misericordia da passeggio

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Muoversi a piedi da un punto A a un punto B di Milano centro, per esempio dal mio ufficio in zona Porta Venezia a Piazza del Duomo, è uno slalom tra persone che ti fermano per chiederti soldi o venderti qualcosa. A iniziare dalla signora che presidia l’uscita del supermercato qui sotto, la stessa da quando lavoro qui, cioè da 10 anni, ogni giorno, a volte nella variante con bimbo in braccio, e accetta sia denaro che generi alimentari. Da dieci anni, ogni giorno in ogni stagione. Poi due ragazzi più o meno giovani nei pressi dell’ufficio postale. Una richiesta minima di 50 centesimi per comprare il biglietto dell’autobus, il primo, mentre il secondo mi chiede un Ticket Restaurant per comprare un panino. Anche qui, non me n’ero accorto, è già tutto duepuntozero.

Ci sono anche quelli che non parlano, ma nelle posizioni più umili e questuanti lasciano la preghiera al linguaggio del proprio corpo, spesso mutilato, a volte con didascalia in cartone.

A metà tragitto si entra nel cuore turistico e commerciale della metropoli, ed è sempre meno elemosina ma vendita di qualsiasi cosa. I venditori di braccialetti colorati di filo o corda, per esempio, un’offerta che supera ampiamente la domanda, i cui piazzisti talvolta fin troppo aggressivi cercano di mettere alle strette i loro possibili clienti attraverso una prova prodotto, per far toccare con mano, anzi con polso, la qualità degli articoli. E una volta ammanettati dalla fortuna, chi ha il coraggio di andarsene senza pagare il conto?

Nei pressi dei negozi tradizionalmente identificati per acquirenti di sinistra, avete capito quali, ecco gli unici che riescono, ogni volta, a fermarmi. Cerco di accelerare il passo, di fingermi distratto, di parlare al cellulare, ma i rappresentanti dell’editoria specializzata in narrativa e poesia africana non riesco a evitarli. Non so con quale criterio scelgano sempre me, ho la faccia di uno che legge o, meglio, ho la faccia di uno che si fa raggirare facilmente, che in milanese si scrive pirla. Fatto sta che dopo un “hey amico” e una sequenza di saluti che sembra di essere in un video dei Club Dogo sono già lì con i loro volumetti in mano a chiedermi 10 (dieci) euro per libri che non prenderei mai gratis e nemmeno in biblioteca. E ogni volta mi chiedo quanti cazzo di poeti ci siano da quelle parti e quali e quante strutture siano attive nella distribuzione di quei libri. In tutti questi casi, sia chiaro, un “no grazie” è più che sufficiente. L’unica, giuro, volta che mi sono lasciato convincere, ma era tanti tanti anni fa e non ero a Milano, ma è lo stesso perché le librerie davanti alle quali stanziano ci sono in ogni città, il tempo di comprarne uno e di lasciare cinquemila lire al venditore che una mendicante vera, una storica mendicante di quella città, mi derise con quell’accento che è tipico di quella città misto alla sua voce roca, vittima di una guerra tra poveri, con un “bravo, bravo, compra i libretti dai negri”. Si girarono tutti e mi vergognai moltissimo.

Ma torniamo in Corso Vittorio. Si cambia ancora etnia, ed ecco le pistole per le bolle di sapone, ogni tipo di animale che si muove da solo ed emette rumori talvolta iperrealistici, mostriciattoli che ballano, fischietti e giocattoli di ogni sorta, assemblati da personale coetaneo del target di riferimento e costruiti con materiale che solo a guardarli ti si irrita la pelle.

A questo punto si accede al reparto arti visive, con le statue viventi e i ritrattisti. Qui nessuno chiede soldi, sia chiaro. Solo creatività su richiesta. Apro una parentesi: chi di voi si è mai fatto fare un ritratto in Piazza del Duomo? Se sì, quanto avete pagato, per curiosità? Non vi imbarazza il fatto che vi guardano tutti e la maggior parte si burla di voi che tenete la posizione più immobile possibile, mentre il pittore disegna il vostro viso e si nota subito la differenza con i ritratti già pronti di persone normali del calibro di Elvis Presley o Marilyn Monroe?

Chiudo con l’ultima stazione di questa via crucis: l’immancabile foto ricordo con piccioni, non so quanto costi ma si tratta di un mercato che non avrà mai fine. Spalle alla chiesa, seppelliti dal mangime, omaggiati da qualche ricordo organico e quello sì che non dimenticherete mai. Al ritorno, dal punto B al punto A, meglio prendere la metro, lì è certo che nessuno verrà a chiedervi dei soldi, nemmeno cantando.