Buona fortuna, che la fortuna non esiste e probabilmente nemmeno la statistica. Anzi, ci sono buone probabilità che io abbia ragione. Ma una cosa può andare bene e può andare male, ci puoi riuscire o no. Se non funziona hai perso, giusto? L’augurio sono solo parole al vento. Meglio non afferrarle nemmeno, per non avere l’impressione che ci sia una speranza. E tra le scelte di vita o di morte, talvolta non ci sono vie di mezzo, talaltra le vie di mezzo sono peggio. Se ci sono due opzioni, prevale sempre quella negativa, giusto? La porta al casello si blocca spesso quando è appena arrivata un’auto dietro e non si può fare retromarcia, cambiare fila ormai è fuori discussione. Se invece ce ne sono tante, di opzioni, puoi arrivare primo in concorso o in una gara, ma, diciamocelo, generalmente non accade. I posti dietro sono infiniti. Il vincitore su tanti è invece solo uno, e non sei tu. Tantomeno io, sia chiaro. Al colloquio, ammesso che prendano in considerazione il tuo curriculum, decidono per un altro, più giovane, con meno esperienza e meno costoso. Scrivere buona fortuna, quando cioè l’augurio rimane e non puoi fare a meno di non leggerlo e quindi pensare che ci possa essere una speranza, demanda tutto alla tua responsabilità, ma la responsabilità, in un ambito di statistica in cui le probabilità – lo dice la parola stessa – sono tali e si scontrano con numerosi ipotesi alternative, dal meteorite che spazza via tutto e tutti alla chiave che si rompe nella serratura e che ti blocca in casa, non può essere tua completamente. Ma questi, pardon, sono imprevisti, e nel Monopoli li riconosci perché hanno un colore diverso.