l'estrema presunzione

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Il papà di un’amica di mia figlia, di ritorno da un viaggio di una settimana a New York con tutta la famiglia, ci ha sorpreso con un commento in cui lamentava che sono fin troppi sette giorni per un vacanza nella metropoli americana e che visti i grattacieli e il parco non c’è molto di più da visitare. Ho collegato questa considerazione poco fa ad alcune recensioni che si trovano su Google alla voce della Triennale di Milano: “Interessante, vale una visita”, “Niente di che se non pochi pezzi” e via dicendo. Ho ripensato anche a “lo stroncatore”, quel blog geniale in cui il curatore raccoglie certe recensioni da paura dei lettori ai classici della letteratura su Amazon. È facile individuare che cosa abbiano in comune questi spunti di riflessione: se da una parte non possiamo impedire a cani e porci di dire la loro su ogni cosa né introdurre un patentino per amplificare i giudizi di pancia della gente che pensa con la pancia perché evidentemente non ha altro organo preposto al pensiero critico, dall’altra la gente ma anche tutti noi dovremmo imparare a dare per incontestabili certi assiomi. Vi avevo già raccontato, vero, del mio ex collega che usciti dalla Cappella Sistina aveva bocciato il Giudizio Universale definendolo pacchiano e sfarzoso? Possiamo quindi prendercela con l’ultimo dei Radiohead o sul nuovo film dedicato ai supereroi della Marvel o anche al ristorante della star dei fornelli che avete visto in tv o sui “ponti galleggianti di quell’artista bulgaro che cammina sull’acqua” (sentita in treno), ma alcune categorie di “prodotti” (chiamiamoli così per restare in tema di semplificazione) dovremmo tutti sobbarcarci l’umiltà di accettarli come dati di fatto. Senti pronunciare da qualcuno “I Promessi Sposi”? Pensa fino a dieci e convinciti a non dire la tua. Ti trovi a Firenze? Svia la discussione sulle previsioni del tempo. Musica classica contemporanea? Non si può capire tutto, mettiti gli auricolari e continua con il disco dei Modà. E non è che debba esserci una commissione di sapientoni professoroni baroni gufi che decide quali sono le cose da intelligenti e quali quelle per le capre. Se secoli di storia – peraltro vissuti anche da gente normale come me e voi – hanno messo Kubrick in una posizione elevata e Muccino nell’anticamera dell’oblio, un motivo ci sarà. Possiamo anche decidere che di Kubrick non capiamo una mazza e che invece di Muccino si, sta a noi il tatto se farlo sapere al prossimo oppure no, e obiettivamente il successo dei social media ha in sé la risposta a questa domanda retorica. Non stona quindi se, a questo punto del post, vi rimando a due punti di vista su una questione emersa negli ultimi tempi con l’escalation della democrazia diretta e che riguarda il successo dei grillisti qui da noi, la Brexit e pure il fenomeno Trump negli USA. La domanda che ci stiamo ponendo tutti è se debbano votare gli ignoranti e allora anche se debbano votare gli stronzi e se, in poche parole, l’umanità che trova nell’aggregazione dei simili in società di vario tipo debba imparare a fare un passo indietro una volta individuate quelle dieci o quindici persone che ne sanno un po’ più degli altri. Io mi faccio da parte since 1967, vedete voi.