E all’improvviso è comparso Sergio Caputo. Che storia bizzarra. Ho acceso la tv su RAI5 mentre finivo di bere il caffè, e in una replica dell’anno scorso di una replica del 1983 di Mister Fantasy è riemerso Sergio Caputo. Mi è andato persino un sorso di caffè per traverso. Vi giuro lo avevo rimosso, credo ormai da venticinque anni ma con non poca difficoltà perché, non ci crederete, aveva un potere occulto sui musicisti ed era la mia bestia nera. E solo perché allora suonava quella specie di pop swingato sintetico, che a sentirlo oggi, con i fiati farlocchi, fa rabbrividire. Tutti i musicisti dilettanti potevano così mettere in pratica la loro tecnica comprata al chilo alle lezioni di jazz e aumentare a piacimento il numero dei rivolti e delle sostituzioni di passaggio tra un accordo e il successivo, e anche il più semplice maggiore o minore si ritrovava schiacciato da settime e none e undicesime e tredicesime e quindicesime, aumentate e diminuite quanto basta. E, sopra tutto questo, il vocalist poteva svolgere contemporanemente la sua funzione di crooner e di cantautore e di piacione dietro i suoi baffi biondi. Non gli sembrava vero.
Questa cosa è andata avanti per anni, anche quando Sergio Caputo ormai non se lo filava più nessuno ma le cover band eseguivano, nelle piazze d’estate o alle Feste dell’Unità, i pezzi di Sergio Caputo che nessuno sapeva nemmeno chi era. Cover band che, appunto, si chiamavano i Sergicaputi. Mettevi su un gruppo con gli amici per fare qualche serata, e stai sicuro che almeno uno stronzo che proponeva un pezzo di Sergio Caputo lo trovavi, o il Sabato italiano o il Garibaldi innamorato. Perché solo con Sergio Caputo si poteva lanciare un messaggio agli intenditori: hei bello guarda che io studio jazz, mica faccio i New Order con quei sequencer campionatori e puttanate varie che schiacci play e suonano da sole. Insomma, faceva caldo ma non sudavo. È ricomparso Sergio Caputo e, forse perché le estati di allora me le ricordo torride, chissà perché, ho iniziato a sudare.