La società si divide principalmente in due classi: chi fa un lavoro con cui aiuta il prossimo e chi invece deve generare profitto, sostentamento o piacere prevalentemente per sé. Dimostratemi il contrario e fate pure prima tutte le vostre distinzioni. A salvare vite comunque ci si guadagna, ad amministrare cose di tutti si riesce persino a mettersi di nascosto via qualcosa, questo per i salvati. Per i sommersi invece è facile trovare chi crea ricchezza anche per altri e chi guadagnando dalla propria passione riesce a rendere felice un pubblico più o meno numeroso. Ma a me non la date a bere. Ero già abbondantemente fuori dall’orario di ufficio proprio ieri sera, e stavo esercitando la mia seniority professionale spostando il cursore su un player video per selezionare alcune parti di un video aziendale da tagliare per un cliente che mi dava il timing di riferimento. Il cliente mi diceva di prendere da lì a lì, e io mi segnavo minuti e secondi e le parole di inizio e fine della parte da estrarre su un blocco con il mio tratto pen blu, con la mia calligrafia che è talmente desueta che poi non riesco mai a capire gli appunti che prendo. Questo per un’ora, buona parte della quale che potrebbe considerarsi di straordinario, almeno nel mondo dell’iperuranio in cui lavoravano i nostri fratelli maggiori.
Non sono un neurochirurgo, purtroppo, ma tutto sommato credo di avere un costo orario per l’agenzia in cui lavoro di un certo livello. E, credetemi, non sono certo uno che si sottrae a lavori umili. Ho persino riparato la maniglia del bagno in ufficio dopo che è rimasta un mese abbondante rotta, senza nulla togliere a chi ripara le maniglie delle porte. Anzi, ci sarebbe persino l’asse di uno dei due water da sostituire – questo da prima di Natale – e credo che questo fine settimana farò un salto al Leroy Merlin ad acquistarne una di quelle un po’ fantasiose e decorate in modo spiritoso, visto che nessun altro sembra pensarci. C’è quella con la sabbia e le conchiglie, quella di Sponge Bob e persino quella del Milan. Ma, tornando a noi, io rientro nella categoria di quelli che devono innanzitutto portare a casa uno stipendio, quindi far guadagnare i datori di lavoro, e dulcis in fundo il piacere, a essere onesti, che proprio non è di casa. Ma se pensiamo a chi svolge un compito di supporto o di servizi alla persona, diciamo così, corre ben altro genere di rischi. In alcuni casi, pensiamo al settore della sanità, c’è anche il compito di dare brutte notizie o l’abitudine a svolgere mansioni tra persone sofferenti e prossime alla morte, o anche a fianco di parenti che devono affrontare il lutto dei propri cari. Quando mio papà è mancato, in ospedale, gli infermieri hanno aspettato che arrivassi sul posto prima di portarlo via dalla stanza e sistemarlo in obitorio. Hanno capito da soli quale fosse poi il momento giusto per agire e, mentre transitavano con la barella a rotelle verso l’ascensore di reparto, ci hanno fatto un cenno di solidarietà che ho immaginato come parte delle loro competenze.
Io che invece appartengo all’altra classe sociale, quella dei lavori inutili, ho maturato esperienze nell’eseguire quello che mi chiedono di fare, una volta accettato un preventivo. Ieri sera, mentre muovevo il cursore sulla barra di scorrimento di un software di riproduzione video, dopo aver messo in mute il telefono sul quale mia moglie mi chiamava per capire le ragioni del mio ritardo, ho assecondato un cliente e fatto quello che dovevo fare, dapprima un po’ seccato vista l’ora e ciò che mi era stato chiesto, poi con la totale remissività, facendo finta che dalla precisione con cui mi spostavo sul secondo esatto del video su cui dovevo posizionarmi dipendesse davvero il destino di qualcuno.