Una volta le rivalità tra gruppi erano all’ordine del giorno, e non mi riferisco alle grandi dicotomie musicali come Beatles vs Stones, Duran vs Spandau o Blur vs Oasis, saprete meglio di me che non si tratta di dualismi ma di intelligente marketing spinto, un po’ come fanno adesso il Nuovo Centrodestra e Forza Italia. Su due scranni diversi ma pronti a ricompattarsi quando ci sono di mezzo i quattrini. I gruppi rivali sono un qualsiasi complesso di principianti (come quelli in cui suonavo io, per intenderci) contro la band in cui canta l’ex della fidanzata del cantante del primo gruppo, per dire. Rivalità su cose di questo tipo. New wavers con l’eyeliner e le calze a rete sotto i pantaloni neri stracciati e gli anfibi presi di mira da metallari con i jeans stretti infilati nelle American Eagle bianche. Gente che si sta invisa reciprocamente e in scenari dove la musica è in fondo un di cui.
Io per esempio da un componente del gruppo nemico di quello in cui militavo a sedici anni mi sono preso un pomodoro sulla mia elegante camicia grigia sfoggiata durante un concerto nella piazza principale della mia città gremita di gente, tra parentesi nessuno di quelli che condividevano con me il palco mi ha minimamente difeso, troppo intenti a ridere. Cosa che avrei fatto anch’io, sia ben chiaro. Ci sono invece casi di rivalità politica, e qui la cosa si fa un po’ più seria e anche pericolosetta. Quei pessimi gruppi di neofasci&nazirock che sarebbero neofasci&nazirock anche se non suonassero e se non suonassero sarebbe meglio per tutti, stanno giustamente sul cazzo a chiunque abbia un po’ di buon senso e ami la musica, non a caso se ne stanno alla larga dal pubblico della Banda Bassotti, per esempio. Insomma avete capito l’antifona. Zulu dei 99Posse ne sa qualcosa.
Ora è successo che ieri l’altro il buon Max Collini degli Offlaga Disco Pax che, da queste parti, sono the only italian band that matters, giusto per mettere le cose in chiaro, è stato aggredito in un locale di Bologna da un certo Dario Parisini, già chitarrista dei Disciplinatha. Nel senso che Dario Parisini, già chitarrista dei Disciplinatha, gli ha tirato un pugno in faccia.
Ora, immagino che pochi di voi conoscano i Disciplinatha. I Disciplinatha sono il gruppo che ha registrato una manciata di pezzi inclusi in “Maciste contro tutti” del Consorzio Suonatori Indipendenti. Avete capito, proprio quelle tre inutili tracce che, come me, saltate a piè pari durante l’ascolto di quella bellissima testimonianza di un progetto che stava per concludersi come “Maciste contro tutti” per sentire invece Ustmamo ed ex-CCCP. I Disciplinatha sono gli autori del concept “Abbiamo pazientato 40 anni. Ora basta!” citato proprio da Max Collini nel brano “Sensibile”, come esempio di musica neofascia&nazirock. I Disciplinatha sono il gruppo che mette, nei ringraziamenti, gente del calibro di Francesca Mambro. Così, non pago di suonare da cani, in piena pacificazione da larghe intese ma probabilmente solleticato dall’ennesimo rigurgito di post-fascismo forco-casapoundiano, Dario Parisini, già chitarrista dei Disciplinatha, ha dato un pugno in faccia a Max Collini e Max Collini schtung, piomba al suolo a peso morto.
Ma siamo rimasti di sasso tutti. Mai mi sarei aspettato una reazione così. Avrei capito di più se a prendersela con Max Collini fosse stato Luca Giovanardi, il cantante dei Julie’s Haircut nonché arrogante bottegaio indegno della roba che vendi qui dentro, alternativo dei miei coglioni che quando io ascoltavo i Dead Kennedys tu nemmeno ti facevi le pippe. Almeno loro, i Julies’s Haircut, hanno una dignità musicale (questa è un po’ tirata per i capelli, ma mi serve per fare il paragone). Ma i Disciplinatha? Ma chi se li è mai inculati sti Disciplinatha? Qui non si tratta nemmeno di gruppi rivali, ma di un sentimento antico quanto l’uomo, almeno da quando sono stati inventati gli amplificatori. Brutta bestia, l’invidia.
Ogni generazione ha la sua cultura da strada, chiamiamola così, che fa presa su una larga fetta di giovani e diversamente adolescenti. Il bisogno di anticonformismo ordinario che va dal manager con suoneria dei Clash al maestro elementare che frequenta i rave è una testimonianza della doppia vita che resta latente in ciascuno di noi, ma si fa presto a considerarlo una valvola di sfogo alle presunte costrizioni della vita odierna, con cui è più facile fornire una giustificazione. Ma il punto è capire da dove nascono, in quale momento nei remoti anfratti della nostra vita. Voglio dire, ci gettiamo alle spalle i primi anni di appartenenza al genere umano per fare di tutto per distinguerci omologandoci con ciò che è di moda, per non far parte di quello che il senso comune fa passare come di moda. Pensate al controsenso con cui si conducono le esistenze. Non penserete vero che giocare agli afroamericani del ghetto o ai punkabbestia nomadi sia uno spin off della società, vero? È la stessa cosa, baby, tutto è calcolato, ogni deviazione ha un suo canale youtube di riferimento o una sua community di hacker che ne infrange le regole – che a loro volta ne infrangevano altre – per una catena infinita di derivativi che poi, alla fine, uno si stufa anche e arresta il sistema. Ma se ci riferiamo all’aspetto più alla luce del sole di tutto questo, evidente malgrado i protagonisti se ne stiano ben nascosti a provare balletti corali negli androni sovradimensionati delle metro o nei loro ritrovi da addetti ai lavori sognando comunque che passino punti di riferimento del calibro di Maria De Filippi o dei suoi amici, ci attrae oltremodo la curiosità che spinge sempre nuovi adepti tra le braccia di questo consumo apparentemente sotterraneo di cultura alternativa. Da sempre, perché anche chi vi scrive ha i suoi trascorsi e i suoi scheletri nell’armadio. Se mi posso permettere, però, il sedicente rap e quel tipo di cultura lì che impiastra i vagoni della metro, oltre ad aver rotto un po’ il cazzo ha altrettanto sparigliato le carte perché così di basso livello (sempre nel senso informatico, ovvero di vicinanza al linguaggio macchina ma voi intendetelo un po’ come volete) da aver pervaso tutto trasversalmente. Ve la ricordate, vero, la metamorfosi dello specifico da CSOA, quando dall’hardcore si è passati alle varie posse. Nel frattempo tutto è diventato hip hop ma lo era già vent’anni fa quando un ragazzino dei quartieri popolari che aiutavo a studiare aveva la sua ghenga con i saluti che nemmeno Spike Lee e scriveva sul suo zaino Invicta i motti più arguti degli Articolo 31. Pensa te. E pensa te ora, con le bande di latinos e i nordafricani e gli italiani di periferia al confino che inneggiano a Fabri Fibra. Vedete, poi tutti mirano al contratto con le major mentre dall’altra parte gli utenti disagiati pensano di mettersi in fuga da tutto ciò che è commerciale ma non sanno che fanno parte di un target su cui molti brand sono già appostati e pronti a lanciare le loro esche. Ecco, proprio Fabri Fibra di questi tempi è seguitissimo tra i più giovani e si dice anche che sia il miglior rapper in circolazione. Che poi non fa rap, lui è uno che straparla sulla musica. Voglio dire, i rapper sono altro, Caparezza per esempio, molto bravo a scrivere testi in rima pieni di metafore e recitati alla velocità della luce. Fabri Fibra parla a tempo sui suoi pezzi, e se lui è un rapper allora lo sono anche gli Offlaga Disco Pax. Dimostratemi il contrario.
Un concerto degli Offlaga Disco Pax in una sede pregna di valori come il Carroponte in una località altrettanto significativa che è Sesto San Giovanni il 28 luglio, cinque euro per il biglietto, un temporale estivo all’orizzonte con i lampi che sembrano effetto di un light designer ma poi si spostano grazie al vento. Il pubblico è quello degli Offlaga Disco Pax in una sede pregna di valori come il Carroponte eccetera eccetera, cioè basterebbe solo questo a descriverne la portata emotiva. Alcuni che si lanciano addirittura nella danza delle rarissime occasioni ritmate, i più si rincorrono a voce con i passaggi più memorabili dei racconti musicati del gruppo proprio come fosse un vero concerto rock, la parola detta scagliando il braccio verso il palco come ad accusare gli Offlaga Disco Pax di essere la causa del disagio e non i portavoce. Sul palco e sotto una generazione, quelli che hanno fatto l’esame di seconda elementare nel 1975 come chi sta scrivendo qui, che è protagonista e almeno lasciatecela, questa soddisfazione, quella di essere i primi senza futuro e a dover pagare tutto. Perché è proprio così. Hanno creato tutto un sistema educativo tale da assicurarci che c’era un insieme di cose che nessuno avrebbe dovuto mai più riconquistare, a partire da noi e per i giorni a venire. Così per una sera abbiamo fatto finta che ricordarci quello che non ci è stato mantenuto poteva essere anche divertente, con Max Collini che mette al corrente il suo pubblico delle sue angosce, che poi gliele condividiamo in pieno. La famiglia, la scuola, il partito, la società, gli amici, la musica. Ma non c’è un cazzo da ridere. Ci siamo svegliati tardi, oggi, perché ieri sera il concerto è finito a mezzanotte. Ci siamo alzati e ci siamo ricordati delle Olimpiadi. Ma le Olimpiadi non le trasmettono sulla tv pubblica. Bisogna pagare. Per seguire la più popolare manifestazione sportiva e godere dei significati che le sono propri – lo sport come bene gratuito per il corpo, per la mente, per il carattere individuale e per la comunità – bisogna pagare. La RAI ha poche ore, tutto il resto accade in differita come le cose che vediamo nei programmi di storia che sono già successe. Ci hanno detto che c’erano dei beni che potevamo dare per scontato, che ci erano stati regalati. Ma poi, chissà perché, se li sono ripresi indietro.
Mi fanno notare che noi che riempiamo il web e i socialini annessi e connessi di citazioni degli Offlaga Disco Pax siamo solo la versione più indie di quelli che creano i gruppi su Facebook dedicati alle più colorite locuzioni di Elio e le Storie Tese. Può essere, anche se vuoi mettere la raffinatezza. Nel dubbio, tutti stasera al Carroponte di Sesto per ballare la cinnamon (come dice una mia amica).
Capisco che l’esterofilia fine a se stessa sia scostante, e non vorrei certo sembrarvi antipatico. Anzi. E vi assicuro che mi impegno a seguire il panorama locale in ambito musicale, editoriale e cinematografico. E probabilmente lo farò ancora, anche solo per un briciolo di campanilismo. Ma, diamine, mi cadono sempre più le braccia.
Per farvi un esempio, anzi tre ma partiamo dal primo, fino a qualche anno fa seguivo con acceso interesse la musica italiana, le nuove band e il trend del momento, affidandomi soprattutto ai principali siti specializzati, come quelli che organizzano i festival dei baci e degli abbracci. Il motivo? Da una parte era il retaggio che mi portavo dietro da sempre, avendo occupato gran parte della mia vita (almeno 30 anni) a suonare in gruppi più o meno underground. Se volete saperne di più, questo blog è pieno di riferimenti alla mia vita precedente, e vi consiglio di iniziare dalla fine di quella esperienza. Seguivo i forum, partecipavo alle discussioni. Ma anche prima di Internet, ho letto e mi sono costantemente tenuto aggiornato, in un percorso che parte dagli Area passando per Diaframma, Litfiba e CCCP, poi svolta con Almamegretta e Casino Royale, sempre dritto per arrivare a Scisma e Subsonica. Ho parcheggiato di fronte agli Offlaga Disco Pax e sono sceso dal mezzo, autoradio alla mano, perché era subentrato nel frattempo il nulla più assoluto.
Più difficile argomentare la mia esterofilia in ambito letterario, sono meno competente (o più cialtrone, dipende dai punti di vista), il campo è oltremodo più vasto, più difficile da conoscere approfonditamente e da valutare. Diciamo che, esaurita la bibliografia del ‘900 italiano, ho perso l’orientamento passando da Pavese, per fare un esempio, a un qualsiasi autore emergente. Le poche volte in cui ho dato un’opportunità a uno scrittore locale (passatemi l’aggettivo), mentre mi si ripresentava a menadito il metro quadrato storico, politico e geografico in cui erano state ambientate le vicende descritte nell’opera di turno, già rimpiangevo la sicurezza dei parametri che utilizzo in fase di scouting di nuovi autori per il mio tempo libero. Ovvero: nati possibilmente tra l’Oceano Atlantico e il Pacifico (procedendo verso ovest), a nord del Messico e a sud del Canada (con l’eccezione di Coupland e degli autori nati in Alaska), tra il 1900 e il 2011. Un sottoinsieme già di per sé infinito.
Il terzo e ultimo elemento di riflessione riguarda il cinema. Qui converrete con me della difficoltà (mi veniva da scrivere dell’inesistenza, poi ho pensato che sarei risultato antipatico agli estimatori di Moretti, Martone, Costanzo, Sorrentino e Virzì, quei pochi di cui ho seguito l’attività) di mettere insieme un elenco sufficientemente corposo di prodotti di oggettivo valore, se comparati a omologhi lavori indipendenti o no realizzati all’estero. E anche in questo caso non so quanto sia determinante il fatto che altrove il cinema è un’industria mentre da noi è un hobby per figli di papà. Non so se il mio disagio di fronte ai film italiani dipenda dal gap qualitativo tra la recitazione degli attori (e dei loro accenti) e quella dei doppiatori di film stranieri, dalla piccolezza (si dice così) delle storie raccontate, un po’ come avviene per la letteratura, dalla scarsa attendibilità delle facce degli attori, dai registi.
Tutto questo per lanciare un appello: ridatemi speranza. Consigliatemi voi: libri, film e dischi italiani, di cui ne valga la pena.
La mia amica S. deve scrivere un pezzo su Sanremo, qualcosa che metta insieme, come è ovvio, musica, costume, gossip e così via. S. è la stessa fan di Morrissey che nel 1987 o giù di lì, ora controllo meglio (1), partì alla volta della cittadina rivierasca per intercettare il suo idolo, ospite straniero di quella edizione del Festival. E di episodi di quel genere me ne ricordo diversi. F. che sosteneva di aver soccorso David Gahan fattissimo o in preda a una sbornia colossale mentre vomitava per i caruggi di Sanremo (2), qualche anno prima. Ricordo anche M., un tizio buffissimo che era convinto di somigliare a John Taylor, che conciato in perfetto stile duraniano faceva incuriosire giornalisti e ragazzine isteriche sul lungomare durante i giorni del festival (3). Sui Duran Duran a Sanremo qualcuno scrisse pure un libro, faccio finta di non ricordare titolo e autrice per non essere accusato di dedicare la mia memoria solo ai ricordi più futili. Al diavolo il dovere di cronaca. Metto solo un link e la cosa finisce qui.
Ma torniamo a S. e al suo articolo. Le ho consigliato, in alternativa, di puntare più alla sostanza, se sostanza e Festival di Sanremo possono coesistere nella stessa frase, raccogliendo in una sorta di superclassifica (roba da supertelegattone) i prodotti più più originali che sono stati lanciati da quel palcoscenico. S., che dagli Smiths è passata nel corso del tempo a fenomeni sempre più estremi di musica alternativa, per darvi in pasto alcune perle di competenza vi butto lì gli Einsturzende Neubauten o roba alla Sigur Ros, mi guarda e storce la bocca. Ma sì, le ho detto, poi metti un lancio tipo “Sanremo 2011, ecco chi vincerà il Festival” (già, proprio come il mio), aggiungi un po’ di tag accattivanti (come quelle qui sotto), magari posti il link sulla pagina Facebook della tua testata, e il gioco è fatto. “Sì, ma non ho ancora capito a quali contenuti ti riferisci“. Già, S. è un animale da nicchie. Con calma, procediamo con ordine.
Pur lasciando perdere conduttori – a cui e di cui non si deve parlare – e coordinatrici di palco (per non usare il termine vallette), a memoria d’uomo (la mia, siete in una botte di ferro) ci sono decine di casi da riesumare. Mi riferisco a brani eliminati dopo la prima serata, ultimi posti, o anche brani e artisti di successo che è ingiusto snobbare solo perché presentati in quel calderone obsoleto e completamente avulso dalla realtà artistica e musicale italiana che è Sanremo. S. ha così scommesso che non ce l’avrei fatta a mettere insieme almeno 10 esempi, canzoni che lei potrà raccogliere nel suo articolo. “Tsk“, le ho detto. “Sei pronta? Accendi il registratore, andrò in ordine sparso“. Si va in scena. Visto il mio background (e la mia età), il periodo preso in rassegna va dal 1975, prima edizione di cui mi ricordi, al 2001, ultima edizione che ho seguito, più qualche eccezione vissuta di riflesso. “Considera però l’anno di uscita e il contesto, naturalmente“. L’innovazione è sempre relativa.
1. di Ruggeri – Muzio: Contessa. Cantano: i Decibel (1980)
Lo so. Ho iniziato con un brano classico e scontato. Ma non si era mai sentito un pezzo così e mai visto un look simile, in Italia. Da leggere, sul sito dei Decibel, la genesi del pezzo.
2. di Cocciante – Santandrea: La fenice. Canta: Santandrea (1984)
Una sorta di Giovanni Lindo Ferretti (chissà perché mi viene sempre da scrivere Giuliano Lindo Ferrara, mah.. sarò tratto d’inganno dalle iniziali?) in versione operetta, su base plasticosa italo-disco-wave anni ’80. Dimenticato presto, non da me, ricettacolo di pochezze. Ritornerà alla ribalta qualche anno dopo con il nome completo di battesimo (Rodolfo), autore e interprete della celebre “ho un’arancia nella pancia”.
3. di Abate: Cose Veloci. Canta: Garbo (1985)
Lo so (ancora). Su guggol digiti Garbo e Sanremo e ti viene fuori come risultato Radioclima, binomio certificato anche dai cultori e puristi. Una pietra miliare, certo, ma io preferisco questo brano dal piglio alla LLoyd Cole, più evoluto e maturo anche se meno wave e berlinese (nel senso del periodo di Bowie). Come per Radioclima, la critica gli ha riservato il fondo della classifica. Tsk.
4. di Fossati – Guglielminetti: Un’emozione da poco. Canta: Anna Oxa (1978)
“Anna Oxa conciata come una punk londinese”, dice un noto motivetto degli Offlaga Disco Pax. E chi non se la ricorda? Peccato l’involuzione e la discesa verso i meandri dello specifico sanremese, unico palco che l’ha vista davvero protagonista. Qui, era il 78, ci si aveva l’abitudine di bucarsi le guance con le spille da balia e di bucarsi le vene con altro. Il punk, quello estetico e modaiolo di Malcolm Mc Laren viene sdoganato anche nella più tradizionalista della tradizione canora italiana, in prima serata, sul Primo Canale. Ricordo di aver aspettato l’esibizione di Anna Oxa a Disco Ring la domenica successiva, e di essere stato premiato con lo stesso inizio di esibizione, spalle al pubblico. Questa sì che è trasgressione.
5. di Bissi – Battiato – Pio: Per elisa. Canta: Alice (1981)
Battiato in versione femminile. Fu amore a prima vista, soprattutto perché, studiando pianoforte, colsi la citazione colta. Non trovo il video di tratto da Sanremo, spero vi accontentiate di questo.
6. di Romano – Casacci – Di Leo: Tutti i miei sbagli. Cantano: i Subsonica (2000)
6 bis. di Castoldi – Urbani: L’assenzio. Cantano: i Bluvertigo (2001)
Il meglio dell’indie-rock anni ’90 sbarca al Festival, un’operazione di mercato riuscita che ha permesso a entrambe le band di proporsi a un pubblico diverso (e più ampio). L’innovazione non è tanto nelle due canzoni, piuttosto tendenti alla grande distribuzione rispetto agli standard dei momenti artistici migliori di entrambi i gruppi, quanto nell’accostamento con il resto della manifestazione. Samuel che balla come se fosse in un club, Morgan che indossa il basso con la dovuta calma. Momenti irripetibili, merito degli Amici e di altri Fattori (X) oggi più affini al gusto imperante tra i giovani.
7. di Marrale – Golzi, Vacanze romane. Cantano: i Matia Bazar (1983)
La svolta di uno dei gruppi più interessanti della canzone italiana culmina con questa esibizione. Un pezzo su cui si è già detto tutto e, tentando qualcosa, correrei il rischio di plagiare altri scritti. Lascio solo il link a una pagina dedicata a Mauro Sabbione, il tastierista che prese il posto di Piero Cassano e che contribuì in assoluto al periodo migliore della band. Questo, appunto. Mauro Sabbione (che peraltro sei mio amico su Facebook), se per caso leggi questo post, sappi che sei stato il mio principale tastierista ispiratore, insieme a Mick MacNeil e a Carlo Speranza.
8 di Gaetano: Gianna. Canta: Rino Gaetano (1978)
La popolarità di Rino Gaetano e di questo pezzo si è manifestata con un crescendo continuo, complici il periodo in cui venne composta, la perpetua attualità delle liriche di Gaetano, la sua riscoperta in pieno revival dei ’70, il karaoke, la nostalgia per la tv in bianco e nero (anche se le trasmissioni erano già a colori, ma solo per i più ricchi), la sua tragica scomparsa. La sua esibizione resta uno degli episodi migliori in assoluto nella storia del Festival.
9. di Avogadro, Borghetti, Fanigliulo, Pace: A me mi piace vivere alla grande. Canta: Franco Fanigliulo (1979)
Non vorrei passare per radical chic (di questi tempi, poi) ma questa è una chicca, a cui sono molto affezionato, nonché brano vincitore morale dell’edizione 1979. Tacciato anche di vilipendio alla religione, con un bell’errore voluto di grammatica nel titolo, il brano, apparentemente un tripudio di fricchettonaggine all’italiana dell’epoca, risulta essere una piacevole eccezione nel piattume con cui si riempiva il Festival in un periodo in cui la musica e la canzone erano davvero altrove (leggi nelle piazze. Forse il periodo, quello che ho appena scritto, era troppo lungo?). Come anomalo era Franco Fanigliulo, scomparso purtroppo prematuramente.
10. di Rossi: Vado al massimo. Canta: Vasco Rossi (1982)
Non mi è simpatico Vasco, per nulla. Ma vi assicuro che la sua esibizione, quella che avete appena visto, è stata una bella botta.
(1) Gli Smiths parteciparono come ospiti a Sanremo Rock, una manifestazione collaterale al festival, proprio nel 1987. Suonarono, in un ostentato playback, 4 brani tra cui Ask (gli altri 3 facilmente reperibili nei suggerimenti su youtube)
(2) I Depeche Mode furono ospiti nel 1986 con Stripped (e se non erro anche nel 1990 con Enjoy the silence, ma l’edizione a cui si riferisce l’autore è la prima)
(3) Era il 1985, non aggiungo altro. Qualcuno sa il perché.
(4) Se invece cercate qualche melodia più mainstream, il Post ha raccolto le 10 migliori canzoni di Roberto Vecchioni. Vado a sentirle.
Ho deciso che porterò mia figlia, ormai settenne, al concerto dei SubSonicA, il 13 aprile al Forum di Assago. Fatta eccezione per un live di Caparezza all’aperto nel 2007, e un frammento di una esibizione degli Offlaga Disco Pax al Carroponte di Sesto San Giovanni la scorsa estate (al terzo pezzo già si era dispersa in emulazioni di jocolerie varie. Ho dovuto anche inventarmi una risposta plausibile alla domanda “Papà, ma perché parla anziché cantare?”), questo sarà il suo primo concerto vero.
Vero perché, a furia di ascolti, conosce molti pezzi, si ricorda i testi a memoria – di certo più di papà e mamma – e si dimena su alcuni refrain fortemente (secondo la sua sensibilità) emotivi, come il solo di synth di Strade. Quindi per la prima volta non sarà una bimba coinvolta suo malgrado in un evento da grandi, ma una fan consenziente ad ascoltare, spero per intero, un live dei suoi/miei beniamini. Di certo non andremo sotto il palco. Non tanto per la sua età, quanto per quella dei genitori.