È un peccato incontrarsi durante i saldi. Troppa gente, troppe missioni di acquisti strategici da portare a termine nel minor tempo possibile, troppa merce da passare in rassegna mescolata alla rinfusa, troppe etichette in cui accertarsi di taglia, composizione e, soprattutto, provenienza. Max però, a differenza di me, riesce a concentrarsi sulla musica diffusa nel negozio mentre si cimenta in quella caccia al tesoro che ormai, dopo quasi un mese di occasioni per di più nelle misure più standard a partire dalla 48, difficilmente darà i suoi frutti. Nessuno si sogna di accendere la radio in un esercizio commerciale in franchising come quello. Probabilmente le direttive della proprietà sono chiare: la pubblicità altrui ci fa paura, perché se fosse un problema di quello che dicono gli speaker – che nella confusione delle maratone di acquisto a prezzi stracciati in effetti farebbero ancora più confusione – mi trovate pienamente d’accordo. Anche a me ascoltare tutte quelle baggianate inutili che raccontano nelle reti commerciali tra una canzone e un’altra dà fastidio. I negozi così preferiscono i canali aziendali fidati con tutta quella musica anonima che si ripete e, per l’ascolto reiterato della quale, commesse e buttafuori africani dovrebbero ricevere un’indennità o un rimborso almeno a chiedere scusa, mi spiace, ma ascoltare radio taldeitali o Spotify per non parlare di un dj che metta musica ad hoc non ce lo possiamo permettere.
Ricordo allora a Max, mentre mi passa una polo blu gigantesca, di quando a Roma in quel negozio in via del Corso c’era uno fisso residente al sabato pomeriggio che selezionava dischi niente male, da lì finiamo ai tempi delle radio libere locali che però, mi fa notare, i negozi trasmettevano in cambio di pubblicità durante i programmi. Do ut des. Così finisce che gli racconto che in un hotel della catena NH in cui ho trascorso un paio di giorni per lavoro, negli spazi comuni e nella reception si possono ascoltare senza soluzione di continuità solo brani stra-famosi ma tutti in versioni acustiche mai sentite. Dimenticatevi i Nouvelle Vague o le riduzioni chitarra e voce da MTV Unplugged o qualche prova strappalacrime da xFactor. Tutta roba introvabile persino in rete. Ho sentito le cose più varie, da “Strange Love” dei Depeche Mode a “What Makes You Beautiful” dei One Direction, una di seguito all’altra, alcune con voce maschile cantautorale altre femminile e nu-soul.
Ho chiesto a Max se è un sistema che fa risparmiare, in qualche modo. Togliendo l’anima alla canzone, gli autori e gli interpreti che l’hanno portata al successo, la si sgombera del principio attivo, della sua natura, del motivo per cui è stata messa al mondo e la sua riproduzione non più naturale e impoverita, di conseguenza, perde il valore originale. Questo forse mette gli esercizi commerciali nella posizione di poter chiedere uno sconto su quello che fanno ascoltare ai propri clienti. Non stanno proponendo infatti un prodotto originale ma un qualcosa di lontano che lo ricorda, almeno un po’. Un simulacro della creatività del compositore che quando lo senti aleggiare nell’aria ti richiama qualcosa che hai già sentito, un suono volutamente rarefatto così da renderne impossibile la cattura tantomeno è impossibile aggrapparvisi per fuggire altrove, in modo che il posto in cui ti trovi, con la sua proposta, gli acquisti da concludere, il motivo per cui se lì, ti sveglia subito dal momento in cui ti eri assorto per capire di che pezzo si trattava e ti riporta subito con i piedi per terra e le mani tra i maglioni al 50% che nessuno mette in discussione che è un vero affare.