radio, in tv, in qualsiasi posto andassi a ballare, non poteva mancare la cantilena didascalica di “that’s me in the corner, that’s me in the spot light”, con quel riff di mandolino che veniva sempre salutato come un incontro ravvicinato del primo tipo con l’estasi. La prima volta, forse. La seconda. Ma poi, come ben sapete, la sovraesposizione genera mostri. Tuttavia, dai, qualcosa di buono Michale Stipe ci ha lasciato, se non altro i R.E.M. non hanno imboccato la deriva patetica di alcuni loro colleghi dal nome ancora più breve. Bene, nel profluvio di celebrazioni che intaseranno la rete a partire da oggi, magari non vedrete questo, così lo posto io. Il mio pezzo preferito del loro periodo migliore.