Quel tuo amico con l’impermeabile lungo fino alle caviglie non riesco nemmeno a capire cosa dice, ma nel Veneto non ve lo insegnano l’italiano? Faccio apposta a far finta, tanto se si parla di musica è difficile spararne di fuori contesto. C’è sempre la scusa dei gusti che sono gusti, c’è tutta una gamma di punti di vista che possono attingere dalla filosofia fino a quelle inutili riviste di carta e su Internet dove cani e porci annotano le loro pugnette esistenzialiste mascherate da recensioni senza essere remunerati, e ci mancherebbe altro, mentre i più onesti e franchi possono sorprendere l’interlocutore dicendo che quel gruppo lì non l’hanno mai sentito. Ma come, dice il veneto, non conosci i Suicide? Un altro al mio posto avrebbe mentito. Ma cosa vuoi che mi interessi, ho detto poi a Enrica visto che già riteneva discutibile il mio punto di vista su Almodovar che ho liquidato con un che due coglioni. Non potrei sopportare di stare con una che ne sa più di me di musica, ho aggiunto, ma non è stata questa che ha superato il limite. Prima c’era tutto il concerto degli Air e il concentramento di centinaia di quelle ragazze che noi di provincia, quando le vediamo a Milano, ne semplifichiamo l’insieme di appartenenza riconducendole alla moda o ambienti affini. Che poi non è vero, a parte qualche sconfortante caso di cui posso portarvi almeno un paio di esempi di vita vissuta, qualunque ambiente di lavoro un po’ meno tradizionale ne comprende qualche esemplare. Comunque il concerto era tutto un susseguirsi di strumenti elettronici di altri tempi a contraddistinguere questo o quel pezzo, suonati da un pugno di fighetti con il ciuffo biondo o la frangetta e vestiti da Rockets senza il trucco dorato sul corpo e sulla faccia ma con costumi e mantelli che sembravano marziani. Non fraintendetemi, a me è piaciuto molto e la prova è che Moon Safari l’ho consumato a furia di sentirlo e non spenderei tutti quei soldi per un gruppo che non mi piace. Poi l’uso filologico di certi synth e batterie elettroniche, giurerei di aver visto persino una Mattel Synsonics Drums sul palco che quando nell’81 o giù di lì avevo proposto al mio batterista di usarla dal vivo mi aveva preso per il culo perché era considerato un giocattolo. A Enrica dico anche questo, a fine concerto, e per mia fortuna sono un po’ ubriaco così mi accorgo di più di quanto sono presuntuoso. Poi mentre l’amico veneto con l’impermeabile lungo ci riaccompagna verso casa e stiamo discutendo di nomi, ritorno sul concetto che i figli bisogna chiamarli con i nomi dei fratelli Cervi, ed è lì che è chiaro che se mi dici povero tuo figlio che si chiamerà Gelindo non funzionerà mai, undici anni di distanza sono troppissimi ma so che un sacco di over trenta hanno fidanzate che fanno l’università e io mi dico che boh, certo ci sono i pro ma non so se ne valga la pena.