Qualche anno fa, quando ho visto per la prima volta il film “The Artist is Present” su e con Marina Abramovic, mi ha colpito il fatto che il suo assistente fosse (o sia tutt’ora, questo non lo so) un ragazzo italiano. Si tratta di un dettaglio che non dovrebbe stupirci: il mondo è pieno di cervelli del nostro paese in fuga o comunque di italiani che fanno i lavori più disparati (e disperati) all’estero, dall’assistente di Marina Abramovic all’addetto alla frittura di patatine al McDonald’s ed è facile leggere tra le righe quale sia in questo esempio il disparato e il disperato, premesso che ho molti amici addetti alla frittura di patatine al McDonald’s e nemmeno un assistente di Marina Abramovic. Tra parentesi, ogni tanto su Facebook ritorna a galla la scena dell’ex marito e compagno di arte che torna a farle visita durante la rappresentazione al MOMA come esempio di clickbaiting strappalacrime che, anche se riguarda robe da intellettuali come il MOMA e Marina Abramovic, resta comunque una bieca operazione di clickbaiting. Ma non è questo il punto, e a dir la verità anche i cervelli in fuga c’entrano relativamente.
La mia considerazione riguarda come si possa sentire l’assistente di Marina Abramovic. Voglio dire, ti presenti a uno, per giunta italiano, e chiacchierando del più e del meno gli chiedi che lavoro fa e lui ti risponde di essere l’assistente di Marina Abramovic. Pensavo a questo proprio ieri durante un incontro di lavoro con il responsabile dell’automazione industriale del principale gruppo siderurgico nazionale e, come al solito, non metto nomi o brand per evitare di essere rintracciato dai motori di ricerca. Sapete, mi piace mantenere l’anonimato.
Il punto è che quando lavori per un’azienda importante o fai un lavoro fighissimo (e lasciate perdere mestieri come lo scrittore, il tastierista dei Subsonica o il neurochirurgo) poi devi fare i conti con la responsabilità e l’orgoglio del marchio che rappresenti. Quando vado in visita nelle aziende per il lavoro che faccio, anche quando si tratta di realtà stra-conosciute come uno dei più importanti gruppi italiani nel settore alimentare, o il designer di una nota fabbrica di moto da corsa, o ancora i produttori di una crema spalmabile alla nocciola famosa in tutto il mondo, o anche un network televisivo multinazionale e come dimenticare lo studio di progettisti di grandi opere il cui valore è all’ordine del giorno, in tutti questi casi mi trovo di fronte a donne e uomini (a dire la verità, purtroppo, il settore tecnico e ingegneristico che frequento è prevalentemente maschile) in carne e ossa. Persone che a fine giornata vanno a controllare se in giardino l’impianto di irrigazione è partito regolarmente o si precipitano a prendere i figli al tempo pieno. Eppure, sul badge, il logo che vedo non lascia dubbi circa il loro status. Lo so, non significa nulla, se non che non sai mai chi ti trovi davanti quando vai a visitare le aziende più blasonate ma alla fine raramente si ha a che fare con extraterrestri. C’è orgoglio? C’è aziendalismo? C’è presunzione? Quanto guadagnano? Perché io no? Potete rispondere a tutte queste domande tranne l’ultima, grazie.