Ora vi dividerò in due gruppi. Quelli che sfruttano ovunque possibile il pagamento elettronico in ogni sua forma da una parte. Quelli che ritirano soldi con il bancomat, girano con i contanti tutti colorati ed estraggono il portafoglio gonfio di bigliettoni anche per sganciare seicento e rotti euro per uno smartcoso dall’altra. Due fazioni che poi si distribuiscono analogamente in molte altre occasioni. Quelli che seguono le strisce blu in autostrada e saltano le code contro quelli che ancora contano gli spicci e tengono le monete nei contenitori a fessura ricevuti in omaggio come gadget dal proprio distributore di fiducia. Quelli che vanno spediti al carrello in ogni sito di commercio elettronico contro quelli che ancora non si fidano di digitare i propri numeri di carta di credito nell’ignoto che opera dietro il monitor del pc. La proposta di vietare i contanti per importi superiori a cinquanta, cento, duecento euro è da tempo all’ordine del giorno nell’agenda politica dei governi più attenti a tracciare i movimenti di soldi, esclusi quindi dal penultimo in su. E già vedo qualcuno di voi con la manina alzata pronto a ricordarmi che Passera e le banche che fanno capo a lui di certo trarranno ampio beneficio da una crescente diffusione di prodotti e servizi basati su carte e POS, e quell’altro laggiù con la faccia da saputello che aggiunge che i commercianti che pagano la commissione sulle transazioni saranno penalizzati. E allora mi vien da dire eccheccazzo, da qualche parte bisognerà ben incominciare, no?
Ma poi mi rendo conto che il problema è più complesso, soprattutto se osservo il comportamento dei clienti dei grossi centri commerciali e degli ipermercati che si sono dotati dei cosiddetti dispositivi salvatempo, quei lettori RFID portatili nei quali registri tutto quello che acquisti e paghi alla fine, o anche le casse fai da te, dove gli acquirenti fanno le veci delle cassiere nella registrazione degli articoli scelti. Si tratta di opzioni che per lo più prevedono l’uso di carte o bancomat. Ebbene, non ho informazioni a disposizione e la mia considerazione si basa su dati empirici e osservazioni casuali, ma mi sembra che le code alle casse e i pagamenti cash siano ancora troppi e che molta gente con le tastiere alfanumeriche, con i pannelli touch screen e con le operazioni da concludere con la lettura di un chip o di una banda magnetica non è ancora a proprio agio. Anzi, molti sono proprio imbranati. O forse è l’ebbrezza della cartamoneta in mano che ci rende così legati al denaro fisico e pensare al nostro stipendio (quando c’è) come una volatile stringa numerica in un database bancario ci fa sentire troppo di passaggio su questa terra sempre più dematerializzata.
E oggi, per dire, in una di quelle postazioni promozionali delle compagnie telefoniche piazzate nei corridoi comuni tra i negozi, campeggiava un cartello che avvisava l’impossibilità di effettuare acquisti e attivare contratti tramite pagamento in contanti. E un giovanotto abbronzato e disposto a tutto pur di avere un cellulare del valore di metà del mio stipendio che invece voleva metter mano al portafoglio e chiudere così, brevi manu, il patto commerciale tra due gentiluomini. Così ho pensato alla difficoltà che abbiamo dal separarci dai nostri beni e da quei pezzi di carta filigranata che in fondo hanno un valore solo per convenzione, tanto quanto un numero virtualizzato da qualche parte, e che probabilmente non ci convinceremo mai che se una cosa non si vede non è detto che sia sparita nel nulla o non esista. E questa, se non ricordo male, dovrebbe essere una fase dello sviluppo mentale di un individuo già superata almeno venti anni prima di poter acquistare qualcosa di così costoso. Vero che c’è una teoria in proposito?