tattico un cazzo

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Anche quest’anno, nel corso dell’ultima settimana di luglio, svariate centinaia di migliaia di uomini italiani over 40 si sono sottoposti a un radicale ridimensionamento della lunghezza dei capelli, ciò che comunemente viene definito come taglio tattico. Il taglio tattico è un retaggio di un’antichissima e reazionaria leggenda popolare secondo cui il periodo delle ferie estive debba essere affrontato con acconciature il più corto possibili in risposta alle imminenti esigenze di comodità e di adattamento ambientale. La seconda ragione ha una sua attendibilità, dal momento che portare lunghe chiome in estati roventi come quella attuale può causare l’aumento dell’insofferenza verso il caldo. La prima invece è totalmente campata in aria, una vera e propria leggenda metropolitana.

A meno che non vi apprestiate a trascorrere un mese di bivacco in aree infestate da pidocchi, non c’è nessuna possibilità per cui il modo in cui portate i capelli possa esservi di impiccio. Cosa c’è di diverso tra la vacanza e la vita d’ufficio, a parte l’ufficio? Invece arriva la fine di luglio e, prima o poi, ci caschiamo tutti. Gli hair stylist ci aspettano alla loro postazione già con la macchinetta in mano pronti a fare di noi dei veri e propri marines. Siamo noi i primi che dovremmo dirgli che non c’è differenza dall’ultimo taglio che ci hanno fatto, eppure al momento di dichiarare che cosa vorremmo, dentro di noi si fa strada quell’antico insegnamento per cui, prima di partire per le ferie, bisogna darci un taglio, un taglio consistente, un taglio tattico. Ma parliamoci chiaro: di che tattica stiamo discutendo? Tattico perché?

Vi sarà di conforto sapere che anch’io, giunto al consueto appuntamento come tutte le estati precedenti, ho chiesto espressamente un’acconciatura ultra-corta. Nicholas, il mio hair stylist, non ha commentato in nessun modo il suo operato. Ma la cassiera, appena mi sono avvicinato per pagare, ha scherzato con me avvisandomi che. come premio per il taglio tattico. c’era un simpatico omaggio estivo, una specie di trolley di cartone di un’inutilità spaventosa che è già finito nella spazzatura. In ufficio in molti hanno commentato il mio taglio tattico proprio con queste parole, e io ogni volta a schermirmi con la scusa che mi ero fatto il consueto trattamento da campeggio. Anche a casa mia sono stato apostrofato con “uè che taglio tattico”, eppure non è che li porto lunghi, eh, quindi dovrebbero esserci abituati, almeno loro. Infine, una vicina che incontrerò se va bene cinque volte l’anno aspettando l’ascensore, quindi malgrado fosse probabile che l’ultima volta mi avesse visto con i capelli rasati di questa misura, anche poco fa, sulle scale, ha manifestato la sua sorpresa nel vedermi ornato di “un bel taglio tattico”. Ora non so dirvi quale sarà la mia tattica futura, di certo mi crescono sempre troppo in fretta ma, per fortuna, si va in ferie estive solo una volta all’anno.

un taglio all’evasione

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Ci sono quelli che ti fanno la testa a uovo, perché se hai il viso lungo e i capelli troppo rasati sui lati e un po’ meno in cima fanno l’effetto palla da rugby. Poi quelli che alla fine sembri un delta sempre a causa del mento a punta, ma questa volta con l’aggravante della sfumatura sui lati, rasati alla base è più lunghi sopra le tempie, la risultante è una V per vendetta. Non ho mai capito poi quelli che ti fanno lo shampoo prima del taglio, quelli che te lo fanno dopo, quelli che ti bagnano con un vaporizzatore profumato durante.

Quasi sempre c’è la musica, qui sta al gusto personale. Il mio coiffeur storico, da cui vado raramente ora per motivi logistici, è sempre stato all’avanguardia, addirittura faceva i tagli punk, disegnava ragnatele agli skin, tirava su e colorava creste agli albori della cultura alternative. Potete immaginare quello che ascoltava, Bowie del periodo berlinese, new wave, ma anche reggae e comunque sempre roba molto off. Ora si è diffusa la moda della tv accesa, se vai in pausa pranzo ci sono i video musicali a tenere compagnia a chi è seduto in attesa del proprio turno, se vai nel pomeriggio sogni lidi esotici seguendo reportage di viaggi. Altri usano lo schermo solo come veicolo pubblicitario, con trasmissioni a rotazione, sfilate di moda e pubblicità di negozi locali o sponsorship di prodotti di bellezza.

Come non ricordare le botteghe storiche. Ce n’è una bellissima a Genova, ma anche qui a Milano trovi il tipico barbiere di una volta. Fino a poco tempo fa qui vicino era ancora in attività un ottantenne, talmente affezionato alla sua professione che, ormai vedovo, trascorreva anche le due ore precedenti l’apertura pomeridiana in negozio, godendosi il pisolino su una branda nel retrobottega oppure sfogliando il Corriere su una delle sue poltrone d’epoca.

Non ho mai provato i grandi centri estetici unisex, quelli con ennemila lavoranti, ogni volta te ne trovi uno (o una) diverso e fai fatica se sei uno come me, di quelli per i quali il taglio dei capelli è un po’ un rito, perché viziato dallo stereotipo del parrucchiere di una volta, con cui chiacchieri, non ti preoccupi di buttare via il tempo, la tua testa è nelle sue mani e affidata alla sua perizia nel renderti più bello, nei limiti del possibile naturalmente.

Ma il modo in cui si chiudono le sedute dal barbiere è sempre lo stesso, vent’anni fa come oggi, a qualunque latitudine. Ci si guarda nello specchio, di fronte, di lato, si ammira il proprio look quasi sempre soddisfatti, quindi si paga il disturbo e, indipendentemente dal costo che varia da città a città, da bottega a bottega, alla consegna del denaro non si ottiene nulla in cambio e in ricordo dell’avvenuta prestazione, se non il resto dovuto. Ciao, grazie, ci si vede alla prossima.