Chissà se per lo sport e per il meccanismo che lega una disciplina agonistica a un individuo e alla massa a cui appartiene è possibile applicare lo stesso criterio per cui scatta il colpo di fulmine per un genere musicale piuttosto che un altro, e chissà perché ci piace vedere le partite, soffrire e in certi casi addirittura uccidere per la squadra per la quale si fa il tifo. Noi dark, per dire, nell’83/84 abbiamo rischiato più volte di prendere botte dai metallari e dai paninari, ma alla fine ci è sempre andata di lusso.
Non sono certo la persona più informata di sport per scriverne. A parte l’ossessione per la corsa che mi è venuta da una decina di anni, ho sempre perseguito abitudini e passioni poco salutari e salutistiche, questo mi ha altresì allontanato da tribune e gradinate anche se so per certo che, la domenica allo stadio, ci si ammazza di canne, birra e panini ripieni di colesterolo. Ma taglio corto per non esser frainteso per uno snob che ha gusti troppo sofisticati e complessi per tifare questa o quella compagine locale o nazionale di calcio.
Da qualche tempo però, almeno in parte, credo di essere in grado di dare una risposta ad alcune delle domande che ho posto provocatoriamente prima. C’è una sorta di demone dell’immedesimazione che senza che tu te ne accorga ti morde, ti infetta e ti trasforma in uno zombie da sport. A me questa cosa è successa un po’ di anni fa, quando mia figlia ha iniziato a fare abbastanza sul serio con la pallavolo, e vi assicuro mi sono trasformato al netto della componente di fanatismo genitoriale per la quale facciamo nostra e ci mutiamo in zombie per qualunque attività che svolgono i nostri figli e che implica sfoggio di competitività (a maggior ragione fisica).
Provo quindi a dire le cose che voglio dire di seguito, sperando che mi crediate se vi dico che il fatto che io mi sia appassionato così tanto al volley non c’entra con le millemila partite a cui sono costretto ad accompagnare mia figlia nei fine-settimana, in lungo e in largo per la Lombardia considerando che l’ambito territoriale dei campionati provinciali FIPAV per Milano, da quest’anno, comprende anche Lecco e Monza-Brianza.
Per farvi capire quanto sono preso dalla pallavolo (che, vi giuro, prima non ho mai cagato di striscio nemmeno quando tutti voi riempivate i vostri Powerpoint con le citazioni di Velasco) non solo non mi perdo una delle millemila di partite di mia figlia di cui sopra, ma seguo spesso anche quelle delle altre categorie della società in cui milita mia figlia, della ex-squadra in cui ha giocato fino all’anno scorso, delle squadre di varie categorie di una notissima scuola di volley della provincia di Varese a cui approdano le giocatrici più talentuose (tra cui un paio che hanno giocato in passato con mia figlia), di alcune squadre della massima divisione dei dintorni (Milano è a un tiro di schioppo da Novara, Bergamo, Busto Arsizio e Monza, e il Club Italia ha base qui), per non parlare delle nazionali femminili e maschili alle prese con le competizioni internazionali.
E per non farmi mancare nulla cerco di svolgere un ruolo attivo nella società di volley in cui gioca mia figlia: ho rifatto e curo quotidianamente il sito Internet della società (ovviamente a titolo completamente gratuito), visto che mi ero preso lo stesso impegno lo scorso anno continuo a farlo anche per l’ex squadra in cui è cresciuta e ha giocato fino a poco tempo fa, curo la grafica di campagne di comunicazione, per esempio per le iscrizioni, e per di più mia moglie addirittura fa la refertista agli incontri. Credo quindi di avere un minimo di voce in capitolo, corretto? E se volete sapere che cosa trovo di bello nella pallavolo, intanto non c’è scontro con contatto fisico diretto come nel calcio o nel basket o nel rugby, non si gioca individualmente, si sta in palazzetti e in palestre anche quando fuori piove, si dipende moltissimo dagli altri e gli altri dipendono moltissimo dai singoli e questo responsabilizza ogni ruolo. In più il volley ha una sua estetica e un buon mix di intelligenza e di potenza.
Vengo al punto. Non ho numeri statistici o dati ufficiali, e prima o poi mi piacerebbe scrivere qualcosa di documentato su questo argomento, ma credo che la pallavolo (soprattutto femminile) sia uno degli sport più praticati a livello giovanile in Italia e, mi pare di capire, sia tutto sommato molto popolare. Solo nel mio paesello che non arriva a trentamila anime ci sono tre società dilettantistiche di pallavolo femminile, ciascuna con diverse squadre che militano nelle varie categorie dei campionati giovanili relative alle età delle atlete. Il volley, come il calcio, si può praticare anche a livello diciamo improvvisato, e mi perdonino i direttori tecnici di questo sport: sulla spiaggia con la formula del beach volley (senza nulla togliere al beach volley professionistico), in qualsiasi praticello in cui ci si può mettere in cerchio e passarsi la palla palleggiando, per esempio. Difficilmente, voglio dire, vedrete gruppetti di amici mettersi a emulare un incontro di rugby, pallacanestro, pallamano, golf, formula uno o polo senza uno spazio o attrezzi dedicati o con un minimo sindacale di conoscenza delle regole. La pallavolo, come il calcio, è piuttosto accogliente per un approccio entry-level, correggetemi se sbaglio.
Di partite, campionati, tornei e manifestazioni di pallavolo (intendo gli incontri seri delle massime divisioni e delle nazionali) ce ne sono tantissime. La mia impressione, e quella degli appassionati come me, è però che alla pallavolo sia dato molto meno spazio rispetto ad altri sport minori (e non voglio dare il via a una delle ennesime polemiche sulla copertura mediatica che ha il calcio rispetto al resto). I risultati delle nostre nazionali mi sembrano in linea – se non superiori – rispetto a quelli delle rappresentative italiane di altri sport per le quali c’è sempre molto entusiasmo, mi viene in mente il rugby e alcuni giocatori giustamente rappresentativi. Negli scorsi giorni, per dire, la nazionale italiana femminile di volley si è qualificata ai mondiali del 2018 chiudendo a punteggio pieno una serie di incontri nessuno dei quali è stato trasmesso in tv (se non vi risulta smentitemi pure), mentre l’omologa compagine maschile ha partecipato a un torneo con una discreta copertura ma abbastanza nel silenzio generale.
Ora, non per metterla sulla competizione tra discipline sportive e parlo da cialtrone, ma la pallavolo credo sia uno specifico sportivo del nostro paese. Il basket italiano non è che sia così divertente come quello dei Golden State Warriors, e nel torneo delle sette nazioni di rugby – a parte qualche sorpresa recente – non è che dettiamo legge. Nella pallavolo invece, sia maschile che femminile, mi sembra che gli italiani non se la cavino male, forse proprio grazie alle società dilettantistiche come le tre che coprono egregiamente la domanda di volley del mio paesello di nemmeno trentamila anime. Eppure, malgrado tutto ciò, sempre al netto del calcio che ci ha rotto abbastanza i maroni a noi che non lo seguiamo, dobbiamo rincorrerci nelle community dedicate per capire dove verrà trasmessa la partita che ci interessa e, nella maggior parte dei casi, seguirla in streaming sul pc grazie a qualche fanatico che si mette a bordo campo con lo smartphone a improvvisare una telecronaca.
Ecco: il problema di ogni cosa, non solo in Italia ma in tutto il mondo, è quanto grano fai girare, e la pallavolo probabilmente ne macina ben poco. E chissà, forse è il fatto di essere uno sport di nicchia, considerato zero dalle stanze dei bottoni dell’informazione (andate sulla pagina sportiva di Repubblica e ditemi se non è vero) a far sì che ci piaccia così tanto. Ma pensate solo anche al meta-significato che ha la pallavolo in sé: alcuni dei più forti campioni italiani di questo sport di cognome fanno Zaytsev, Egonu, Juantorena, Diouf e Malinov. E comunque, se vi piace il volley e magari giocate pure, siete ragazze, vivete a Milano e dintorni e avete dagli undici ai vent’anni, battete un colpo (anzi, una palla con il salto al di là della rete e fate un ace): stiamo cercando (nella squadra in cui gioca mia figlia) centrali e bande per diventare un po’ più forti, come se non ci fosse un domani. Anzi, come se un domani ci fosse, il domani in cui la pallavolo diventa il nostro sport nazionale.