non c’è più religione

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A pochi passi dal mio nuovo ufficio c’è un esteso complesso scolastico di diversi gradi che comprende un oratorio parrocchiale, il che la dice lunga sulla proprietà dell’intero stabile grande quanto un quartiere a sé. Si tratta di un edificio dei primi del novecento il cui perimetro, frammentato da cortili delimitati da cancellate, a percorrerlo a piedi consente di smaltire un pranzo medio da giornata lavorativa.

La mattina è tutto un brulicare di genitori che accompagnano bambini, mamme e papà non più giovanissimi malgrado i figli in tenera età a cui si alternano analoghi quadretti di stranieri strutturati già più come l’opinione comune vorrebbe fosse composta una famiglia da un punto di vista della connotazione generazionale. Il che non vuol dire un cazzo, per carità, è solo che gli ultraquarantenni come me costretti nella postura da scudo protettivo verso l’esuberanza della progenie si caratterizzano per l’innaturalezza dei gesti di chi, con i capelli quasi bianchi, dovrebbe dare pacche sulla spalla a figli laureati o giù di lì e invece siamo ancora al livello delle gite al Museo Egizio di Torino. Ma – e chiudo questa parentesi da sociologia da tanto al mucchio – è evidente che un quartiere così come questo è abitato da gente che ha fatto carriera (per quelli come me che sono come loro ma non l’hanno fatta una qualunque indagine sarebbe banale) e dal relativo personale preposto all’aiuto famigliare. Tate, badanti, colf, portinai, tuttofare di evidente provenienza intercontinentale.

Verso le diciotto, invece, è tutto deserto tranne l’ingresso dell’oratorio, davanti al quale stanzia un gruppo di ragazzini sui quattordici o quindici anni, forse qualcosina in più. Notavo però le facce, l’abbigliamento e il comportamento di questo insieme piuttosto omogeneo che, a quanto sembra, frequenta il ritrovo parrocchiale o, almeno, sembra usufruire dei servizi di aggregazione. Un tempo i ragazzi dell’oratorio erano una categoria ben definita. Avete presente, no? Dicevi “quello è un ragazzo dell’oratorio” se intendevi uno un po’ babbionello, con il k-way chiuso e legato in vita come un’escrescenza corporea, gli occhiali con le lenti spesse e i brufoli, un taglio di capelli ordinario e una manifesta propensione alla conduzione di un’esistenza di fede e rigore. Nulla di negativo, anzi, vuoi mettere uno così con uno che da grande diventa come Pino Scotto o, peggio, Capezzone?

Ecco, i ragazzi che si ritrovano nei pressi dell’oratorio ubicato a un isolato dal mio ufficio, nel tardo pomeriggio, non sono così. Ascoltano Fabri Fibra con lo smartphone, sfoggiano creste e sputano, mentre le ragazzine vestono succintamente e molto attillato, discutono animatamente di tematiche tutt’altro che riconducibili alle Sacre Scritture e non invitano al contatto intergenerazionale. Anzi, diciamo che cambio il marciapiede proprio per non passare in mezzo a loro, per evitare di prendermi una pallonata, uno sputo sui pantaloni, qualche sfottò vista la mia appartenenza anagrafica. Insomma, tutto fa pensare a una categoria di giovinastri più affine a quelli che definiremmo teppisti di strada. Ed è strano, vista l’utenza del mattino. Nulla che richiami a una provenienza di buona famiglia o a un’estrazione di un certo livello. Chiaro che questa mia esposizione ottocentesca di una scena piuttosto comune a qualsiasi latitudine della nostra penisola è voluta e paradossale. I ricchi non mandano certo più in giro i propri rampolli adolescenti con i completi di lana e i papillon, e l’intamarrimento generale della nostra società è riuscito a superare le differenze tra le classi sociali più di ogni altro tentativo politico o culturale dei decenni passati. Più dell’associativismo, dei dopolavori, dei concerti di Pollini nelle fabbriche e delle gite sui campi da sci a prezzi popolari. Il problema è che tutto è omologato verso il basso, e questo sì, lo ammetto, è un giudizio morale.

casa e chiesa

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Il dibattito interno si sviluppa a margine di una fase conoscitiva, una sperimentazione, un bambina che vuole provare l’esperienza della messa. Sì, proprio quella, la messa della domenica. Malgrado il clima devaticanizzato che si respira in famiglia c’è qualcosa che stimola la sua curiosità, sarà il profumo dell’incenso o sarà il fatto che si tratta di una manifestazione di massa, l’attrattiva del rito corale che ha un forte ascendente sui nostri figli. Non si spiegherebbero i balli di gruppo, ripetere preghiere all’unisono e seguire i gesti di un officiante più o meno è la stessa cosa dell’animazione al campeggio. Che poi sono gli stessi aspetti che invece a me rendevano invisa la funzione e le riunioni in oratorio, muoversi tutti uguali mi fa sentire un po’ ridicolo e non perché voglia distinguermi a tutti i costi, è proprio l’estetica della manifestazione di insieme che mi provoca un disagio, il che vale tanto per gli slogan ai cortei quanto nei canti da gita in pullman. Ma tornando al casus belli, oggettivamente non è un problema avvicinarsi all’ambiente dell’oratorio, dalle mie parti non ci sono molte alternative e tra i tamarri che passano il tempo al parchetto a sputare per terra e fare i bulli preferisco l’impegno tra i fedeli. Anzi, la mia pianificazione prevede addirittura l’ingresso negli scout dell’Agesci. La stessa squadra di pallavolo in cui milita mia figlia fa parte di quel complesso parrocchiale. E una mozione interna alla discussione fa emergere il fatto che se da sempre si fosse perseguita quella scelta molte complessità si sarebbero semplificate naturalmente, è molto più comodo per i grandi fornire risposte alle domande esistenziali dei bambini con il filtro della fede piuttosto che lasciarli in pasto all’agnosticismo e al razionalismo fin da piccoli. Conoscere i nomi dei posti da cui si proviene e dove ci si ritroverà dopo consente una certezza di fondo rispetto alla nozione di nulla e di vuoto, di certo la visione escatologica è più elementare. E sappiamo tutti l’importanza del racconto fantastico e della fiaba a quell’età, no? Nel frattempo prendiamo tempo e vediamo se la richiesta si ripeterà anche domenica prossima, e anzi c’è qualche notaio in sala che sa come si fa a diseredare un figlio?