C’era il mostro della focaccia, tumidelabbra, darkene e la sua inseparabile amica metadone. Poi chiappette d’oro, la broccolona (per lo sfoggio di una vistosa maglia con illustrazioni floreali) e la sconvoltona, Trudy, la pompa dai capelli rossi e vulgo, o donna del popolo, facile immaginare perché. Soprannomi simpatici e divertenti ma avevamo nemmeno vent’anni, facevamo l’università, e li coniavamo in condizioni che non vi sto nemmeno a raccontare, a partire dalle incette di Martini a 150 lire al bar della mensa tra una lezione e l’altra. Che invece un popolo adulto e maturo si ostini a ricorrere ai vari psiconano, Gargamella, ebetino di Firenze, il mortadella e il cicogna per definire nei propri commenti di persona o sui social network i potenti, con l’obiettivo di reiterare un disprezzo verbale attraverso la convenzione di un nomignolo definito a priori da tizio o caio mi fa vergognare per tutti voi che vi sforzate ad adottare questi standard di comportamento come gli adolescenti che devono ostentare modelli preconfezionati per rendersi riconoscibili al gruppo. Inutile dire quanto la moda sia diffusa tra i ranghi a cinque stelle per compiacere gli stakeholder della casaleggio e associati e darsi di gomito su Facebook nel sottobosco militante dell’apparato cospiratore. Riesco a immaginare l’espressione compiaciuta con tanto di sorrisino idiota e occhietto di chi ha sgamato il complotto mentre si usa il riferimento metaforico tra la massa di sostenitori. L’ebetino di Firenze, roba da scompisciarsi, poi mi immagino il grillista del caso che ti si mette dietro, ti punta il ginocchio sul sedere e ti chiede “Ci credi ai giganti”?
nomignoli
nomi e no
StandardAll’uscita da scuola è tutto un fiorire di parenti di primo grado che, richiamando l’attenzione del bambino/a di loro pertinenza, ostentano abbreviazioni. Ceci che sta per Cecilia, Leti sta per Letizia. Poi Fede, inconfondibile, e Matte, piuttosto che perdersi il fascino di una tenera abbreviazione c’è chi è disposto a tagliare anche solo la o finale. Addirittura troviamo un Orli, ovvero Orlando. La Franci, l’Ale, la Dani e il Tommy, ci odiano ovunque l’uso degli articoli determinativi a determinare i nomi propri, una formula vincente che è la morte sua del nomignolo. Degni di nota anche Desi, che è quasi meglio di Desiree, e Miscia che è un po’ vergognarsi di aver chiamato, in provincia di Milano, una figlia Michelle. Così sono nate le Brigate Bisillabe, un facinoroso movimento di estremisti della laconicità e nemici dell’eccesso di confidenza. Ines, Elsa, Irma, Enea, Nora, Bianca, Chiara, Ada, Anna, Livio, Tina, Ida, Elvio, Ugo, Lara, Sara, Dora, Elio, Olmo, Igor, Emma, Rosa, Gaia, Gae, Nina, Elia, Iago, Erio. Provate ad abbreviarci questi.