si chiama desiderio e si traduce in ogni lingua

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Il tram attraversa il centro e termina la corsa nella periferia sud-est, probabilmente i due sono diretti laggiù dove ci sono i campi in cui vivono. Gli occidentali non sembrano preoccupati della loro presenza, di norma quando sentono quel tipo di parlate in spazi angusti come i mezzi di trasporto del mattino si precipitano a tastarsi le tasche per controllare se c’è tutto, e le donne controllano che la lampo della borsa sia perfettamente chiusa. E poi se ne stanno seduti nei due sedili in prima fila, uno accanto all’altra, e visti da qui non sembrano nemmeno dei loro. E nessuno ci farebbe caso se l’uomo non facesse una telefonata dopo l’altra con il cellulare – un modello piuttosto economico – in viva voce, posizionando il dispositivo tra sé e quella che sembrerebbe essere la sua compagna, o sua moglie o la sua fidanzata, chissà come vengono ufficializzati i rapporti di coppia nelle comunità nomadi. Entrambi guardano il telefono come se l’interlocutore fosse lì dentro o fossero coinvolti in una videochiamata. In realtà dal diffusore esce una voce metallica che si alterna a quella dell’uomo, è lui che conduce la conversazione, forse è uno dei compiti del maschio quello di dare e raccogliere informazioni. Nessuno degli altri passeggeri ne sarebbe coinvolto se non fosse per il volume in cui tutto questo avviene. E della prima telefonata si capisce poco, tutti parlano quella lingua straniera, se non che i partecipanti a quel meeting virtuale sembrano essere tutti molto contenti, domande e risposte sono squillanti e sorridenti, alla coppia scappa anche qualche risata. Forse un parente lontano, o la persona dalla quale sono diretti, chissà. La seconda invece è in italiano, quello dell’uomo con il telefono piuttosto improvvisato mentre l’interlocutore si capisce che c’è una persona madrelingua. L’uomo chiede se può andare da lui domattina, l’altro gli risponde che no, meglio domenica, e nessuno vede la faccia che sta facendo d’altronde come potrebbe sapere di essere ascoltato da un intero tram gremito. Meglio domenica alle otto, si sente dire dal cellulare. A dialogo finito, lui lo ripone in tasca dopo essersi sincerato di aver interrotto correttamente la chiamata. Si guardano riflessi nel finestrino e poi oltre la pensilina della fermata nelle vetrine del Coin, dove le facce senza lineamenti dei manichini non rimandano altrettanto entusiasmo, malgrado condividano il loro spazio con zigurrat di pacchi infiocchettati e la neve finta sul cappello di lana con il pon pon. Quindi l’uomo apostrofa la sua compagna con qualcosa di tenero che però non si capisce, ma lei fa un’espressione come qualunque altra ragazza innamorata che ha avuto la prima conferma della giornata che c’è qualcuno che prova la stessa cosa.

con destrezza

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La ragazza alla cassa del supermercato sta per incavolarsi sul serio, questa volta. “Ma non l’ho nemmeno vista”, dice alla sua responsabile che, per non gettare nel panico la fila in attesa, le ha appena sussurrato qualcosa piano e talmente vicino al volto da farla indietreggiare con un sussulto, probabilmente per causa dell’alito. La signora davanti a me, con le mani nel borsellino intenta a pescare monete utili a ricevere in cambio il minor numero di tagli possibile, drizza subito le antenne. Ha inteso dal labiale che si tratta di una storia di zingari. Chiude subito il portamonete e si volta verso di me, come se avessi qualche informazione in più. Ma non ne so nulla, e non le ho ancora perdonato il fatto di aver avuto fretta nel posizionare il delimitatore di articoli sul rullo, come se volessi accollarle il mio euro e cinquanta di uva bianca. Capirai che malefatta. Così non ho nessuna voglia di appagare la sua sete di cronaca nera e faccio lo gnorri. Dagli uffici si scaglia infervorato il vicedirettore. La responsabile del turno gli corre incontro. “Non è ancora uscita”. Ma allora qual è il problema? La cassiera ci aggiorna. La figlia della tizia che stanzia lì davanti da sempre e a qualsiasi ora del giorno, tanto che è persino immortalata su Google Maps, è uscita di corsa dal supermercato con un pollo con le patate al forno. Senza pagare, ovviamente, non avrà nemmeno 4 anni. Quindi si è seduta sul marciapiede in attesa della madre. Le cassiere probabilmente, ma questo lo penso io, l’hanno vista ma non hanno detto nulla. La responsabile l’ha vista e ha visto che le cassiere di turno hanno visto ma non hanno detto nulla. Il vicedirettore ha mobilitato l’addetto alla sicurezza, ma non c’è stato bisogno. La madre della ladra di pollo con le patate al forno era al reparto latticini e sbuca con una mozzarella in mano, un prodotto di marca sottocosto. Viene messa al corrente dell’accaduto, al che corre fuori, prende in braccio la figlia, il pollo e le patate al forno e riporta tutto all’interno della barriera delle casse. Il vicedirettore, ad alta voce, la prende a male parole. “Li educate così fin da piccoli”. La signora davanti a me riapre il borsellino, la situazione è tornata alla normalità e la sicurezza ristabilita, e cerca nuovamente le monete utili. “L’ho vista sa”, dice alla cassiera, “prima mentre dava il pollo e le patate alla figlia. E che diceva alla bambina vai fuori, e aspettami lì”.