Ogni volta sono costretto a ruotare la scatola su ogni lato, se è di cartoncino, o ancora peggio a palleggiarla se si tratta della confezione trasparente, e ogni volta penso che se fossi un product manager dedicato a quel tipo di articoli metterei quella che è l’informazione più importante a caratteri cubitali, più del nome che coincide con la tipologia che basta vedere dentro come sono fatti per capire di cosa si tratta. Poi se ne ho voglia può essere anche interessante avere più notizie sul loro processo di lavorazione, sì perché no, anche se potete essere i più fighi e i biologico-oriented del mondo che comunque la produzione industriale è – lo dice il nome stesso – l’antitesi di quella artigianale. Il che non costituisce un limite, anzi, è molto più facile tracciare la filiera e controllarne la qualità, magari meno genuina, ma difficilmente sofisticabile.
Poi trovo sempre il peso della confezione in evidenza, che ha un senso al momento dell’acquisto e lo capisco, se vuoi sopra ogni cosa vendere il prodotto punti tutto sul convincere un potenziale acquirente alla scelta. Il cliente che prende in mano l’articolo, cerca il prezzo sullo scaffale, lo mette nel carrello e lo va a pagare. Bravi, missione compiuta. Soldi che entrano, era questo il vostro obiettivo. Ma quello che succede dopo, a casa, che in altri settori di mercato è definito fase di post vendita ed è considerato un momento fondamentale del rapporto cliente-fornitore perché se non c’è assistenza o chi ha sborsato i soldi si trova in difficoltà, ha qualche problema, riscontra differenze tra quello che pensava di avere e quello che ha ottenuto, alla fine l’affare può sfumare. I tanto celebrati Service Level Agreement sono stati inventati mica per altro, e nel nostro caso parlare di metriche di servizio non è possibile, ma è quello a cui mi appellerei se potessi in questo momento, perché non riesco a trovare un dato fondamentale, quello di cui ho bisogno per portare a termine quello in cui mi sto cimentando che è un compito delicato da cui dipende la soddisfazione di tre persone questa sera, una moglie una figlia e una sua compagna di scuola che sono sedute alla tavola imbandita e stanno aspettando la cena e io che in piedi ai fornelli cerco disperatamente il tempo di cottura della pasta che ho già buttato in pentola e che è già un po’ che è sul fuoco.
Ma questa una delle mie più grandi difficoltà, più del riuscire a distinguere correttamente tra lavastoviglie e lavatrice quando voglio avvisare mia moglie che sto per attivare l’una o l’altra in modo che lei non accenda il forno facendo saltare il contatore, devo concentrarmi e pensare che se contiene piatti sporchi è l’una, se ha un oblò e l’altra. Così ho deciso di lanciare un appello ai grandi brand del food. Vi prego. Stampate più grande l’informazione sui minuti di cottura e costituite una associazione di categoria per stabilire alcune regole deontologiche come mettere sempre l’indicazione nello stesso punto, una guideline universale tale che io impari che quel numerino sta in alto a destra, faccio un esempio, e prima che la pasta scuocia lo leggo lì e salvo la serata. Grazie, ho finito.
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